FLORIDA - DICEMBRE 2009

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Mentre una quantità di boccolosi e cotonati cristalli nevosi ammantava la bela, vegia Milano, cominciamo il sogno cullato da decenni e provvediamo a non santificare in maniera canonica le prossimissime festività natalizie abbandonando parenti e conoscenti per fare rotta verso la Florida, il Sunshine State, la terra del sole splendente che vediamo di raggiungere dopo aver prenotato il tutto con solo dieci mesi di anticipo.

Un bel meno 9 gradi ci fa sbarellare di brutto mentre lasciamo la tundra lombarda per imbarcarci con quasi due ore di ritardo sul volo Delta diretto ad Atlanta, con hostess talmente agghiaccianti da apparire star di film come Poltergeist o Nightmare, e carrambiamo per la sorpresa annunciata di incontrare tre quarti della famiglia reale gallaratese, in trepida attesa di abbracciare a Miami l’Imperatore della Tovaglietta, ancora morbosamente attaccato alla sua fabbrichetta.

Quasi undici ore per me passano inosservate, i tre film proiettati assolutamente trascurati mentre apprezziamo con gusto la prima volta di una pizza ad altissima quota, prima di mettere piede nella capitale della Georgia con programmato lungo stop prima della coincidenza giusto per un take a look of the town.

Una bretella autostradale a dodici corsie ci porta nel cuore della città, caratterizzato da un’enorme piazza giardino con prospiciente sede della CNN, del museo della più grande invenzione dell’umanità, quel misterioso farmaco verdastro commercializzato a fine ottocento diventato poi il millesimato per eccellenza con la denominazione controllata di Coca Cola e dello straordinario acquario ove rimaniamo esterrefatti ed affascinati dall’eleganza delle razze, dalla maestosità degli squali balena, dalla ferocia dei piranha, dagli incantevoli colori e dalle meravigliose sensazioni d’innumerevoli specie di essere pinnati e branchiati.

Come Zombie ci trasciniamo verso il check in successivo ove il grande Nic si immedesima in perfetto sbirro stile Miami Vice  al cospetto di un cleptomane che proprio davanti ai nostri occhi  cerca di appropriarsi del giubbotto del Tommy e sfondiamo i materassi del Red Roof In Hotel di Miami che ci accoglie con piscina e prima colazione inclusa all’esorbitante cifra di 65 euro a gruppo famigliare .

Mixando abilmente struggenti cantilene di mandriani del Montana e melanconiche melodie di esuli cubani sopportiamo stoicamente i limiti di velocità capestro che ci condizionano nel lentissimo procedere verso Key West, ultimo avamposto abitato nel meridione della costa orientale statunitense: memori delle tensioni nervose accumulate in loco dal leggendario Teo, ci armiamo di santissima pazienza e onde evitare arresto immediato dovuto a presenza plurima di pattuglie della stradale assetate di sangue di conducente impieghiamo quasi tre ore per giungere al punto più vicino a Cuba che dista esattamente 90 miglia marine di libertà, sviluppo, democrazia ricchezza.

Tipico esempio di come si possa attrarre migliaia di fessi nel nulla più assoluto, curiosiamo tra casette di pseudo stile ottocentesco, negozietti tipicamente falsi e terminiamo la promenade nel decantatissimo Mellory Park, insieme di bancarelle affacciate a quello che dovrebbe essere il palcoscenico per il tramonto più famoso del mondo, oggi chiuso per ferie causa accumulo di stratificazioni nuvolose.

Rientro nel carinissimo Sea Dell Motel di Marathon dopo un centinaio di chilometri di isolette, scogli e lussureggianti insenature tra Golfo del Messico e Oceano Atlantico, ove le infinite doti della Signora Passoni ci permettono di cenare in perfetto sapore italiano con materie prime e metodi preparazione che diventeranno oggetti di studio per i prossimi millenni.

Come salmoni che risalgono la corrente, sperando di non incontrare il famelico pescatore Nico affascinato da ogni tipo, forma e dimensione di esca da pesca, torniamo verso nord, diretti verso la terra ferma, lasciando ad entrambi i nostri fianchi il mare ed alle nostre spalle tutte le varie keys, agglomerati di villette, motel e ristorantini che seppur senza rimanere incisi indelebilmente nei nostri cuori ci rimarranno comunque a lungo in testa per semplicità, normalità, sobrietà delle varie Islamorada, Marathon, Cayo Largo con unica eccezione a Duck Key, estremamente chic, raffinata e snob al punto da aver incontrato una glamourissima famiglia, ovviamente tutti bianchi, bellissimi e biondissimi, che ha affittato una spiaggia intera, troupe artistica inclusa, come set fotografico per il loro calendario natalizio.

Giungiamo ad Homestad, inutile cittadina di pompe di benzina e fast food che fa però da cancello di ingresso al parco nazionale delle Everglades, molto piacevolmente visitato tra mangrovie di ogni genere, volatili di ogni specie ed alligatori di ogni tipo che ci sconvolgono per quantità e dimensione , dobbiamo stare attenti a non calpestarli, sono più numerosi dei cagatori piccioni di Piazza San Marco, nonostante ci troviamo a meno di mezz’ora dalla folle Miami che ancora per qualche giorno lasciamo decantare nel brodo dei desideri.

Ci addentriamo verso il centro della Florida, puntiamo dritto al cuore delle paludi ove alla facciaccia di tutte le dicerie del caso proviamo una delle emozioni più suggestive della nostra vita facendo un lunghissimo giro degli acquitrini con l’air boat, barca a fondo piatto con propulsore esterno ad elica che a pelo d’acqua ci fa sfiorare a velocità pazzesche canneti e piante lacustri di questo immenso stagno che si estende per decinaia di centinaia di chilometri verso il sud dello stato.

L’incontro quanto mai ravvicinato per non dire incollato agli aguzzi dentoni di innumerevoli alligatori ed alle piume variopinte di uccelli non ben identificati ci lascia senza parole al punto che il mucchietto di ossicine denominato Tommino trae la conclusione che Madre Natura è la moglie di Babbo Natale tanto è straordinario tutto quanto ci circonda.

Nel primo pomeriggio facciamo tappa a Naples, teoricamente sconsigliata da precedenti suggerimenti di siti vari per escursionisti curiosi, invece dobbiamo sottolineare la grande eleganza della cittadina, assai organizzata, ottimamente strutturata, eccezionalmente costruita con una serie di abitazioni unifamiliari  mozzafiato e di sfarzosi condomini sulla stupenda spiaggia di polverosa sabbia bianca ove assistiamo ad uno splash solare da lacrima di emozione.

Capitolo indigeni: non c’è che dire,’sti figli di Obama o per lo meno fans dell’abbronzato presidente sono eccezionali, uno più disponibile dell’altro, seppur uno peggio vestito del suo vicino, sono estremamente alla mano, cortesi, educati, ligi a ogni forma di regola e d’indicazione, lasciano la bile in bocca al pensiero di quanto ritroveremo nel Belpaese.

Se si tralascia il fatto che tutti parlano con una big potatoe bollente in bocca rendendo praticamente incomprensibile ogni nota vocale, dove riusciremo mai a trovare commesse che ci consigliano tessere sconto non richieste, sconosciuti che augurano il buongiorno a chiunque incontrino, pompieri che girano la città distribuendo dolciumi, con Oscar al prototipo a stelle e strisce al super iper over size bonario nonnetto, tutta barba bianca e pancione che ci fa da driver nel giro acquatico delle paludi facendoci capire che qualcosa stiamo sicuramente sbagliando nella nostra italica vita.

Con ancora negli occhi le hollywoodiane dimore di Naples, elegantissima Costa Azzurra traslata sul Golfo del Messico e i succhi gastrici riconoscenti per la straordinaria Pizza Hut consumata nel più classico e cinematografico dei motel on the road, scavalchiamo un paio di promontori verdeggianti per raggiungere Sanibel e Captiva, due isole tanto decantate quanto evitabili se solo si eccettua una spiaggia ricoperta, in tutta sincerità e verità, da milioni di conchiglie che rendono veramente unico e irripetibile lo struscio sul bagnasciuga scricchiolante al nostro passaggio.

Data l’assenza praticamente assoluta di bipedi di stirpe umana in tutto il territorio urbano di Fort Myers dopo il calar del sole sfoghiamo i nostri istinti di contatto sociale incontrando commessi, addetti alle vendite e personal assistant shoppers in ogni tipo di attività commerciale avente insegne degne di nota ove, grazie anche all’adorato stratosferico potere dell’euro, riusciamo a comprare due paia di Vans a sedici monete europee, tre polo Ralph Lauren a 60 dollaroni e due jeans Tommy Hilfiger all’equivalente di una pizza al monzese Bodega mentre l’indispensabile tappa da Abercrombie & Fitch, ben consci delle chilometriche attese nella neo boutique milanese, si risolve con una solitaria visita in uno store assolutamente trascurato e sottovalutato dai trand setters  locali, impazziti ora per Aeropostale .

Il massimo delle nefandezze alimentari lo tocchiamo ingollandoci 16 pezzi di pollo variamente cucinati che estraiamo da un trogolo dimensioni oblò di lavatrice, contornato da box extra large di insalata russa, fagiolini bolliti, maccaroni cheese e purè, il tutto innaffiato da litri di Pepsi sotto l’insegna KFC.

Puntiamo senza indugi verso nord, giochiamo con la splendida sabbia bianca delle spiagge di Fort Myers, anch’esse variamente punteggiate vuoi da casette in legno colorato con accesso diretto al rifrangere delle onde vuoi da esclusivissime enclave con ville da capogiro, una diversa dall’altra, comunque in un connubio assai piacevole e fotografabile.

Tranciamo a metà la città di Sarasota, ovviamente sezionata dai tipici ponti chilometrici, vediamo passare in fotocopia le solite distese di palme ed i soliti vecchietti abbronzati, sereni e sedentari e riusciamo a perderci all’intesection di un banalissimo incrocio nei sobborghi della minuscola Bradenton.

Lasciamo raffreddare i pneumatici giusto il tempo per un breve lunch e via verso Tampa che ci appare nella più assoluta, totale e preoccupante desolazione pre natalizia al punto che in tutta Downtown e nel Business District ornato con grattacieli a specchio non troviamo un dicasi un camminatore su marciapiede.

Non adocchiamo alcuna insegna sfavillante, anche un enorme mall è preda di spiriti e fantasmi e allora l’unica, possibile ancora di salvezza per il cenone della vigilia è l’accogliente, famigliare, sempre disponibile, caldo e amichevole Mc Donald.

Dopo esser passato anche da queste parti con l’appellativo di Santa Klaus e relativi doni per i frugoletti in trasferta, Babbo Natale ci lascia la brutta sorpresa della prima ( e fortunatamente unica) mattina di pioggia per cui carichiamo di gran carriera la Pontiac orientandoci verso Clearwater, ennesima colata di cemento adagiata però su una spiaggia veramente spettacolare ove, baciati da un più che tiepido sole, riviviamo da protagonisti il film Uccelli venendo praticamente assaliti da uno stormo di gabbiani in picchiata sul pontile della marina.

Diamo fondo a tutti i nostri risparmi, rompiamo i salvadanai a forma di porcellino porcellanoso, ipotechiamo i futures su prossime rendite e per ben 28 euro prendiamo al Motel 6 quella che per il momento si sta rivelando la più accogliente tra tutte le stanze floridiane.  

Anche se non si dovrebbe mai fare, torniamo nella stessa giornata sui nostri passi ed eccoci allora ancora prospicienti ai cavalloni di schiuma per assaporare un pomeriggio di sole accarezzando delicatamente una rotolante sulla veramente stupenda sabbia di Clearwater, nel golfo di Tampa Bay.

Cena con tradimento assoluto di qualsiasi catena di fast food per graditissima pesciolata variegata e poi tutti a bocca aperta, con gli occhi sgranati davanti alla casa di un pazzo furibondo che ha ricoperto il giardino davanti a casa con ogni tipo di luminarie , di festoni, di animaletti fluorescenti per un diluvio di luci e di colori che necessita da solo la produzione elettrica di una centrale nucleare.

Rinfrancati da un piacevolissimo tepore pre estivo torniamo a Tampa, la giriamo nel giro di qualche istante, la fotografiamo in lungo e in largo trovandola anche alla luce del sole assolutamente priva di presenze umane, mettiamo il naso nel teorico historical district che è vecchio quanto il più recente quartiere della Taccona di Muggiò, ammiriamo le antiche fabbriche del tabacco trasformate in teoriche attrazioni di aggregazione sociale e filiamo dritti dritti verso Orlando ove giungiamo nel primo pomeriggio dopo una fantastica digressione a Lakeland, contea ricoperta di laghetti meravigliosi in un contesto fiabesco che ci illumina d’immenso e ci fa riflettere a lungo sulla meravigliosa esistenza in loco.

Eccoci a Orlando, divertimentificio obbligatorio per orde di allevatori di tacchini dell’Iowa e di accompagnatori di manze femminili molto ingrassate del South Dakota, ci guardiamo un po’ intorno e decidiamo di approfittare di ulteriori ribassi sui prezzi già di per sé assai convenienti con nuova discesa degli scontrini assicurata nel dopo Natale, con il Premium Outlet che ha proprio il suo perché in merito.              

La folla è immensa, dopo una settimana di pace e tranquillità tra ameni arenili e rilassanti paesaggi bucolici la massa è addirittura fastidiosa, per la prima volta non solo da reparto di geriatria, non osando pensare a quello che ci attenderà nei parchi divertimento.

La colazione da Dunkin Donuts è una vera e propria coltellata a ogni nutrizionista e dietologo ed anche la più semplice delle brioche appare glassate,farcita, ricoperta, colorata il tutto per darci abbastanza calorie sufficienti per una settimana di lavori forzati.

Entriamo presto prestissimo ad Epcot, il parco enterteinment prescelto dopo mesi di attente analisi, precise valutazioni, definitive esclusioni tra le tantissime alternative proposte da questa Las Vegas per poveri: come direbbe l’immenso Teo, ispiratore di questi vent’anni di descrizioni di viaggio ( io non finirò mai di ringraziarti, parenti ed amici forse un po’ meno ), avrei potuto trovare un modo migliore prima di gettare 200 euro nella tazza e tirare lo sciacquone ma era assolutamente impossibile dichiarare improvviso forfait.

Nulla di iperbolico, niente di stupefacente ( magari fossero disponibili …) ma i mondi tecnologici riproposti grazie a munifiche donazioni di colossi quali Siemens, Kodak e Hp, che tra l’altro farebbero assai meglio a questo punto a investire di più con Condè Nast, sono emozionanti, palpitanti ottimamente strutturati e assai più accattivanti rispetto a resort d’intrattenimento stile Disney Parigi o Gardaland, sempre e comunque che la tua carta d’identità non professi più di dodici anni.

Ci stiamo una giornata intera, uscendo ben oltre il calare delle tenebre, con Ko totale di Annie e Nico che impavidi e sprezzanti del pericolo e della tensione pensano bene di voler rifare la simulazione aerospaziale, questa volta però in versione originale quasi in assenza di gravità, con attorcigliamento budellare assicurato e purtroppo poi confermato.

I rifacimenti di realtà mondiali quali Messico, Francia, Inghilterra hanno semplicemente dell’agghiacciante, facendo rimpiangere alla stragrande la Minitalia di Seriate Bergamasco e allora volata verso il Days Inn che ci permette il primo bagno, fatto si in una piscina riscaldata ma certamente non meno apprezzato trovandoci sotto le stelle con il calendario che segna il 27 Dicembre.

Attraversiamo Orlando come un coltello bollente su un panetto di burro, non ci lasciamo alle spalle particolari emozioni e rimpianti anzi e rimettiamo il naso e soprattutto le chiappe ansiose di mare sul lato orientale della Florida, raggiungendo con unanime entusiasmo della combriccola Cocoa Beach, tipica località che potrebbe essere l’emblema dell’american way of life, tutto perfetto, tutto pulitissimo, e un molo proteso verso l’Oceano, circondato da decine di cavalcatori di onde, che aspetta solo di essere fotografato da tutte le prospettive.

Apoteosi finale da Ron Jon, negozio delle dimensioni di un nostro centro commerciale con tutto lo scibile e l’immaginabile per i surfisti, aperto 24 ore al giorno, con i clienti che depositano le tavole nelle rastrelliere esterne ed entrano, tassativamente scalzi, per qualsiasi esigenza relativa al loro unico passatempo esistenziale.      

La mia ostinata riluttanza verso la tecnologia deve scontrarsi contro un dato di fatto ineluttabile: la base della Nasa a Cape Canaveral è un qualcosa di mostruosamente affascinante che mi lascia basito, attonito, sbigottito: niente potrebbe essere più esemplificativo dei razzi e delle navicelle spaziali qua presenti per poter spiegare l’evoluzione della specie umana e la sua perenne, insaziabile ricerca d’innovazione al punto che sfiorando l’Apollo che ci ha permesso di solcare la superficie lunare si capiscono perfettamente le parole di Armstrong che ricorda come ogni tipo di sogno può diventare realtà.

Questa sì che è una giornata spettacolare e ripensando al tempo e alla cofana di denari sprecati a Orlando capiamo più che chiaramente ciò che c’è da consigliare ai presenti e ai posteri.

Pomeriggio a Vero Beach, ennesima cartolina di questa realtà praticamente perfetta, con barche parcheggiate nel giardino di casa curato con le forbicine e incredulità perpetua circa l’esistenza di un simile mondo, comunque sempre “ non un paese per giovani” come direbbero in parte i fratelli Cohen.  

Abbiamo l’obiettivo nel mirino, ormai sentiamo il sound e il sapore di Miami, la temperatura si sta alzando sotto tutti i punti di vista, Palm Beach è straordinaria, le ville sono da sogno, il clima è strepitoso, ma prima di farsi venire un attacco di fegato con interessamento della cistifellea al cospetto di cotanta sfrontata ricchezza proseguiamo verso sud, dopo un indimenticabile bagno nell’oceano al 30 di dicembre, passiamo senza neanche fotografarle da Boca Raton e Pompano Beach per arrivare a Fort Lauderdale, infinita montagna di costruzioni bordo spiaggia che ci lascia piuttosto allibiti circa i criteri relativi ai piani regolatori e alle concessioni edilizie.

Troviamo un quartiere denominato Little Venice e non fatichiamo a capire il perché: una serie d’innumerevoli canali si protende verso il mare con una piccola caratteristica quella cioè di avere veri e propri panfili accanto alla veranda del giardino ove si sorseggia l’aperitivo, con standing ovation ai due paesà che pensano bene di chiamare le loro cattedrali galleggianti Bella Contessa e Fratelli d’Italia !!

Oggi vediamo le due facce della stessa medaglia, il bianco e il nero, lo yin e il ylong della medesima realtà:  appena svegli cominciamo a crogiolarci al sole a Hollywood Beach in assoluto isolamento ( se si esclude il fatto di avere la wifi gratuita in spiaggia pur distanti un paio di chilometri dall’abitazione più vicina ) al punto che ci pare di essere in un lembo di territorio caraibico mentre nel pomeriggio il centro pulsante del medesimo litorale, solo un paio di miglia a sinistra, è invaso da migliaia di omini, la quasi totalità incredibilmente sciatti, scialbi e scordabili.

Facciamo una capatina anche a North Miami Beach avendo più di una difficoltà nel cercare di misurare i milioni di tonnellate di calcestruzzo usati per costruire questi casermoni tutti vetri e balconi sopra i trenta piani, mix ben diversificato di architettura della scuola di Las Vegas, pacchianeria riscontrabile a Cancun ed università di tecnologia di Dubai, il tutto comunque sempre nel verde più verde della vegetazione di fronte al blu più blu dell’oceano.

Ed anche Capodanno è passato, siamo nel venti dieci, lontani dai lustrini, dalle paillettes, dalle trombette e dagli eccessi di stampo europeo, viviamo lo scoccare fatidico sul tetto di un hotel in Ocean Drive assieme al magnate della tessitura ammirando i fuochi d’artificio a South Beach, sotto le stelle, con quasi trenta gradi dopo una cena più che apprezzata sul lungomare più famoso di Miami per il faraonico conto di 80 bigliettoni verdi in quattro, in mezzo ad una folla non gaudente, festante e straripante come avremmo supposto.

Curtis, modello di colore con dentatura perfetta e fisico statuario strappato direttamente dai cartelloni di A&F  ci accoglie al front desk del Sofitel Miami Lagoon facendoci capire il livello e la qualità del nostro prossimo giaciglio: per gli ultimi tre giorni in Florida vedremo come tetto delle nostre teste una logistica di altissimo livello con un’atmosfera veramente elegante .

Grazie Annie, degna conclusione di un programma alberghiero che una volta ancora centra a tutto tondo ogni tipo di esigenza e aspettativa, con un’ottima programmazione prevista con un anno di anticipo, a novemila chilometri di distanza e soprattutto senza precedenti esperienze in loco.

Curiosi, determinati, motivati iniziamo di primissima mattina la scoperta di Miami, girovaghiamo per Coral Gabbles tra unità immobiliari da arricchiti dell’ultimo minuto, ci fermiamo in calle ocho, main street di Little Havana per fare scorta di sigari in una drogheria caffè in cui sicuramente non avevano mai visto un europeo e ci facciamo rapire dal meraviglioso e nello stesso tempo assurdo assemblaggio di grattacieli di Downtown ove, grazie ad una metro rail sopraelevata ovviamente gratuita, restiamo con il nasino all’insù ed il ditino sulla digitale fino al ritorno al via senza essere passati da Vicolo Stretto.

Bayside, inizialmente erroneamente confusa con Cocowalk causa crisi senile dello scrivente non più in grado di ricordare un indirizzo a vent’anni dal precedente salto in zona, potrà pur essere un’accozzaglia di vetrinette per turisti imbecilli, ma il clima è piacevole, l’atmosfera calda, il sole cocente, il passeggio molto gradito in questo market all’aperto, affacciato sulla baia puntinata di barche da pesca e da spiaggette non molto differenti da quelle presenti sui miglior depliant vacanzieri.

Ritroviamo gli amichetti in sella ad un puledro rosso fiammante, senza tetto e sputa cavalli imbizzarriti di potenza che permette loro di passare totalmente inosservati come uno svedese nel Bronx lungo lo struscio glamour e di tendenza a Ocean Drive, tra casette stile decò, ristorantini attraenti e water front di assoluta menzione.

La presenza di troppo compatrioti, finora assolutamente e fortunatamente mai incontrati, disturba la quiete e il piacevole girovagare senza meta per le vie del centro, commemoriamo la figura di Versace con un veloce passaggio a Casa Causarina, entriamo al Delano e al Loewe, templi del potere di ogni tipo di denaro, probabilmente però assai sporco visti i tratti somatici degli ospiti e ripieghiamo verso i più nazional popolari outlet, presenti praticamente a ogni semaforo, per completare il rifacimento totale dei singoli guardaroba.

Dopo sedici giorni, 1800 miglia pari a circa 3500 chilometri, 1258 scatti fotografici, sei pieni di benzina al corrispettivo di uno nostro e tantissime emozioni poniamo fine a questa avventura nel Sunshine State, cui consigliamo di alzare la temperatura atmosferica, dopo aver passato il Natale a Orlando e il Capodanno a Miami, tiriamo le conclusioni di un viaggio una volta ancora straordinario, in una realtà che molto più che volentieri tutti e quattro vorremo fare nostra, magari anche per sempre !!

 

P.S. Mentre i titoli di coda erano già scorsi e sfumati come appendice alla nostra vacanza, forse a causa di una vera e propria gufata del sempre poco abbronzato imprenditore longobardo, eccoci ad un improvviso e tutt’altro che gradito atterraggio di emergenza, tra uno stuolo di pompieri con lampeggianti sfavillanti in nostra attesa nella più defilata pista di rullaggio del JFK di New York, dopo totale scarico del carburante e distribuzione generalizzata di calmanti virtuali per evitare crisi isteriche ben presto serpeggianti tra i vacanzieri già altresì rammaricati dal rientro verso l’attività lavorativa