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E dai, e dai, e dai ecco che alla fine di tanta insistenza l’ormai vecchio Caprotti, reduce dal carismatico taglio del traguardo degli anta, riesce ad averla vinta, coronando il sogno di tante notti di mezza estate, riuscendo a tirarsi dietro l’allegra combriccola in quel di Durai.
Chimera a lungo desiderata ed inseguita è diventata l’escursione pro natalizia di questo fine 2005, raggiunta non senza qualche patema d’animo causa rocambolesco incastro automobilistico ostacolante la viabilità autostradale nei pressi della metropoli lombarda, ovattata tra l’altro da un’impenetrabile coltre di nebbia lattiginosa che faceva prevedere o peggio temere funesti ritardi.
Non facendo parte di alcuna comitiva intruppata sotto una qualsivoglia sigla turistica decolla per la prima volta dal terminal uno di Malpensa, decidendo di affrontare il viaggio verso l’escursione ascensionale della temperatura con la compagnia di bandiera della tanto amata penisola italica che per tutto ringraziamento ci pigia come sardine in un aviogetto vetusto ed obsoleto, con personale di bordo risalente al pleistocene remoto e servizio che fa capire tante cose sul crollo verticale del titolo borsistico Alitalia.
Arriviamo alle sette puntuali come uccellini di un cucù svizzero ma ci sembra di sognare: sei ore di volo per ritrovarci nella nebbia più inverosimile che mai abbia abbracciato tali latitudini, facciamo finta di niente, cerchiamo di non pensarci e ci auguriamo che la prossima fermata non sia Corso Buenos Aires.
L’aeroporto dovrebbe da sempre essere il biglietto da visita di una grande città, in questo caso allora siamo di fronte ad una presentazione su carta pergamena vergata con inchiostro da calamaio: sfarzo, lusso e pulizia praticamente maniacale sono le prime impressioni che ci assalgono, comprovate da un’accoglienza persino troppo ossequiosa da parte dell’incaricato, forse di origine partenopea, che trova ovviamente il modo di farci saltare a piè pari lunghe file e noiosi controlli doganali.
Su due ammiraglie tedesche di grande immagine (anche qui è fatto divieto di pubblicità occulta) fendiamo il caotico traffico mattutino (sono sempre più convinto di trovarmi a vivere un sogno meneghino) e raggiungiamo il nostro alloggio restando a bocca aperta forse per lo straordinario impatto architettonicamente avveniristico forse per la velocità spaventosa con cui siamo proiettati al ventottesimo piano, ubicazione dei nostri giacigli.
Camera da paura, vista stratosferica e quotazioni del Caprotti in netto rialzo per la scelta effettuata, rapidissimo cambio di vestiario ed in men che non si dica eccoci sulla spiaggia del Beach Club ove abbiamo la conferma definitiva dei nostri sospetti: questo è il posto ideale anche per il più incontentabile dei “cicetti”, la patria degli sboroni, il terreno di conquista dei cagatori fuori dal bulacco, tutto è esagerato dagli alberghi con vetrate accecanti, allo sfarzo delle dimore principesche, alla disponibilità ed educazione addirittura mielosa di chiunque lavori nei territori dell’emiro, parola d’onore di un uomo zerbino, mai vista tanta formalità, riverenza, magniloquenza.
Termine del pomeriggio in terra dei nababbi con la degna e ormai quasi scontata ciliegina sulla torta del superlativo: cosa dire di un isolato centro commerciale in una landa desolata che paventa solamente 350 differenti negozi con ogni più imprevedibile ben di Dio, culminante in una pista da sci in pieno deserto costata la miserrima quisquilia di 280 milioni di dollari.
All’allegra brigata si sono uniti in questo caso il nonno Ango, inizialmente titubante data l’eccessiva staticità del programma paragonato ai suoi eccessi di himalahiana memoria e l’ormai girovagante ed itinerante nonna Katia, al secondo passaggio in loco nell’arco degli ultimi quindici giorni.
Stamane fin di primo mattino, anche se tale affermazione non mi sembra esattamente consona alla realtà in quanto abbiamo fatto fare il giro completo delle lancette ai secondi, ai minuti ed alle ore, il sole è abbacinante ed allora all’unanimità propendiamo per un go to the beach che viene apprezzato da tutti e sei ed in particolare dai tre più piccoli: Nic e Tommy ne fanno di tutti i colori su un toboga che tra cascate e fitta vegetazione li fa scaracollare in una piscina direttamente sulla spiaggia, Paolo per un imprevisto ma graditissimo ritorno al passato dovuto a tre meravigliose partite a biglie con i consanguinei sulla sabbia, ovviamente con pista creata trascinando per il deretano il prescelto e sfere rotolanti con immagine di ciclista anteguerra rigorosamente in plastica colorata.
Lo stucchevole servilismo non ci lascia alternative: o rimpiangiamo il burbero distacco dei locandieri liguri o accettiamo di buon grado dosi esagerate di sorrisi, di inchini, di appellativi più consoni a lord inglesi di altissimo lignaggio: propendiamo per la seconda opzione e sopportiamo stoicamente i numerosi passaggi del personale d’albergo per sostituire la frutta, controllare la temperatura, portarci le salviette umidificate, posizionare le candele nel bagno minimal zen, alternare le collezioni di sali aromatizzati per la vasca…the power of money !!
Il seondo mall visitato è un’insulsa brutta copia del sapore italiano, con tutte le insegne, le marche, lo stile vanamente ispirati al Belpaese, facciamo qualche scatto giusto per la cronaca e torniamo al nostro buen ritiro degno di un intero capitolo sull’architettura futuristica e futuribile, oltre che di ogni plauso e complimento per la sua straordinaria bellezza ed eleganza.
Domani prevediamo un giro completo della città che per il momento ci è sembrata l’apoteosi dell’effimero, tutto costruito dal nulla e circondato dal nulla, in un frullato poco amalgamato di tecnologia occidentale e di tradizione araba, un cantiere in perenne costruzione in cui migliaia di formichine stanno costruendo palazzi stile Shangai, Las Vegas o Honk Kong per un domani ad oggi piuttosto oscuro e nebuloso.
Completiamo la riunificazione famigliare andando a trovare la sorella di Anna, anch’ella affezionata alla location in quanto già gettonata l’anno passato, ci facciamo una gran cultura per quanto riguarda ogni tipo di calcestruzzo e di cemento armato utilizzabile in ognuno dei 36 grattacieli in costruzione sul lungomare di Dubai Marina, ove giusto per non farsi mancare niente era in corso il campionato mondiale di motonautica ovviamente “offshore” e grazie ad un magico passpartout riusciamo a visitare il Burj al Arab.
E qui è proprio il caso di soffermarsi un attimo: il faraonico e luccicante Jumeirah Beach, tutto finestre specchiate e piscine amazzoniche, risulta praticamente il capanno dei custodi al confronto del sopraccitato attiguo complesso alberghiero, ci vengono quindi aperte le porte dell’unico sette stelle al mondo per entrare nel deposito dei dollari di Zio Paperone.
Ogni cosa è superlativa, eccessiva, esagerata, iperbolica, lasciamo il vostro giudizio al momento della visione delle fotografie ed usciamo passando tra vasche di pesci corallini, soffitti dorati, marmi sfavillanti, tappeti di dimensione prato di San Siro, pareti da extraterrestri, dubbiosi se abbiamo fatto bene o meno a non confermare la suite da 780 metri quadrati, dall’insignificante costo di 12.000 euro a notte, ovviamente colazione e tasse di soggiorno escluse.
Sfruttiamo il macchinone della Budget per girovagare nella città vecchia, prospiciente al porto pullulante di ogni tipo di personaggio e di mercanzia, assai più che probabilmente di dubbia provenienza e dopo aver sacramentato ampiamente per il caotico traffico assolutamente fuori controllo, ceniamo nell’ennessimo centro commerciale , il tanto osannato Wafi che però si rivela melanconicamente come un grande Gigante di milanese aspetto, tutto quanto veniva decantato in termini di mega affari e super convenienza mi sembra possa essere paragonato a tutto quello che è la città: lo zero assoluto inventato a mò di specchietto delle allodole di questa Disneyland per grandi ove l’unico grande vantaggio sembra risiedere nel clima attualmente rasentante la perfezione.
Il buon Berlusca deve essersi ispirato in un viaggio da queste parti per promettere un milione di posti di lavoro: epica la mansione del giallo di turno che remunerato a torsoli di mela ha il compito da mane a sera di cancellare le impronte digitali sui pulsanti di chiamata degli ascensori.
Un vecchio adagio proclamava che stando con gli storpi si impara a zoppicare ed allora ci adeguiamo molto volentieri ai conforts disponibili, magari allargandoci pure un pochino, al punto che Annie sprofonda in un piacevolissimo torpore durante una seduta di pressoterapia in riva al mare, mentre Nicky adottando il grido della Curva Nord “Non mollare mai” pensa bene di spararsi un paio di chilometri sulla cresta delle onde del Golfo Persico trainato da un motoscafo per il suo primo tentativo, perfettamente riuscito, di sci nautico.
Torniamo con i piedi per terra e non solo metaforicamente dopo aver provato ogni tipo di accellarazione verticale su montacarichi ovviamente trasparenti e lucenti, tiriamo le somme di questa quasi settimana negli Emirati Arabi che ci hanno sicuramente colpiti, sorpresi, incuriositi, ammaliati, affascinati, stuzzicati sia dal punto di vista fisico che mentale ma che comunque riteniamo proponibili e trattabili solo a piccole dosi, preferibilmente “tagliate bene”…nell’arco dell’anno lavorativo.