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Se, come dicevano gli antichi detti tramandati da generazione in generazione, il buongiorno si vede dal mattino, devo proprio ammettere che le mie vacanze estive 2007 dovranno essere vagliate con estrema circospezione: dopo aver evitato con ogni genere di sotterfugio per interi lustri l’avvicinamento alla mia epidermide di ogni tipo di ago sterile, mentre ho ancora negli occhi e nella mente campagne di comunicazione pubblicitaria temporaneamente, e mi permetto di aggiungere, meritatamente tralasciate, mi trovo tra le grinfie di una dottoressa dell’ufficio di igiene che senza neanche essersi presentata, ha pensato bene di inocularmi vaccini contro tutto e tutti semplicemente perché ho preannunciato un saltino in terra africana.
Ancora sotto choc per l’intrusione di un corpo contundente nel mio delicato io, rimango in trance e non seguo minimamente i consigli, i pareri, le indicazioni che la signora in camice bianco declama come una lentissima litania, tra l’altro profumatamente ricompensata.
Grazie al rompete le righe anticipato gentilmente concesso dal nostro Big Boss dalle lunghe e dorate chiome fluenti, un giorno prima del previsto mi ritrovo in terra di coloro che a vita dovranno subire i nostri sfottò calcistici post Germania 2006, arrivando in quel di Cannes con una monovolume che aveva più le sembianze di un carro di zingari che di una autovettura famigliare: Annie, unitasi in last minute per evitare ogni qualsivoglia forma di apprensione dovuta ai tre maschi a zonzo, ha provveduto bene ad applicare una nuova teoria circa la compenetrazione dei corpi, arrivando a dei livelli di carico praticamente inimmaginabili.
Senza respira troppo per non rischiare di spostare ciò che era in equilibrio, giungiamo in Costa azzurra in tempo per immergere le membra in riva alla Croisette prima di un tramonto di fuoco degno di sottolineatura.
La fauna locale è suddivisibile in due uniche categorie: uomini truzzi e maranza che fanno a gara a chi emette più decibel da fuoriserie dagli infiniti cavalli imbizzarriti e donne tutte iscritte al Festival della Zoccola a pagamento, in attesa di loschissimi russi ed ambigui arabi, uniti in tutto e per tutto dal solo Dio denaro.
Facciamo un salto al locale ipermercato e dobbiamo ammettere che pur non provenendo dall’Unione Sovietica post staliniana, rimaniamo semplicemente stupefatti e sbigottiti dall’infinita, praticamente esagerata quantità di ogni ben di Dio alimentare che chiede solamente di saltare dentro ai nostri carrelli: figli del consumismo, abituati da ogni forma di grande distribuzione organizzata, siamo come bimbi fuori da un negozio di leccornie vedendo che ogni tipo di cibaria è presente in decine di varianti, quantità, versioni, soluzioni raggiungendo vertici di assoluta unicità.
Tocchiamo con mano, riportando tra l’altro ustioni di primo grado, l’esorbitante costo della vita lungo il territorio prospiciente Cannes, ove qualsiasi cosa viene con un inspiegabile sovrapprezzo dovuto al “piacere” di trovarsi al copsetto di una molto teorica fetta del jet set, più facilmente descrivibile come immorali arricchiti dediti al più ostentato spargimento di feci.
La stragrande maggioranza delle presenze è pur sempre costituita dal resto del mondo, con differenza siderale di usi, costumi non griffati e soprattutto consumi parchi e morigerati, al punto da sembrare simile a certe immagini di scontro sociale tra latifondisti sudamericani immensamente ricchi e zombi provenienti da malfamate favelas.
Partiamo di prima mattina, non senza aver ingurgitato l’ennesima dose extra large di carboidrati e calorie, brutta abitudine che ritengo ci accompagnerà per tutto il Tour de France, e forse per la prima volta in vita nostra diamo un taglio storico-artistico-culturale alle nostre peregrinazioni turistiche, visitando Avignone, sede per sessantanni dell’esilio papale e borgo in tipico stile scatto fotografico a go go .
Grazie ad una caduta repentina della colonnina del mercurio, ci ritroviamo nel giro di pochi sessanta minuti a perdere ben 18 gradi al punto da temere fortemente l’apparizione di lui infreddoliti nel corso dell’attraversamento di dolci declivi che, con altre condizioni climatiche, potrebbero sicuramente assumere connotazioni ben più favorevoli.
Una violenta battaglia a cucinate pone fine al torpore che ci ha assalito durante una nottata passata, in pieno agosto, sotto spessi piumoni: ebbene si stiamo quasi rimpiangendo le torride cappe di caldo asfissiante tipiche della bassa padana mentre veniamo sferzati da gelidi aliti provenienti dai monti sovrastanti Clermont Ferrand.
Se nel corso delle prime ore di viaggio era necessario con grande sforzo di fantasia per poter definire piacevole un paesaggio totalmente piatto ed uniforme, le piacevoli ondulazioni e i verdeggianti saliscendi che si susseguono in maniera assai bucolica ed agreste nella regione dell’Alvernia rendono alquanto gradevole il percorso, purtroppo non degnamente supportato da un decente sottofondo musicale in quanto in più di ottocento chilometri in terra transalpina non abbiamo cuccato una dicasi una stazione radiofonica per lo meno decente, facendoci anelare le frequenze di Latte Miele e Radio Kiss Kiss per non parlare della televisione locale tacciata dal Tommy con critiche cui preferirei porre il veto della censura.
Il cielo sopra di noi è a dir poco cangiante, peccato passi dal nero, al grigio piombo, al fumo di Londra in tutto e per tutto simile all’azzurro infinito della patria campione del mondo, nonostante ciò non molliamo mai ( non per niente siamo interisti Campioni d’Italia) e raggiungiamo Burges, straordinario paesino incastonato intorno aduna preziosa gemma costituita dalla cattedrale gotica a dir poco maestosa.
Tiriamo sempre verso Nord e nel pomeriggio visitiamo il primo castello della Loira, l’umile dimora dei conti di Cheverny, autentico bijou tra immacolati prati verdi a perdita d’occhio, per poi passare dal fantasmagorico Chambord, enorme, vastissimo, praticamente imbarazzante per imponenza, lusso e sfarzo ( Aldo aspettiamo di vedere la tua risposta gallaratese ) ….
Ultima tavolettata di acceleratore e stop in serata a Blois ove la tecnologia applicata alle prenotazioni on line ci ha assegnato un alberghino, definizione del Tommasino, a metà strada tra l’arredamento giallo limone dell’Ikea e le costruzioni lillipuziane per gli gnomi delle fiabe.
Firmiamo un contratto a cottimo che prevede entro fine giornata la visita del più alto numero di dimore principesche e a ben guardar bisogna ammettere che ci siamo impegnati molto: sorretti da una generosa dose di raggi solari mettiamo il naso a Chaumont, Amboise, Chenanceaux, Beauregard, Troussy, Fougers, ove gente che conta, nobilastri vari, mantenute di corte, favorite di turno avevano pensato bene di crearsi il loro personalissimo buen ritiro, solitamente prospiciente alle verdognole acque della Loira, con ovvio effetto specchio di innegabile fascino.
Tralasciando ogni tipo di commento circa le fortune degli allora abitanti e locatari, evitiamo ogni giudizio anche e soprattutto sugli attuali proprietari di queste straordinarie realtà, di gioielli unici al mondo che, tanto per non cambiare i pessimi usi locali, turlupinano i poveri turisti viandanti con gabelle di ingresso simili ad anticipi sulle tasse erariali.
Giusto per non perdere il vizio delle viste, invece che fare il ruttino del dopo cena, eccoci bordeggiare il grande fiume appena in tempo per assistere ad un tramonto accecante stile caraibico nel bel mezzo della piatta pianura francese, per ammirare l’architettura di quello che si rivelerà il dodicesimo ed ultimo complesso residenziale da noi occhieggiato sulla strada per Parigi.
La Ville Lumiere, da sempre immaginata ed agognata per una gita con gli eredi, è finalmente molto vicina, ci sembra quasi impossibile esserci arrivati sulle quattro ruote della nostra utilitaria ma le prime indicazioni stradali ci confermano che ci siamo, abbiamo raggiunto la meta con la stessa gioia ed emozione con cui i pionieri di Overland scollinano verso Usuhaia, punta estrema della Terra del Fuoco, ove ovviamente troveranno il Nonno Ango ad attenderli.
L’impressione ricevuta dagli Chateaux de la Loire è stata a dir poco stupenda: sfarzo, lusso, grandiosità, eleganza, imponenza e charme di dimore, giardini, palazzi, fontane, arazzi, tappeti, vetrate, mosaici lasciano stupefatti tutti coloro che giungono fin qua per vedere la regione, dopo Parigi e la Costa Azzurra, più visitata dai 50 milioni di turisti che annualmente gonfiano le tasche degli eredi del Re Sole.
Attraversiamo di gran carriera Orleans, giusto per fotografare la monumentale cattedrale e leggere sulle guide le gesta eroiche della Giovanna nazionale ( loro hanno quella d’Arco, noi abbiamo la coscialonga di fantozziana memoria….) e facciamo il nostro ingresso trionfale, dopo aver snobbato una Versailles in fase di ristrutturazione, nella capitale con ben sei ore di anticipo sulla tabella di marcia, dando la prima botta all’elenco dei posti cult da visitare, ordinatamente elencati da Annie, da sempre irrimediabilmente ( e come potrebbe non essere così…) innamorata dell’antica Lutecia.
Rimaniamo semplicemente basiti al momento di ricevere la richiesta, o meglio l’imposizione da parte dei pargoli di visitare il Louvre ed allora, a turno per non attirarci immediatamente addosso la vigilanza, assecondiamo la loro voglia di cultura e di sapere mostrando la venere di Milo, la Vittoria di Samotrace, la Vergine delle Rocce, la Gioconda e qualche altra decina di capolavori di inestimabile valore sottratti in giro per il mondo con truffaldina maestria dagli avi del capo della Banda Bassotti, quel Luciamone Moggi di ormai planetaria fama.
Dopo aver praticamente mandato in tilt l’ultimo ritrovato della tecnologia, quell’utilissimo aggeggio denominato Ground Position System, nel nostro caso uno straordinario MIO di cui siamo testimonial, che arriva a bacchettarci “sui diti” nel caso osassimo avventurarci anche solo di qualche centimetro fuori dal percorso da esso preconfezionato, ricordiamo con un po’ di nostalgia le splendide stradine di campagna, i pittoreschi viottoli tra mura antiche e filari di vigne e, facendo riposare il navigatore, ci affidiamo mani e piedi alla memoria topografica di Annie che con abilità impeccabile si rimembra di ogni svolta, di ogni semaforo, di ogni rondpoint della capitale.
Con qualche dubbio, perplessità e timore da parte dello scrivente, dopo sveglia all’alba causa super eccitazione degli altri tre partecipanti alla gita, ci presentiamo ai cancelli di partenza della maratona di Euro Disney, intera giornata dedicata al divertimento ludico cominciata con l’ennesimo salasso praticamente da svenimento ( il solo parcheggio della macchina equivale ad una visita completa del Louvre alla facciaccia dell’arricchimento interiore e con ciò preferirei non aggiunger altro ) .
Non facciamo neanche in tempo a riprenderci dalla batosta che, causa errata scelta della prima attrazione, ci ritroviamo tra asteroidi, satelliti e meteore varie a sperimentare forza centripeta e centrifuga di una montagna russa celata abilmente nel buio più profondo con conseguente “vomitane” del vecchio Caprotti che, a dispetto dei fanciulli esaltati alla follia, torna con la mente e soprattutto con i fatti alla straordinaria avventura del Grand Canyon ed alla medesima conclusione del mitologico Teo: per 168 euro, attualizzati alla realtà contemporanea francese, avrei preferito sbruffare in albergo.
Non posso vivere in questa maniera la nostra esperienza nel più famoso resort di intrattenimento europeo ed allora ingrano la quarta, mi ricompongo dandomi un certo contegno nonostante i continui lamenti addominali e morsi intestinali e mi getto a capofitto verso ogni tipo di gioco, di avventura, di emozione.
Bisogna ammettere che hanno fatto tutto alla stragrande, probabilmente più per merito dei proprietari a stelle e strisce del marchio, ma l’ambaradan è sicuramente straordinario, abbandono ogni tipo di remora e tra castelli incantati, vascelli dei pirati, guerre al laser, treni del far West, battelli a vapore sul laghetto, ricostruzioni di paesaggi planetari arriviamo a concludere le nostre quattordici ore e mezzo a Marne la Vallèè dopo aver ammirato 42 delle 47 tappe consigliate, con gran finale a metà strada tra l’emozione e la commozione, con i fuochi d’artificio ad illuminare un cielo stellato, a suggello di una delle giornate più indimenticabili della nostra esistenza fin qui vissuta.
Ci svegliamo rivivendo il pathos della giornata a Disneyland Paris, tornando con la mente ed anche un po’ con il cuore a tutto ciò che ci ha fatto palpitare, in particolare alle gesta eroiche ed anche un po’ folli del Niccolò che sfidando i centri di gravitazione orbitale non ha esitato a sfidare ogni tipo di giravolta mortale, di discesa mozzafiato, di accellerazione contorci budella, il tutto ovviamente senza la presenza ed il supporto paterno.
Con estrema calma riprendiamo la visita di Parigi, toccando le mete turisticamente e storicamente più significative, posteggiamo sull’Ile de la Citè, immortaliamo per bene Notre Dame prima di spostarci ai piedi della Tour Eiffell, gigantesca creazione assemblata con i pezzi meccanici del meccano di fanciullesca memoria, ove abbiamo la peregrina idea di innalzarci rispetto alla folla in attesa degli ascensori inerpicandoci come capre tibetane su su per i 701 scalini che portano al secondo balcone del trabiccolo ferroso.
Ovviamente sarebbe troppo bello fermarsi al primo step, ed allora pur non avendo ancora smaltito
Le tossine dovute all’estenuante girovagazione del giorno precedente filiamo sparati fino al piano due ove ammiriamo in tutta la sua grandeur la splendida città che poi ovviamente non poteva non essere apprezzata anche da visione fluviale, grazie al giro in battello assolutamente nazional-popolare ma comunque di grande impatto scenico.
Cena in una tipica brasserie praticamente sotto le fondamenta della torre che ci regala l’ultima, palpitante sorpresa con uno sfavillio di luci intermittenti che illuminano a giorno la notte estiva e riscaldano i nostri cuori mortalmente colpiti da cotanto splendore nel contesto di una metropoli che emana che emana fascino da ogni suo angolo, ogni suo palazzo, ogni suo scorcio, ogni suo monumento.
Prima ancora che possa essere analizzata viene subito respinta con il veto materno, seppur democraticamente sottoposta all’assemblea famigliare, la balzana idea di proseguire verso Nord, infilandosi sotto l’Euro tunnel per giungere nella non preventivata meta londinese, trip rinviato a futura descrizione.
Ci fondiamo allora con rincorsa verso il midi, verso il mare, verso il caldo, dopo questa esperienza fantastica, vissuta quasi come una favola, in una città pulita, ordinata, organizzata, anche all’eccesso, vissuta e visitata da un melt-pot di popolazioni assolutamente differenziate e variopinte, in un cosmopolismo veramente introvabile in altre realtà mondiali.
Talvolta ciò che non è previsto riserva le maggiori sorprese ed allora con termine donato ovviamente dal Maestro Teo, cui vanno i diritti d’autore, palette alzate per Digione, splendida magione dei duchi locali che tra rigogliose pianure e lussureggianti colline avevano pensato bene di crearsi a dir poco da super evidenziatore, il tutto ancor oggi perfettamente conservato, degnamente alimentato dai migliori cuochi della Borgogna, finemente innaffiato dal nettare di vino più prelibato del paese e da noi giustamente dissacrato con sosta obbligatoria nell’imperialista Mc Donald.
Lione ha ignobilmente acquisito la menzione di località protetta dall’Unesco, sinceramente giriamo e rigiriamo senza sapere cosa trovare, questa Teo non è tua, per poter giustificare lo stop: qualche foto alla confluenza tra Senna e Rodano, sontuosa cena in una viuzza tipica del quartiere antico e cancellazione della pratica senza alcuna stellina di plauso per questa località caratterizzata dall’impossibile scimmiottamento di Parigi, biecamente tentato con qualche edificio tipico dello stile "voglio, voglio ma non posso" e stranamente popolata da una nutrita schiera di contestatori, alternativi, debosciati e punkabestia.
L’arrivo a Cannes è ormai prossimo, sette giorni a zonzo sono praticamente volati come i tremila e più chilometri macinati, sostiamo ad Aix en Provance giusto per ribadire il bello del non previsto, in questo caso grazie ad un centro storico punteggiato e lastricato da ristorantini, taverne e brasserie di questa realtà termale già famosa ai tempi dei nonni di Totti e prima che il sole tramonti eccoci di nuovo con le chiappe in acqua di fronte alla sempre opulenta facciata del Carlton sulla sempre gettonatissima Croisette.