BRASILE - MAGGIO 1993

Scrolla il testo per leggere

Caro diario, compagno di tante battaglie, grazie ad un inatteso regalo di una ditta fornitrice di ammennicoli elettrici, ecco la possibilità rincontrarti prima del previsto, portandoti a prender aria in quel del Brasile.

Cosa poter dire di questo ritorno in terra sudamericana?. Seguendo la teoria vichiana dei corsi e ricorsi storici, ecco che mi viene ridata la chance di visitare la tanta mitizzata Rio che mi appare ora in tutto il suo squallore, la sua tristezza, la sua vergogna.

Pur tralasciando visite in zone malfamate e quartieri assolutamente off-limits, il colpo d'occhio è desolante: degrado economico, fisico, umano, culturale, ambientale la fanno da padrone.

Sarà forse il tempo inclemente, ma la tristezza ci invade e si diffonde rapidamente, aiutata dalla considerazione di trovarsi tra 150 persone il cui unico pensiero cardine è l'approvvigionamento alimentare.

Sembra strano, soprattutto per me, descrivere con tinte così fosche un luogo tra l'altro di grande fascino, ma fino ad ora l'unica nota superlativa è stato un fantozziano inseguimento della rotolante sulla spiaggia di Copacabana.

Sotto gli sguardi attoniti, stupiti e forse inorriditi del popolo carioca, attempati rappresentanti, corpulenti rivenditori, sfatti dipendenti, appesantiti contabili si sono dati tenzone sotto un'acquerugiola insistente prendendo alla lettera il verbo di paron Rocco " Mira a tutto quello che si muove, se poi prendi la palla pazienza".

Giove pluvio non ha certo intercesso sulla nostra scampagnata e perciò come tanti, bruttissimi anatroccoli ci ritroviamo a dover passare il nostro tempo in fetide churrascherie, pseudo ristoranti tipici in cui orde di vecchie, affamate locuste fanno rimpiangere il passaggio degli Unni e dei Vandali.

Non siamo sicuramente più fortunati nella scelta dei programmi alternativi, trovandoci perciò in una squallida, desolata e rancida sala teatrale di provincia per uno spettacolo di samba, molto simile ad una rappresentazione del dopo lavoro dei ferrotranvieri di Bitonto.

L'idea geniale di raggiungere Petropolis si è rivelata un buco nell'acqua o meglio nella nebbia, in quanto veniamo accolti da impenetrabile cappa biancastra al culmine di alcuni pendii più simili ai verdi prati cari ad Heidi che ai rilievi tropicali dello Stato di Rio.

Breve nota sui nostri mattoni di viaggio: mangiano sempre, sbagliano continuamente pullman considerando impossibile ricordarsi un sol numero per cinque giorni di seguito, comprano di tutto, ancor di più dell'inutile riuscendo a sbatter via quattrini perfino in un albergo chiuso dal 1946, riaperto per l'occasione.

Ultimi tre giorni cullati dalle onde, abbracciati dal sole, inseguiti dalle ragazze di Rio che, non certo attratte dalla qualità ma bensì dalla quantità d’italici "stalloni" cinquantenni, si avventavano come sciami sul gruppo schierato a file molto serrate.