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Doha Grazie all'ennesimo colpo di genio della tour operator di famiglia ci facciamo un extended play del nostro viaggio o meglio, nonostante il forzato rientro a Monza di Annie per motivi famigliari ampiamente giustificabili, i tre Caprottini soli, abbandonati, indifesi e spaesati atterrano alle sei del mattino a Doha, per iniziare la scoperta della capitale, e fors'anche unica città, del Qatar solo sfiorata nella trasvolata di andata verso il Sudafrica.
Appena usciti da quello che dovrebbe diventare tra qualche anno uno dei principali aeroporti mondiali, evitiamo il classico taxista abusivo da Striscia la notizia che ci si francobolla addosso, facciamo due chiacchiere con un driver keniota con regolari galloni appuntati ed arriviamo in dieci minuti scarsi al Coral Hotel, ovviamente già supervisionato, analizzato e prenotato dall'esperta tuttologa milanese ahilei trapiantata in quel di Monza da due decenni.
E' l'ultimo dell'anno, alla semplice domanda se si effettueranno dei festeggiamenti pubblici e corali veniamo tacciati di lussuria e malcostume, dicono sprezzanti di non essere quelli di Dubai e che oggi come domani sono semplicissimi giorni lavorativi. Tre ore di sonnellino ci ritemprano e aiutano a tornare in forze per la scoperta della metropoli che poi in realtà e' un semplicissimo susseguirsi di grattacieli lungo una corniche che assomiglia tremendamente ai tanto detestati ed oltraggiati Emirati Arabi.
Qua dicono vogliano creare una realtà diversa, basata su ricerca scientifica,arte,cultura, storia, i soldi non mancano certamente, il Qatar Foundation e' un fondo monetario sterminato a favore del mecenatismo, i progetti sono i più vari soprattutto grazie alla moglie numero boh dell'emiro che ha intenzione di salvaguardare iniziative per l'infanzia mondiale, anche se per il momento si sono distinti principalmente per lo sperpero assoluto di trilioni di euro per bidoni ex milanisti al Paris Saint Germain, sarà ma a me per il momento puzza tanto di Abu Dhabi dei poveri.
Giriamo tranquillamente nel suq, non particolarmente caratteristico, facciamo fare rifornimento alimentare al buon Nico non sazio dei tre pasti assorbiti nella tratta Cape Town - Johannesburg - Doha ed utilizzando come non mai i taxy giriamo tra grandi alberghi, grandi vialoni, grandi palazzi prima di consumare il cenone di Capodanno davanti ad una dose sproporzionata di stuffed crost by Pizza Hut, per la scoperta della quale non smetteremo mai di ringraziare colui che sa tanto di molto.
Dietrofront per le dieci locali e grazie alle solite capacità tecnologiche - telefoniche di Nico entriamo in contatto diretto con il mondo civile per auguri e saluti, tranquillamente spaparanzati nei nostri lettoni, con due ore di vantaggio sugli inseguitori del veglione rimasti in terra italica.
Oggi vera e propria doccia di cultura con doppio risciacquo, prima approfondita e stupefatta conoscenza con le opere di quel cranioleso, "fattone" e sinceramente completamente fuori di melone di Damian Hirst, che ci lascia attoniti di fronte a cotanta follia, con opere di animali sezionati, di bovini squartati, di mammiferi imbalsamati nella formaldeide, che definire arte sarebbe semplicemente una bestemmia. Il museo di arte islamica, progettato da Lheo Ming Pen tiralinee cinese trapiantato in America e già creatore del nuovissimo Palazzo della Regione a Milano e prima ancora della piramidina del museuccolo del Louvre parigino, affascina i tre italiani in gita turistica, con sale perfettamente illuminate, areate e insonorizzate in cui trovano degna collocazione reperti di dieci secoli di storia provenienti da quasi tutti i paesi che hanno goduto o subito l'influenza o la dominazione musulmana. Facendo un qualcosa di assai contrario alle abitudini della Signora Passoni, entriamo facilmente e con grande piacere nei principali, lussuosissimi alberghi della corniche, in particolare apprezziamo il potere del denaro che si vede, si sente e si respira allo Sheraton, all'Intercontinental, allo Starwood, al Movempick ( pazzesca struttura acciaio e vetro a forma di prua di nave) che si affacciano su ristrettissimi specchi d'acqua, non essendoci in città vere proprie spiagge nel vero senso etimologico della parola. Altra serata nel suq ove veniamo attratti principalmente dal mercato degli animali in cui si commerciano ogni tipo di volatile, principalmente splendidi pappagalli multicolori, per non parlare di conigli nani, di pulcini dalle tonalità a dir poco improbabili, di tartarughe di ogni dimensione, poi classico tour tra spezie profumate, sete cangianti, mercato dell'oro stile monete di cioccolato e cena in un ristorante che il solo descrivere ci farebbe rivivere incubi strazianti.
Le attrazioni fatali non esistono solamente nelle fantasie cinematografiche, io per esempio vengo calamitato dal fascino magnetico di Dubai che come una magica sirena mi lusinga con soavi melodie, cerco di non ascoltare, faccio finta di niente nei primi di due giorni a Doha, ma poi una mattina salto sul primo aerino e mi catapulto nella dream town della mia scatola cranica: la metropolitana sopraelevata mi permette di rivedere ogni attrazione di questo bengodi, una velocissima scarpinata lungo la Jumeirah Walk e la sempre più intrigante Marina, mi fa spuntare un sorriso da orecchio ad orecchio, sperando di poter passare qua una ormai non troppo lontana vecchiaia.
Ho il tempo anche di incontrare due amici piccioncini ancora in sollucchero amoroso post matrimonio prima di ritornare a Doha, sinceramente indietro all'età della pietra rispetto alla Golden City e ripassare al suq per una serie di scatti questa volta in versione notturna.
Non abbiamo sinceramente nulla da fare, abbiamo visto tutto quello che e' attualmente costruito e visitabile ed allora ci avviciniamo alla cittadella dello sport ove, al fianco di un albergo fantasmagorico a forma di torcia olimpica, sorge l'unico stadio ad oggi praticabile, il che ha dell'incredibile se pensiamo che tra otto anni qua ci saranno i mondiali di calcio e non sono ancora state costruite le città che faranno da cornice agli anfiteatri sportivi ospitanti la kermesse dei calciatori in mutande.
Il Villaggio, mall adiacente all'area ginnico ludica ci mette una tristezza infinita: pensavamo che quanto ammirato o disprezzato a Las Vegas non avesse paragoni in quanto a cattivo gusto ma il vedere gondole a motore elettrico solcare i canali interni di questo shopping center, totalmente ispirato allo stile veneziano, rasenta veramente l'apoteosi del kitsch e della vergogna.
Il tempo e' certamente uno dei beni più preziosi di cui disponiamo, sprecarlo e' assolutamente deleterio, specialmente quando si e' in vacanza dall'altra parte del mondo ed allora mentre i pargoli riposano tranquillamente sulla loro comodissima nuvoletta, mi diverto in una serrata trattativa con un tassista che, accettate le condizioni capestro da me imposte, mi trasborda dall'altra parte di Doha, mi fa visitare Katara futura, molto futura sede culturale ed artistica, per ora solamente una decina di baretti davanti ad un mare senza significato, per lasciarmi poi un'ora e mezza disposizione per prendere contatto diretto con The Pearl, il fiore all'occhiello, il biglietto da visita, lo specchietto attira investimenti di questo territorio dal work in progress molto accentuato.
Questa volta e' il turno dei cugini sfigati di oltralpe nel sentirsi derisi ed offesi al cospetto di una promenade, sopra un isola ovviamente artificiale, pomposamente ribattezzata Croisette: ovviamente non tifo per i francesi (anzi ) ma il susseguirsi di negozi di lusso lungo le banchine di una marina sovrastata da una quarantina di palazzoni di cemento mediamente di 25 piani ha tutto fuor che il fascino del gusto della Costa Azzurra. I grandi brand internazionali penso siano costretti ad esserci per pura battaglia competitiva, gli yacht immensi ivi ancorati hanno un non so che paragonabile al celodurismo di bossiana memoria, ma l'incontrare sette persone in novanta minuti spiega chiaramente il perchè non ho allontanato una mosca che si era posata sulla mia gamba per farmi compagnia.
E cosi finisce l'avventura del Signor Bonavventura, ricordava il Corrierino dei piccoli ai miei bei tempi, si arriva al terminal Qatar per un incomprensibile imbarco un'ora prima della reale partenza dell'aviogetto, certamente senza troppi rimpianti nei confronti di una nazione che deve vedere passare ancora tanta sabbia sopra le proprie dune prima di diventare attraente ed intrigante.
Lapidario commento finale: il Qatar fa cacar!