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Quando ancora portavamo i pantaloni alla marinara eravamo abituati a sentire il famigliare ritornello del Corrierino dei Piccoli che ci rammentava l'inizio dell'avventura del Signor Bonaventura.
Ora, leggermente cresciutelli, timorosi e vergognosi nel mostrare una carta d’identità sinceramente avversa, cerchiamo di dare fondo alle ultime riserve di virtuale entusiasmo giovanile per portarci ai cancelli di partenza, prevista tra due giorni, di un’iniziativa ludico-turistica che mostra a tutt'oggi tanti lati oscuri ed ancor tutti da scoprire.
Talvolta mi è stato fatto notare che l'insistenza sia una delle mie prerogative, io preferisco definirla coerenza e linearità con i miei obiettivi, ma or dunque bando alle ciance e vediamo cosa ho ottenuto: mi sono state necessarie due telefonate ed un piano di viaggio per convincere colui che sa tanto di molto a seguirmi alla scoperta del Sol Levante.
A questo punto anche gli sparuti detrattori delle mie tecniche espositive dovranno mestamente ricredersi inchinandosi ed inginocchiandosi davanti all'altare del mio potere convincitivo, o forse sarà la volontà altrui di non volermi più sentir tornare sull'argomento ad avere tutto quest’ appeal ??
Sia quel che sia , fatto sta che il leggendario archisoffitto Vincenzo Massimiliano "Fukushima" Niola si arrotola sulla fronte il sacro bendaggio bianco con il sole rosso e si prepara a lanciarsi nel buio misterioso di un viaggio a dir poco raffazzonato.
Non sappiamo nulla, non ci siamo informati, non abbiamo fatto ricerche, non abbiamo solcato le onde della navigazione Inter nettiana, in poche parole ci lanciamo alla spera in Dio verso il lontano, molto lontano, estremamente lontano Oriente.
Per dirla tutta e concludere il solo prologo di tutto questo poema, futura pietra miliare di ogni viandante (figuratevi poi cosa vi attenderà nel proseguio della novella lietamente descritta), a trenta ore dalla partenza tutti i peli del corpo ci si rizzano come le punte dei capelli dei punk mentre ogni cellula del nostro corpo fa la ola dall'emozione e dalla voglia di raggiungere il Giappone. .. ma a chi minkia è venuto in mente di gettare i propri denari faticosamente accantonati per una simil folle destinazione?
Ci siamo, il D Day è sopraggiunto, l'attesa è finita, non si torna più indietro, con la cosiddetta voglia che mi salta addosso controllo gli ultimi dettagli dello spartano bagaglio già ridotto allo strettissimo necessario, che ovviamente sarà comunque superfluo, saluto i fortunatissimi famigliari restanti in terra padana e mi appropinquo a prelevare un Max invece arzillo, pimpante, praticamente al settimo cielo nonostante le erculee fatiche quotidiane di un lavoro massacrante che non gli da tregua neanche durante il tragitto casa aeroporto.
Sembra proprio che tutto ruoti intorno a lui, fornitori, clienti, appaltatori, installatori, manutentori, manovali fanno capo alla sua esperienza, ogni attività rischia la paralisi in sua assenza, impartisce ordini, detta istruzioni, esige conferme e finalmente spegne l'arma del mestiere mentre attraversiamo il rinnovato anche se non ancora completato duty free di Mxp.
Volo su Mosca quanto mai rilassante, da evidenziare solamente un caldo porco durante la permanenza sopra il continente europeo e piacevole incontro con prati innevati in quella che spero possa essere prossima meta di curiosità turistica, nel mio caso perennemente insaziabile.
Stop and go di meno di due ore, giusto per giustificare il prezzo super conveniente del passaggio volante e di constatare quanto siano antipatici, scorbutici ed inospitali i russi ed eccoci su altro Airbus targato Aeroflot, un tempo simbolo di timore aereo con i suoi famigerati e decadenti Tupolev ma ora compagnia di bandiera che spacca il secondo, forsanche per il timore di ripercussioni, di punizioni, di deportazioni mai dimenticate.
Nulla da segnalare, viaggio lungo, lunghissimo ma non particolarmente sfiancante, il morale della coppia Thelmo e Luigi è nella norma, non si notano al momento particolari eccessi, lo scrivente culla sogni di viaggio assorbendo e centellinando parola per parola i testi di un narratore lombardo contemporaneo che sta descrivendo il suo giro del mondo alla spera in non so quale Dio, mentre l'architetto è ancora avvolto dai fumi di un pacifico sonno, corroborato da due boccali di tavernello siberiano, ingurgitati senza ritegno per cercare vanamente di dimenticare l'assenza della sua compagna di vita, celebrata e nominata all'inverosimile.
Se la tanto auspicata e decantata perfezione nipponica si vede dal mattino, siamo a posto: attesa ben oltre il dovuto per il ritiro bagagli e due dicasi due su due scale mobili out of order, ci aspettiamo come minimo un suicidio di massa per gli ignobili colpevoli di simili nefandezze.
Treno Narita express preso quasi al volo e dopo un'ora d’inutile banlieue triste e priva di ogni significato eccoci in centro Tokyo, metropolitana facilmente acchiappabile e raggiungimento dell'umile dimora degli scappati di casa monzesi alla ricerca di emozioni lavorative e personali in estremo oriente.
Vista la casa posso dire che valeva la pena venire fino a qua solo per quello, ora posso tranquillamente fare dietro front dopo aver ricevuto il classico pugno nello stomaco al cospetto di un compendio assoluto di stile, design, classe ed eleganza, chiedo umilmente di essere adottato, ho qualche dubbio sulla riuscita della mia istanza e cerco di farmene una ragione.
Michaela sembra aver dimenticato molto in fretta regole ed imposizioni provenienti dalle sue origine teutoniche, ci porta in giro in bicicletta per la metropoli non rispettando semafori, precedenze e corsie prefenziali adottando uno stile di pedalata a dir poco mediterranea.
Veniamo abbandonati al nostro destino, curiosiamo a destra e manca nel quartier di Omotesando, il locale Champs Elysee con costruzioni prettamente commerciali per le griffe più altisonanti lasciate alla matita di progettisti dalla mente suprema e dal tratto inimitabile, scattiamo tre fermo immagine ad un tempio all'interno del parco Yoyogi tanto osannato ma in realtà alla stregua del nostro Parco Lambro solo con troppi gialli in più e nota effettivamente di plauso per il cimitero completamente attorniato, sovrastato e circondato da alberi di ciliegio in fiore, il tutto in un'aurea fiabesca d’indubbio valore.
E' sinceramente molto, troppo presto per tirare delle conclusioni ma il report alla fine della prima giornata vede in me il grande rammarico di non aver cambiato destinazione con i miei vicini di posto diretti nel vero e proprio paradiso terrestre che risponde al nome di Dubai Dreamland
Il visitare una città con abitanti autoctoni o acquisiti ha veramente il suo perché' ed allora un plauso sperticato ed immemore a Vito San e Frau Michaela che pur non avendo gli occhi a mandorla ed il colorito da ittero ci mostrano con dovizia di particolari quartieri e rioni di questa sterminata metropoli, con visuale ancor più privilegiata grazie a cena al 43 * piano del Park Kyat, elegantissimo e raffinatissimo teatro delle scene di Lost in translation, ai piedi del quale tutto sembra veramente piccolo piccolo.
Mi faccio coraggio, non penso a nulla, stringo i denti, faccio finta di niente e trangugio un boccone di questo tanto idolatrato sashimi o come cavolo si chiama: ma cosa sarà mai un pezzo di pesce crudo venduto come oro colato praticamente senza sapore.? Ai miei adorati gatti l'ardua sentenza.
Prendiamo una serie di taxi, bella esperienza per misurare il servilismo e la piaggeria dei locali, ancora più accondiscendenti nei confronti dei turisti dei già troppo cerimoniosi emiratini, e raggiungiamo il quartiere di Shinjuku, tutto luci al neon, locali di karaoke e club dal sapore, colore ed odore più che dubbio, vivacizzato dalla presenza massiccia di uomini ancora in giacca e cravatta usciti a tarda sera dagli uffici, per poi fare baldoria e bisboccia del venerdì sera, prima di stramazzare a terra ubriachi ancora vestiti, precedendo il turno delle signore che si godranno simile divertimento la sera successiva.
Sono pazzi questi giapponesi, come soleva dire il buon Asterix..
Per una volta nella mia esistenza sono felice di non conoscere uno dei piaceri della vita vedendo come un micidiale mix tra birra e sacche' ingurgitato la sera precedente ha ridotto gli altri due prodi samurai al momento della sveglia birichina.
Andiamo al mercato del pesce una ( o forse l'unica) attrazione di Tokyo ove 65.000 persone ( non è un errore di digitazione) ogni giorno trattano, contrattano, squamano, affettano, surgelano e commerciano ogni tipo di animale sottomarino per questa perennemente affamata popolazione che mangia, mangia tanto, mangia sempre, mangia ovunque, mangia non si sa cosa.
Esauriamo troppo presto il bonus "porcone" non avendo già di prima mattina più possibilità di insultare questi microcefali che non spiccicano una parola di lingua britannica, non ci sanno dire a che ora aprono i negozi, dove si trova la metropolitana, usano il navigatore anche per capire dove espletare i propri bisogni, non sapendosi orientare neanche nel cesso di casa propria, saranno disciplinati, ordinati, rispettosi all'eccesso, lavoratori indefessi ma anche molto fessi, dovere ed impegno sono tatuati sulle loro fronti, ma a me personalmente appaiono come dei lobotomizzati rincoglioniti.
Potranno avere una grande cultura, una storia pluricentenaria, un senso dell'onore introvabile ad altre latitudini ma è indubbio che fanno una tristezza indescrivibile, sono mesti, sembrano perennemente bastonati, un sorriso è punito con dieci anni di carcere mentre per un bacio in pubblico è scontata la reclusione a vita, con lancio delle chiavi nelle profondità oceaniche prospicenti.
Il monastero di Sensoji è molto bello ma necessiterebbe di un radicale intervento per la cacciata dei mercanti dal tempio di biblica memoria, in quanto bancarelle vendenti la qualsivoglia impediscono addirittura la prospettiva fotografica, facciamo comunque qualche riflessione spirituale, accendiamo il rituale incenso cercando di rimanerne avvolti e ci dirigiamo verso l'ultima creazione dell'eccentrico Philiph Starck, allievo della scuola del Niola, che celebra la nuova sede della più famosa birra locale ponendo un'enorme carota dorata sporgente sopra il tetto dell'edificio stesso.
E' la volta poi di Ginza quartiere dl lusso e dello shopping griffato Europa chic che sinceramente ci piace, elegante ma non eccessivamente sfarzoso, propone palazzi di bell'aspetto ed un viale principale molto ampio ed oggi fortunatamente pedonalizzato e chiudiamo il pomeriggio con lezione di vita del Maestro Vito il quale ci cerca di far comprendere come la qualità si debba sempre pagare: ovviamente lo rispettiamo, vista la sua figura e la sua importanza, ma io e Max ci grattiamo dubbiosi il cranio per cercare di assimilare come si possano spendere, al cambio odierno, 237 euro per un melone grande come una pallina da tennis.
Quasi dimenticavo, complicatissima per tutti noi la guida a destra con ovvie e scontate difficoltà di precedenze e conseguenti infrazioni del codice della strada e imbarazzante la visione della moltitudine di persone che girano con la mascherina sul viso, dicono per rispetto verso il prossimo per evitare possibile diffusione germi, sarà ma il tutto è a dir poco inquietante, il contagio e la pandemia sembrano dietro l'angolo.
Il contapassi con geolocatizzatore visualizzante l'app in dotazione al Signor Vito indica un insieme consecutivo di step by step che ci ha portato a raggiungere la cospicua somma di oltre 15 chilometri percorsi nella sola giornata odierna, che vede il suo termine in una steak house tanto sofisticata quanto raffinata, con piacevolissima disquisizione su esperienze di viaggio, di rapporti lavorativi, di conoscenze professionali and bad ending con toni concitati e tutt'altro che concilianti riguardo istruzione e sistema scolastico italico, allo scatafascio secondo il fuoriuscito approdato sotto la bandiera del grande sole rosso in campo bianco.
Dedichiamo la domenica mattina ad assistere alla partita di calcio del piccolo Principe che passa del tutto inosservato grazie ai suoi occhi azzurro ghiaccio ed i capelli biondo grano in mezzo al giallo banana che lo circonda, la partita è surreale, non un fischio dell'arbitro, non uno scontro di gioco, non una protesta, non una scena di esultanza dopo i gol, inchino finale all'avversario e decisione di non chiamarlo più calcio.
Ovviamente, per temprarsi come impavidi guerrieri imperiali, i ragazzi dopo due ore di sferzate causa gelida acquata tagliente non dispongono di spogliatoi e come nulla fosse terminano impegno sportivo, fradici e tremanti, con un contegno ed un fair play encomiabile p.s. cosa ne dite del portiere titolare che non ha giocato il primo tempo in quanto non aveva superato il controllo obbligatorio della lunghezza delle unghie delle mani! . Festeggiamo la sacra Pasqua in maniera decisamente originale, almeno per me infatti è la prima volta che varco i controlli di sicurezza di un’ambasciata per partecipare in prima persona al picnic organizzato in onore dei nostri connazionali qui lavoranti: trattandosi d’italiani la si butta presto in caciara festosa, do la possibilita' ai miei succhi gastrici di riconciliarsi con qualcosa di commestibile e lasciamo l'allegra combriccola verso le tre.
Seguiamo le tracce dello scout pellerossa Vito che, convinto delle sue certezze circa esistenza di Polo Est ed Ovest, nonostante le più innovative dotazioni tecnologiche e le istruzioni telefoniche della sempre infallibile consorte, sembra avere amnesie totali di orientamento toponomastico, nonostante i 18 mesi di residenza locale e allunga praticamente del doppio il tragitto benché' sia evidente il riferimento di una brutta copia della Torre Eiffel che svetta nei paraggi, vendutaci da precedenti diari di viaggio come capolavoro ingegneristico, in realtà simil pilone della luce apparentemente anche riciclato.
Ropongi Hills non sarà da circolino rosso per Triple Advisor ma si fa lo stesso visitare, peccato per il grattacielo ove lavori in corso m’impediscono la classica salita al punto più alto di ogni singola metropoli, per dare luce al diaframma della fedele Nikon al momento nettamente sottoutilizzata.
Veramente simpatico il mancato shopping al Don Quiqote, supermercato della puttanata ove in otto piani di agghiacciante produzione kitch si può trovare la qualunque, da souvenir di terzo grado a scimitarre di carnevale, da piatti in cera con riproduzione delle loro immangiabili pietanze a vestitini da lolite per i sogni dei sicuramente repressi indigeni che qua possono dare sfogo ad ogni più bieca fantasia.
Sinceramente da sottolineatura la variazione di colore delle 50 sfumature di bordeaux del viso del manager italico al momento dello scambio di occhiate con collega di lavoro nel reparto nippo sexy arrapato, tra tredici milioni di abitanti avere un incontro ravvicinato del terzo tipo proprio li sarà una casualità'?
Gran finale di giornata a Takeshita Street, vietta stipata all'inverosimile in cui sembra di entrare in un mondo incantato, costellato da edifici rosa pastello e popolato da ragazzine travestite da Hello Kitty, da studentesse birichine, da manga multicolori facendoci veramente riflettere a lungo sulle doti intellettive e sulle camaleontiche capacità trasformistiche di questa mala gioventù .
Unica, grandissima figata da consigliare ai mi auguro pochi che vorranno imitarci in questo viaggio è l'esperienza diretta e molto ravvicinata con i servizi sanitari: sia in casa che nei locali pubblici, oltre a doppio rotolo di carta, una extra strong ed una sweetly soft, trovi la tavoletta che si alza automaticamente in maniera sensoriale all'arrivo del regale deretano, che poggia su superficie piacevolmente riscaldata, per poi comandare un display che ti permette di scegliere una melodia di sottofondo e di programmare il tipo di spray e di risciacquo preferito. ... sarà che hanno capito in anticipo che li avrei mandati tutti a cagare ma bisogna ammettere che si sono attrezzati adeguatamente. ..
Ogni cosa nella vita ha il suo contrario, ogni moneta l'altra faccia, il bianco si antepone al nero, lo zero si scontra con l'uno, l'acceso litiga con lo spento, lo yin combatte lo yang ed eccoci, io in particolare, a ricredermi su parte di questo viaggio, in quanto la gita di pasquetta fuori porta ci permette di emozionarci con la visita di Kyoto.
Raggiunta in circa due ore e mezza con lo Shinkantse, il treno ultraveloce ovviamente ribattezzato scimpanzé', la città ci lascia basiti, ammutoliti, ammirati, stupefatti grazie ad una serie di templi, monasteri, santuari, conventi scintoisti risalenti mediamente a cinquecento anni fa ma trasudanti a tutt'oggi di fascino ed attrattiva.
Il tempo non è clemente, ce ne facciamo una ragione e scammellliamo come dei disperati al cospetto di costruzioni sacre di rara bellezza, con un alone di misticismo e di spiritualità che ci avvolge come l'incenso che ci circonda, sinceramente restiamo molto sorpresi da un luogo diametralmente opposto a tutto quanto avevamo fino ad ora visitato, ne siamo estramente contenti e non ci fermiamo né per bere né per mangiare.
Risaliamo una collina alberata con ancora la famosissima Sakura, primavera con i ciliegi in fiore ancora nel pieno del loro splendore (grazie Vito per la dritta...) all'interno di un percorso formato da centinaia di colonne di legno cilindriche laccate arancione base nera che sembra far sprigionare un incendio di colori.
Giriamo per strette viette e pittoreschi vicoli dall'immutato ed immutabile fascino, incontriamo finalmente le celeberrime donne in kimono (sembrano tutte delle bamboline di preziosa porcellana) e le foto scattano a raffica durante un pomeriggio realmente indimenticabile.
Visitiamo per dovere di cronaca il santuario di Fujiminari, Tofukuji, Kiyomizu dera, Kodai-ji, la pagoda Yasaka, rientriamo nell'alberghino trovato con difficoltà dalla lontana Italietta con Max protagonista di due simpatici siparietti, il primo con bigliettaia urlante e maneggiatrice di spadone katana per non essersi tolto le scarpe calcando il prezioso pavimento in doghe di legno grezzo di un mistico eremo ed il secondo incontrando conducente della metropolitana che ferma il convoglio con interruzione di pubblico servizio per cambiare banconotone pesante pur di farci pagare pochi spiccioli invece che chiudere un occhio e soprassedere al proprio senso civico, dando via libera ai due forestieri.
Nulla comunque rispetto alla genialata del Caprotti che giusto per movimentare la sua esistenza e prosciugare ampiamente il proprio conto corrente pensa bene di perdere il suo Japan Rail Pass, carta di ingresso a qualsiasi trasporto su rotaia, documento non ritrovato dalla pur meticolosa polizia in grado solitamente di riportare al proprietario anche l'inverosimile.
Sveglia ad orario da raccoglitore di alghe per infuso giornaliero di schifezza alimentare, lauta colazione con kit di sopravvivenza gelosamente custodito fin dalla partenza monzese, ancora sdraiati nel lettino del nostro ottimamente rifinito ostello boutique (e qui mi fermo con i dettagli), raggiunto dopo aver utilizzato un tratto ferroviario, due tronchi di metropolitana e due spezzoni di percorso in tram.
Fa un freddo porco, una bastarda pioggerellina ci entra in ogni articolazione corporale ma resistiamo stoicamente, ci immoliamo al credo della cultura, della storia e della tradizione per visitare le principali attrazioni di questo reale simbolo di quello che probabilmente fu il vero Giappone.
Questa città sotto tutela dell'Unesco conta 108 edifici di assoluto rilievo, ovviamente sarebbe impossibile visitarli nelle nostre 27 ore di permanenza, anche perché' non disponiamo del necessario trolley di denaro frusciante, visto che questi iper evoluti e quanto mai avanzati padroni del mondo non permettono pagamenti con la plastica fantastica per poter saldare in conto in albergo, l'entrata ai musei, l'acquisto dei souvenir, la salita alla Kyoto Tower. ..
Max fa un'approfondita e dettagliata ricerca dimostrandosi una volta in più straordinario tour leader ed ottimo compagno di avventure, propende per iniziare con il Golden Pavillon che da solo vale tutto quanto immaginabile ed ipotizzabile in questo japan trip: edificio ricoperto in lamina dorata, affacciato su un laghetto dai molteplici riflessi colorati, immerso in un bosco curato in maniera a dir poco maniacale
Continuiamo poi con una serie di castelli, monasteri e conventi che ci fanno capire il significato della meditazione e della spiritualità, sono uno più affascinante dell'altro, ammiriamo il Kinkaku-ji, Roan-ji, Ninna-ji, Mioshimi-ji, sempre con scorci memorabili, dettagli unici, particolari indimenticabili, abbiamo preso un ritmo pazzesco, camminiamo senza tregua, vediamo di tutto ed ancora di più con il cantastorie monzese che inizialmente titubante ci picchia dentro in maniera pesante con gli scatti fotografici arrivati ben presto in quadrupla cifra.
Non ci esimiamo dal visitare il Nijo-jo Castle, residenza dello Shogun, il cosiddetto vice capo, il numero due dopo l'Imperatore, il Matteo Renzi del diciassettesimo secolo, che aveva in mano il destino di una popolazione intera, essendo il suo superiore una vera e propria divinità non avvezza ai problemi terreni, con pavimenti in legno, pareti riccamente decorate e non fotografabili ( uno a caso esonerato dal divieto) e finestre in carta di riso.
Arrivati fisicamente sulle ginocchia, prima di esalare l'ultimo respiro propendiamo per curiosare nel palazzo dell' Imperatore e nelle varie dependance, ove erano create le diverse sale di attesa, verticalmente classiste, per i cortigiani in attesa del sacro colloquio.
Personaggi del giorno, per non dire del viaggio intero: giovane indigena che si portava appresso bambola che tirava fuori in continuazione dalla borsa, le parlava e la fotografava per farle vivere le sue stesse emozioni, due vecchine che dopo l'ottavo inchino reciproco non avevano ancora deciso chi far sedere sulla banchina in attesa del treno proiettile, capo binario che controllava su un display i secondi esatti riguardanti la partenza del nostro convoglio, coppia di globtrotter veramente sgrausi che però vediamo uscire da tempio trasformato in strepitoso giaciglio, infinità di lobotomizzati che decide di fumarsi gli ultimi neuroni cerebrali nelle sale di Pachinko, sorta di slot machine in un ambiente con rumori a 120 decibel and at least but not last il grande Max che con rivolo di bava e malcelata attesa si prepara ad addentare il suo bento, doggy bag, pocket lunch, schiscetta da viaggio giapponese che si gusta tra gridolini estasiati e sospiri goduriosi non appena seduto nello scompartimento ovviamente perfettamente ordinato e suddiviso.
Nella vita bisogna sempre provare una prima volta, almeno quasi in tutto, ed ecco allora il buon Paolo alle prese con il sushi, non potevo esimermi, con la scusa di accompagnare il compagno di tante scarpinate nipponiche, imbraccio molto maldestramente le bacchettine da sempre tanto evitate e comincio ad intingere nella salsa di soia salmone e tonno tagliatemi davanti agli occhi dal gran maestro del tagliere
Ce la faccio, ci sono riuscito, posso quasi definirmi culinariamente cosmopolita, ma il sapore di una cotoletta alla milanese non si scorda mai!
Prendiamo il penultimo metrò, rimaniamo angosciati dal vedere come questi automi si dispongono diligentemente in fila giapponese per salire sui vagoni, ove un segnale sonoro e prossimamente olfattivo segnala loro l'arrivo alla stazione prescelta, distogliendoli cosi dal mondo astratto su cui planano nel dopolavoro per dedicarsi ai videogame dei loro sofisticatissimi device elettronici.
Interessante notare come non esistano cestini della spazzatura, introvabile una cartaccia per terra, inimmaginabile una scritta sui muri, i malcapitati schiavi del fumo, additati mentalmente come abbietti, sono costretti a portarsi in tasca uno scatolino ove nascondere il corpo del reato e bizzarro anche il constatare come la madre patria di Honda, Yamaha, Suzuky, Kawasaky non veda bolidi a due ruote sfrecciare sui nastri d'asfalto bitumato.
Lasciamo the dreaming flat, inserito di diritto nell'elenco delle dieci case più belle di Tokyo per lo splendido contesto e connubio elegant-minimalista, riceviamo come dono dalla straordinaria padrona di casa i mitici meloni gioiello acquistabili solo in gioielleria e ci avviamo, ca va sans dire sotto l'acqua verso Narita, per la conclusione di questa esperienza nel luogo per me più lontano dal focolare famigliare mai vissuta che proprio a fil di sirena, quasi a tempi supplementari, esattamente sui titoli di coda riesce a strappare una risicata sufficienza nel mio palmares around the world.