DUBAI DICEMBRE 2015

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Quando ero giovane, giusto per intenderci come direbbe il mio rampollo nel paleozoico o, come più modestamente riterrei io nel millennio scorso, mentre ti trovavi di fronte ad un talismano negativo, stile Prinz verde o proselite di confraternita religiosa femminile, si cercava in tutti i modi di interrompere il flusso negativo con il famoso “tua senza ritorno” oggigiorno penso che qualcosa di similare si potrebbe riproporre vedendo l’allegra brigata Caprotti avvicinarsi mestamente e con ardua difficoltà al bancone accettazione di Malpensa caratterizzata da strumenti di deambulazione assistita, tutori ortopedici, ogni tipo di medicamento e medicazione immaginabile.

Vorrebbero farci aggregare di peso su carovana della speranza direzione Lourdes, Medjugorje o Fatima, ci ribelliamo e tra non poche difficoltà logistiche ed organizzative attraversiamo lo splendido splendente hub dell’alto gallaratese, vero e proprio gioiello di eleganza post Expo, per essere i primi ad appoggiare le reali terga sul Boeing 777/300 destinazione indovinate un po’ dove ??

Se riuscissi ad evitare il crampo intestinale dovuto al pensiero della caterva di dobloni, marenghi e sesterzi che abbiamo elargito al munifico sponsor della derelitta seconda squadra di Milano, devo ammettere che Emirates è realmente una compagnia straordinaria, ci mette a disposizione un aviogetto quanto mai accogliente, ben ospitante, ove un gioco di soffuse luci stile cromoterapia mettono il passeggero appena imbarcato direttamente nell’anticamera del riposo rilassato.

Non ci accorgiamo di nulla, mangiamo decisamente bene, facciamo fatica a scegliere il film adatto (io faccio una doppietta tra oltre 2000 titoli disponibili tra lungometraggi di azione, animazione, contemporanei, europei, indiani, classici) e, escludendo i fastidiosi strepiti ossessivi di un bambinetto che si stava consumando l’unico neurone di cui madre natura lo aveva dotato sui pixel di videogiochi INTERattivi, archiviamo la pratica del trasferimento con ultima lode agli Emiratini, che ci accolgono a Dubai con una struttura idropneumatica stile container che, solo per noi, si avvicina alla carlinga, facendoci scendere in via preferenziale per raggiungere le operazioni d’immigrazione che avvengono con rapidità a dir poco spaventosa nel futuristico e avveniritistico terminal 3 

Colazione natalizia sul lungomare della Jumeirah waterfront ove l’ancora purtroppo infortunato pedatore calcistico da immediata dimostrazione di essersi assuefatto a uso, costumi e abitudini indigene attendendo imperturbabile le gesta dell’impeccabile cameriere che dignitosamente alle sue spalle riempie il bicchiere d’acqua al minimo fabbisogno . 

Una misteriosa sostanza soporifera sembra essere permeata nelle nostre strutture corporali, è incredibile ma appariamo tutti in catalessi catartica, facendo persino fatica a comporre frasi di qualsivoglia significato logico mentre gli ultimi raggi dell’amico solare si andavano ad infrangere sullo skyline della Marina a noi sempre più caro .

Malediciamo il governo ladro, il surriscaldamento terrestre, l’effetto serra, il buco dell’ozono e per la prima volta della nostra ormai più che decennale presenza nei paraggi ci svegliamo sotto l’acqua, rimanendo allibiti e basiti al cospetto di una climatologia impazzita che ci propone un mood da tristissimo autunno britannico.

L’eco delle nostre voci si ripropaga con difficoltà nelle enormi stanze dell’appartamento del Suha Hotel, bando ad ogni commento sulla pronuncia molto scurrile della nostra residenza, ove il compito mattutino di spostare le tende dovrebbe essere affidato ad un inserviente, vista il numero esagerato di finestre prospicente la baia interna della Marina, e ci dedichiamo ad una colazione che riassume tutti e tre i momenti di pasto giornalieri, data la varietà di prodotti commestibili a portata dei nostri succhi gastrici.

Girettino turistico giusto per effettuare le warm up di quello che sarà il nostro abituale percorso lungomare, Starbucks, ponte sopra lo Yacht Club, Carrefour e ritorno con Tommy agevolato dal riposo assoluto nel suo procedere cadenzato su wheel chair e oscar della modestia, del low profile, dell’understatement a giovane figlio dello stalliere di cammelle brade che sotto un’ascella tiene un I Pad, sotto l’altra un I Phone in dubbio equilibrio, avendo tra le mani un drone e cercando nel contempo di salire sul must locale, lo skateboard elettrico con impianto stereo annesso.    

Tra i canali televisivi dedicati all’Abcazia, all’Inguscezia, all’Ossezia, al Cabardino riusciamo a trovare una lunghezza d’onda ove visionare immagini dell’amata madrepatria, ci commuoviamo ad ammirare le gesta dei cestiti con le scarpette rosse milanesi, di cui sentiamo i nomi ignobilmente storpiati in arabo ed allora, come naufraghi alla ricerca di un porto sicuro, ci ritroviamo al fianco di altre tavolate tricolori sotto l’insegna dei Fratelli La Bufala a digerire la più buona pizza mai mangiata fuori dai confini italici, mentre un Concorde monetario riesumato per l’occasione decolla alla velocità supersonica dal mio conto corrente al momento della strisciata tutt’altro che risicata.

Con un comunicato a reti unificate sembra che l’Emiro in persona si scusi della giornata leggermente rannuvolata testé terminata, riproponendo ai nostri occhi ebbri di gioia fin dall’alba uno dei cavalli di battaglia che attira in questo lembo di penisola arabica milioni di vagabondi: il tanto decantato e quanto mai apprezzato cielo blu cobalto si mostra in tutto il suo splendore, facendo da tetto naturale ad una città perennemente in movimento progressivo verso un futuro che non riusciamo nemmeno vagamente ad immaginare. 

Come ogni tanto capita al cospetto delle favole più apprezzate, ci troviamo costretti ad aprire gli occhietti e a scontrarci con la triste realtà dei fatti che ci fa tornare con i piedi per terra, facendo esplodere in un attimo la bolla di evanescente piacere in cui pensavamo di albergare anche in quest’apparente paradiso terrestre: le docce fantasmagoriche presenti sul lungomare,  progettate dal più innovativo tra gli architetti (ogni riferimento al Max nazionale è puramente casuale) sono diventate tutt’un tratto a pagamento ed il vero e proprio santuario del discount sportivo, Sun & Sports Factory Outlet close to the Mall of the Emirates,  uno squallido capannone, ove è assolutamente impossibile ripetere anni ed anni di razzie e scorribande a costi irrisori.   

Qua tutto profuma di ricchezza, di potere, di soldo (di qualunque provenienza, taglio, colore, filigrana), non riusciamo a contare le Rolls Rolex presenti ovunque, il must del Capodanno per gli innumerevoli party mozzafiato e da capogiro, sia come location che come cifra richiesta per la semplice presenza, è dress to impress e ogni cosa, oggetto, azione, progetto, iniziativa è finalizzata semplicemente al business, in tutte le sue più infinite varianti e sfaccettature.

Seguiamo per la prima volta le indicazioni di Trip Advisor diretti al Karama Market e dopo un piacevole su e giù lungo i saliscendi dell’automatizzata, panoramica ed avveniristica metropolitana senza conduttore, ci troviamo a Burjuman, quartiere di recente realizzazione in cui si sta cercando di mixare tradizione autoctona e irreversibile mutamento verso le esigenze del commercio, il tutto non ha per il momento grande impatto sulle nostre emozioni mentre veniamo fisicamente assaliti da venditori per la prima volta insistenti, appiccicosi e quasi fastidiosi nel loro proporre ogni nefandezza tarocca, pataccata, falsa, malamente imitata: il dietrofront è praticamente immediato e la consapevolezza rimane sempre più radicata nel voler provare esperienze sulla propria pelle senza consigli, pareri e dritte che spesso si traducono facilmente con il sostantivo “bufale”.  

Niente appare più piacevole che ripetere gli stessi gesti, le stesse abitudini, i soliti comportamenti nell’ambito di un ambiente quanto mai ospitale e consono alle nostre esigenze: visitiamo quanto già conosciuto rimanendo ogni volta colpiti e sorpresi da quanto si pone al nostro cospetto, con garbo, eleganza, cura, raffinatezza al limite dell’esagerato perfino nei minimi dettagli.

Il sorseggiare un long drink al 52° piano del Marriott Hotel ha sicuramente il suo vero perché, con un overview a 360° su un orizzonte che spazia dal deserto retrostante all’insieme di vette dei grattacieli che hanno una densità tale da non permettere neanche il passaggio di uno stormo di gabbiani alla visione della Palma in tutta la sua spettacolare follia realizzativa e logistica.

Torniamo a sfiorare l’asfalto, camminiamo lungo il walk disseminato di locali e localini, bar e baretti in un’atmosfera ludico commerciale che non ci infastidisce certamente per portare a termine un pomeriggio di quiete e scatti fotografici che trova il suo culmine nella visita dei francofoni resort Ritz Carlton e Sofitel, giusto per non dimenticare le radici del Vecchio Continente che ha però certamente tantissime cose da imparare da questi indigeni. 

Ci troviamo come sempre a meraviglia, arriviamo al punto di consigliare ai taxisti le strade più opportune per giungere a destinazione, ci plasmiamo omogeneamente con clima e logistica, meditiamo a lungo circa un’ipotetica permanenza senza limiti temporali e ci adattiamo con piacere agli usi e costumi, io in particolare sfoggiando lungo la Croisette locale il mio bel pigiamino collezione primavera 2015 by Tezenis .

Cerco di mettere a dura prova le caratteristiche tecniche del nuovo grandangolo che mi sono regalato per i miei vetusti 50, forse esagero un po’ consumando due batterie della sempre meravigliosa Nikon, accorgendomi con sgomento, tramutatosi precocemente in dramma esistenziale, di non avere i cavi necessari alla ricarica, non oso pensare al domani.

Ci troviamo nel bel mezzo di una diaspora famigliare, tra incontri con conoscenti monzesi, rapidi dietrofront in albergo, spiaggiamenti sulla battigia e sopranominati scatti fotografici, durante il pomeriggio dell’ultimo dell’anno ho avuto la possibilità di ammirare cose che noi umani non siamo abituati nemmeno lontanamente ad immaginare.

Impossibile contare il numero di autovetture dai duecentomila euro in su, incredibile lo stuolo di yacht o per meglio dire panfili che fuoriescono dalla Marina per ammirare i giochi pirotecnici dalla baia prospicente la JBR, spaziali i preparativi nei resort dall’innumerevole conteggio di stelle, imbarazzante la raffinatezza e la cura di luoghi come lo sfavillante Four Seasons Jumeirah .  

Il dado è tratto, il dente tolto, il Santo gabbato, il pagano rito del Capodanno passato e ora ci lanciamo a capofitto in questo nuovo lasso temporale che ha visto il suo inizio con i piedi nella sabbia della spiaggia di Jumeirah, insieme ad una moltitudine di esseri umani delle più differenti e disparate estrazioni etniche, sociali e personali, in un clima di assoluta tranquillità, anche a causa della mancanza totale di qualsiasi tipo di bevanda a base di fermentazione alcolica, nel corso di un fireworks show che per la prima volta ha avuto come protagonista di prim’ordine il lungomare a noi prospicente, con uno spettacolo che bisogna proprio ammettere non fa rimpiangere la tradizione pirotecnica di noi mediterranei .  

In diverse occasioni i pargoli riescono facilmente a completare il giro completo delle lancette nel corso del loro meritato riposo, dopo giornate effettivamente stancanti e stroncanti, condite di permanenza in spiaggia, di avvicinamento alla tavola da pranzo, di complessa e complicata scelta del capo di vestiario proposto da uno dei milioni di store presenti negli sterminati mall, croce e delizia del turista consumista.

I 34 ° ruggenti sono sinceramente forse anche un po’ troppi, per cui onde evitare ripercussioni eccessive non ci esponiamo troppo al riverbero solare, trovando comunque sempre tanto da fare e non avendo mai di che annoiarci di fronte ai più disparati ma non certo disperati personaggi locali, tra i quali oggi spicca graziosa beduina forsanche non maggiorenne che, per la serie “Non facciamo notare”, a bordo di una Maserati rombante, giusto per scorrazzare sulla promenade, spara di quelle sgasate che valutiamo necessitanti di un’autocisterna per il rifornimento.

Raccattiamo al loro “misero” albergo della catena Address actually on fire Atti il Grande ed eredi per puntare verso Abu Dhabi, lungo uno stradone a cinque corsie per senso di marcia perfettamente manutenuto nel nulla più assoluto, decidiamo per una leggera deviazione e ci ritroviamo nel bel mezzo del circuito di Yas Island, teatro spaziale di un appuntamento della Formula 1 al cui confronto la gloriosa e mitica tappa a Monza sembra essere una pista da biglie sulla sabbia.

Un albergo fantasmagorico, su un’isola ovviamente artificiale, contornato da una marina tempestata di yacht da capogiro, il grand prix di Abu Dhabi ci fa senza grandi difficoltà immaginare il mondo stellare che contorna le evoluzioni motoristiche di venti ragazzini alle prese con la realtà di un gioco finora affrontato solo sui joy stick di una Playstation .

Raggiungiamo downtown, proseguiamo lungo la corniche sovrastata da ogni tipo di costruzione svettante verso il cielo ed entriamo all’Emirates Palace e qui non aggiungo parola, termine, vocabolo in quanto rimaniamo con una paresi a mandibola e mascella spalancate davanti ad un lusso sinceramente esagerato ed al limite del pacchiano, tra pavimenti in marmo accecante, stucchi, arazzi, tappeti e lampadari da favola.

Attraversiamo la strada e ci proiettiamo al 74° piano delle Ethiad Towers, gioiello alberghiero del gruppo Jumeirah e già buen ritiro di ricchissimi industriali lissonesi, che per ovvi motivi di privacy fiscale non citerò, ammirando lo skyline dell’emirato da una prospettiva a dir poco suggestiva, all’interno di un complesso architettonicamente curato con grandissimo gusto in ogni minimo dettaglio, roba per pochi, pochissimi eletti .

La sosta alla Grand Mosquee è molto più che un obbligo per questo monumento d’italico marmo bianco, mai come questa volta vera e propria cattedrale del deserto, ove non si è badato ad esagerare per santificare il nome del profeta e dell’onnipresente regnante attuale a cui è stato dedicato il tutto, con una serie infinite di cupole, minareti, piscine, giardini, mosaici che ritengo lo facciano divenire uno dei soggetti più fotografati del Medio Oriente.

Serata con parvenza orientaleggiante grazie a cena sotto le stelle nel contesto del Medinat, sorta di suq artificioso dall’altissimo quoziente monetario per gli incauti acquirenti, incastonato alle propaggini della celeberrima vela del Burj al Arab, ove proviamo ad avvicinare il nostro palato e le nostre papille gustative ad una serie di alimenti tendenzialmente autoctoni, secondo il Tommy frattaglie di cammello comprensivi di avanzi del fantino stesso triturato, in un’atmosfera pervasa dall’aroma (a mio modestissimo modo di pensare puzza) di shisha, il vapore delle essenze fumate nei narghilè, loro onnipresente must dello sballo controllato.       

Secondo i più eruditi economisti si definisce spending review, i guru del marketing la delineano come revised budget, più semplicemente si potrebbe ipotizzare il voler essere accorto, parsimonioso ed oculato sta di fatto che in questa vera e propria Mecca dell’acquisto ossessivo e compulsivo per il secondo anno consecutivo riesco a portare a termine un percorso netto, senza acquistare alcunché e di questo me ne vanto e me ne fregio.

E’ arrivato il triste e mesto momento dei saluti, degli arrivederci, mi auguro mai nella vita degli addii per questo paradiso artificiale e virtuale che fa parte integrante, pulsante e vitale della mia, forse limitata, prospettiva esistenziale.