Scrolla il testo per leggere
Non sempre tutti i danni vengono per nuocere o almeno il mio perenne, perdurante e talvolta eccessivo ottimismo mi spinge a leggere in questa maniera l'ennesimo contrattempo accadutomi sulle strade della vita: assaggiare l'asfalto, soprattutto se per non propria disattenzione, non è mai un piacere, men che meno quando non si è dotati delle necessarie attrezzature e componentistiche accessoristiche paracolpi, ma l'angioletto custode che veglia su di me credo abbia dodici decimi ed anche in questo caso ha prontamente provveduto a evitarmi complicazioni ulteriori, se non la "semplice" distruzione del mio scooter, proteggendo però la pellaccia ormai più coriacea di quella di un anziano rinoceronte avvezzo a ogni insidia della natura. Mi vedo costretto pertanto a navigare il mare magnum della virtualità per trovare un degno sostituto al compagno di tanti spostamenti e al fedele risolutore di mille commissioni, trovo un personaggio uscito dal più classico dei cinepanettoni con dialetto da milanese bauscia che mi sbologna alla velocità della luce, nel tempo reale di una stretta di mano e dell'emissione di un bonifico, il suo Burgman 400, che diventa a tutti gli effetti il mio nuovo purosangue lanciato al galoppo verso i limiti estremi e ancora di più in là.
Dopo tutta questa premessa, prologo e introduzione, ecco che do inizio all'episodio estivo del cantico dei cantici versione due punto zero ventidue, che mi porta a boccheggiare lungo le curve della sempre amata Serravalle per dare un'occhiata storico, culturale, artistica, sacra, religiosa a Genova, mai veramente trattata con il giusto rispetto.
Non mi pento certamente della scelta che a posteriori non posso che consigliare, magari non in una bollente mattina di agosto, di girovagare senza meta tra i carruggi dell'angiporto, alla scoperta di veri e propri gioielli di rara bellezza, tra cui spiccano nitide e molto luminose le imponenti strutture della Basilica di Santa Maria delle Vigne, il maestoso Palazzo Ducale, la monumentale cattedrale di San Lorenzo, la straordinaria Chiesa del Gesù e dei Santi Ambrogio e Andrea, che meriterebbero certamente maggior enfasi e richiamo popolare nonché turistico.
È il momento di partire, come direbbero due eroi delle telecronache televisive motoristiche come Nico Cereghini e Guido Meda, casco in testa ben allacciato, luci sempre accese, gas a martello e scatenate l'inferno, io mi limito a riflettere profondamente su quello che sto andando ad affrontare, rivivo le stesse sensazioni di quando esattamente dieci anni fa varcavo il cancello di casa per partire con destinazione Mongolia by car e prima di cambiare idea, viste le meditazioni serali che mi hanno fatto passare la notte a contare stelle e pecorelle, imbocco l'Aurelia destinazione sud.
Prima tappa nei dintorni di La Spezia, alternando scorci bucolici tra vallate coperte di boschi e prospettive marine con insediamenti industriali in fervida produzione, per raggiungere la meta di Montemarcello, inserito, onestamente con un po' troppa tolleranza e magnanimità tra i borghi più belli d'Italia, ove mi incontro con Filippo, timido, riservato, introverso vulcano di parole in perenne eruzione e la figlia teenager dispensatrice con il contagocce settimanale di pensieri e riflessioni.
Pensavo sinceramente di essere una persona loquace, interattiva, talvolta perfino logorroica per non dire prolissa ma bisogna ammettere che nella vita si deve sempre imparare e certamente, come in tutto, esiste qualcuno molto più bravo di te da cui è fondamentale imparare, il soggetto in questione ne è il tipico esempio, con lezioni lessicali e di lingua applicata che potrebbero protrarsi per giorni interi, senza alcuna sosta, pausa, termine, spaziando dallo sport alla politica, dal costume al sociale, dall'amore alla qualunque e altro ancora.
Rapido check in mattutino alla locanda Monastero di Ortonovo, stupendo borgo arroccato nell'entroterra di Sarzana, indispensabile scarpinata su per la collina per visitare il Santuario della Madonna del Mirteto, riesco perfino a scovare un anfiteatro romano nella campagna intorno a Luni, prima di svoltare verso l'aspetto più biecamente vacanziero, con gita in barca nel Golfo dei Poeti, lambiamo Punta Bianca, Punta Corvo, fotografiamo Tellaro, ammiriamo Fiascherino, buttiamo l'ancora nelle vicinanze della diga foranea di La Spezia, vedendo l'amico sole illuminare l'isola del Tino, la Palmaria e in controluce la sempre affascinante Portovenere.
Ripassiamo per una rapidissima doccia a Montemarcello, oasi di pace, tranquillità, quiete e ozio in cui penso potrei resistere il tempo di un caffè che non bevo, per raggiungere il traguardo della cena serale, in un ameno angolo ligure che dire sia sperduto sarebbe un eufemismo limitativo, ma gli effettivi sforzi stradali sono ripagati da un gambe sotto al tavolo di valore assoluto, PIN BON, il nome è già tutto dire, è una terrazza verso l'orizzonte sconfinato, ove ci vengono propinati otto portate di antipasti strepitosi, evito per ortodossia da astio alcolico le capesante alla spuma di gin tonic, primi e secondi di pesce sinceramente ottimi, con gran finale di sfogliatelle alla crema pasticcera, mai pagato con maggiore soddisfazione due bigliettoni da venti euri, stavolta al plurale ....
Un dotto amico, pensatore d’innumerevoli perle di saggezza, mi ha consigliato di entrare in contatto diretto con la strada, di studiarla, di ascoltarla, di farsela amica e così sto operando, cercando di interpretare al meglio ogni possibile suggerimento che possa scaturire da un rapporto diretto che cammin facendo potrà diventare anche simbiotico. Un argentino scampanare di primo mattino dato dalla tipica chiesetta di campagna mi trova già mentalmente operativo, salto in sella al pronto e reattivo scooter con gli occhi a mandorla e modifico immediatamente il percorso prestabilito, salendo una decina di chilometri nell'entroterra della Lunigiana per entrare nel mondo irreale e nell'atmosfera rarefatta di Fosnovo, un castello dei Malaspina e due oratori risalenti al diciottesimo secolo sono le vestigia di queste cinque stradine incastonate in cima al classico cocuzzolo che attende solo il mio arrivo, non alcun’altra anima in giro alle nove e mezza di mattina di quasi metà agosto.
Sarzana è accogliente, pulita, ordinata, la via principale, per meglio dire il carruggio essendo qui ancora targati liguri, è tipicamente indigeno e autoctono ma si notano chiari influssi versiliesi con negozietti e bancarelle, principalmente di accessori, che scimmiottano molto l'arcinoto mercato del Forte.
Entro in autostrada, al bivio di Livorno tiro dritto per non attraversare una città che sinceramente non mi ha mai particolarmente attratto nelle rare occasioni in cui ho fatto tappa per prendere il traghetto destinazione insulare, e raggiungo l'uscita di Rosignano per mettere una tacca su Castiglioncello, qualche centinaio di passi giusto per sgranchirsi le articolazioni, salto per due foto alla spiaggia di Solvay, pomposamente ribattezzata le Maldive italiche, piccola precisazione è costituita da diverse centinaia di tonnellate di scorie di bicarbonato della vicina cittadella industriale, a loro piace vincere facile.
Rientro in Aurelia, maestosamente indicata Strada Statale 1, per giungere fino a San Vincenzo, litorale abbastanza piatto e uniforme ove stacco la spina, o meglio la mano dalla manopola del gas, per circa quaranta minuti di relax bord du mer, senza però immergere le reali terga.
Prima di giungere, mio malgrado essendo strada obbligata, a Piombino (assolutamente evitabile) seguo il profumo dell'imprevisto e mi faccio attrarre da un cartello che mi porta a Populonia Alta, il viaggio potrebbe anche concludersi qui nel momento in cui salgo sulla torre che domina il borgo antico, spazia a tutto tondo, permettendo una visione e un'emozione veramente sottolineabile con doppio evidenziatore: mura antiche incastonano il villaggio di origini etrusche, sovrastando a strapiombo il golfo dell'Argentario, con orizzonte luccicante verso Elba, Capraia, Corsica, veramente tantissima roba.
Grosseto è sul percorso anche se sembra praticamente irraggiungibile, entro in centro per ammirare i raggi del sole calare sulla facciata di un Duomo veramente imponente e mi dirigo di gran carriera verso il vero e proprio tramonto, che becco al suo termine sui bastioni di Talamone, agglomerato di pescatori molto charmant che mi ripropongo di toccare con mano e immortalare con telefono domattina, dopo una giornata intensa, soddisfacente, arricchente in cui la nota più assurda è stata un cimitero di vecchie motociclette e motorini vari esposti e appesi in tutte le maniere possibili e non immaginabili all'esterno di una pizzeria di uno sperduto paesino, sembrava di essere in un film metafisico post esplosione nucleare.
Nota del redattore: personaggi del giorno gruppo di arzille camminatrici e indomite viandanti in guerra totale e assoluta con l'anagrafe che sperano di battere inesorabilmente, per il momento s’inerpicano stoicamente lungo la via Francigena, precedute e seguite da un olezzo modello capra di montagna dal pelo bagnato.
Un forte temporale notturno lascia strascichi sul manto stradale, per cui decido di ritardare di mezz'ora la partenza, ripasso da Talamone che come spesso accade alla seconda visita non attrae e attira come di primo di acchito, la sera il borgo ha sembianze notevolmente più affascinanti quindi rapido dietrofront, non prima comunque di salita sul bastione della fortezza per non rinnegare mai il mio istinto che mi ha portato da sempre a cercare i terrazzi praticamente tra le nuvole, e inizio dell'avventura odierna che mi porta anche ad annusare la strada, aggiungo questa sensazione perché l'effetto bagnato rende ancora più piacevole il proseguire in mezzo a verdi colline, bucolici saliscendi, sconfinate campagne, non saranno le crete senesi che ormai mi sono entrate nell'anima, ma anche questi territori tra la Maremma Grossetana e la Tuscia Viterbese sono assolutamente degne di nota, anche se per ventitré chilometri di tachimetro non mi è capitato di vedere un'autovettura, un motociclo, un dromedario, un cane randagio.
Mi fermo a Manciano, ovviamente non sull'itinerario di marcia, rimango una volta ancora allibito dalla bellezza dei borghi italiani, comprendendo perfettamente come Herr Helmut, che lavora in una fabbrica di Dusseldorf, possa innamorarsi di uno qualsiasi degli angoli del Belpaese, arrivo per le undici e qualcosa a Pitigliano, il borgo del tufo, chiamato anche la piccola Gerusalemme o la simil Matera, nominiamolo pure come vogliamo ma trovo il paese incantevole, meraviglioso, strepitoso, ogni prospettiva con la quale lo si ammira richiederebbe decine di scatti fotografici e una sosta certamente più degna e decorosa, ma il tempo stringe e la strada è tanta, soprattutto visto quanto mi sono riproposto per questo tredici agosto. Sorano è altrettanto straordinaria, un'infinità di stradine ciottolose che emanano una serenità e un benessere lontano anni luce dalla nostra abituale frenesia. Sovana è praticamente attaccata, qualche tornante più in giù e qualche centesimo di voto in meno, più piccola, più raccolta, più trascurata dopo l'abbandono da parte della famiglia Aldobrandi nel corso del medioevo, rimane comunque una chicca con le chiese di Santa Maria e di San Mamiliano che sono il preambolo dell'apoteosi emotiva suscitata dal Duomo, dedicato ca va sans dire a San Paolo, certamente uno degli esempi più sublimi di romanico toscano risalente al 1061.
Saturnia è accerchiata, ammorbata e sovrastata dal lezzo sulfureo delle sorgenti termali, con la mia solita faccina timida e introversa m’intrufolo nella Spa che sinceramente mi delude un po', 75 euro per un voucher mi sembrano una follia e infatti è praticamente deserta, due chilometri più a valle invece l'ingresso gratuito alle Cascatelle, con refluo delle stesse acque dai benefici portentosi, vede invece un assembramento stile assalto ai forni di manzoniana memoria, il covid certamente è acqua termale passata.
Tuscania pensavo fosse più sul mio itinerario invece sembra essere un miraggio, oltretutto non ho più batteria e devo assolutamente scrivere una letterina a Babbo Natale sperando mi possa portare un power bank, evito di sentire musica, mi oriento a naso e mi dedico a profonde riflessioni interiori, personali, esistenziali che mi fanno grande compagnia nel mio comunque sempre rapido procedere, arrivo intorno alle cinque del pomeriggio e visito le chiese di San Marco, di Santa Maria della Rosa, la Cattedrale di San Giacomo prima del tripudio finale a San Pietro ove, con una botta di retro schiena, riesco a rimanere basito e stupefatto davanti alla grandezza della potenza sacra in tutto la sua maestosità, anche qui di stampo romanico, nonostante un orario bizzarro prevedesse la chiusura dei pesanti battenti da oltre un'ora.
Quando le prime ombre del tramonto cominciano a delinearsi all'orizzonte faccio tappa a Viterbo, città di ricchissima storia papale ma la mancanza della menzionata carica energetica, non certamente mia ma del mio device, mi tarpa le ali e demoralizza un po', faccio comunque qualche ulteriore migliaio di passi visitando palazzi che trasudano storia, potenza e mistero, prima di lanciarmi lungo la Cassia, vicino alla Flaminia, seguendo la Salaria, non lontano dall'Appia verso la città eterna che mi attende in tutto il suo innato splendore.
Si è sempre detto che tutte le strade portano a Roma e credo sinceramente che nulla potrebbe essere più veritiero, entro nella Capitale, anche se non morale, e trovo facilmente il mio alloggio, ammettendo candidamente che al pari del genio del Dottor Pemberton che inventò il nettare divino che sfrizzola il velopendulo e titilla la papilla come nessun Negroni, Spritz, Gin Tonic, Mojito, Sbagliato, Americano che dir si voglia, colui che applicò le mappe sui nostri cellulari è da considerare un benefattore dell'umanità.
Mi sveglio ampiamente ritemprato e carico come una molla avvitata infinite volte su se stessa, decido di visitare la Nuvola di Fuksas all'Eur, peccato sia tutto all'interno di una struttura blindata e inespugnabile, non capisco ma mi adeguo, raggiungendo il Palazzo della Civiltà Italiana, non faccio alcun commento sul regime del ventennio, trovandoci oggigiorno in un contesto prettamente politically correct, in ogni modo le strutture architettoniche di questo quartiere, oggi domenica completamente e totalmente privo di segnali di vita, mi colpiscono molto piacevolmente e favorevolmente, anche grazie ad un cielo terso che azzurro più azzurro non si potrebbe. Passo accanto al catino calcistico proprio di squadrette minori non degne di competere con la Beneamata, salgo alla sommità dello Zodiaco, il belvedere più elevato della città ove mi ritrovo di fronte al tipico esempio di scempio italico, con strutture commerciali purtroppo abbandonate che si affacciano su uno degli scorci più mozzafiato che mente possa immaginare.
Scendo in centro, incomincio i primi quattro passi, che a fine giornata saranno più di ventitremila, ed ho la fortuna pazzesca di capire che il Santo Padre mi ha atteso prima di impartire la sua benedizione urbi et orbi, in una Piazza San Pietro assai gremita nonostante il sol leone agostano.
Entro nella basilica culla del Cristianesimo e del Cattolicesimo, ne rimango sbigottito, affascinato, forse anche un po' turbato, il genio umano e il potere in questo caso molto più materiale che spirituale hanno dato origine a un qualcosa di sublime, assoluto, indescrivibile, inimitabile, in un susseguirsi di opere d'arte e di magnificenze architettoniche che dimostrano la maestosità della Chiesa più che della religione.
Decido di salire sul Cupolone, faccio 530 gradini a salire e altrettanti a scendere, tra crisi di claustrofobia, pianti di bambini, maleodoranti zaffate di sudore, un'ora e venti di fila dovuta all'unico inserviente addetto all'ingresso, risultato e commento: una vera e propria sola che consiglio vivamente di saltare a piè pari.
Mi dedico poi al classico tour itinerante, questa volta vado dove mi portano naso e istinto, passo da una Fontana di Trevi praticamente invisibile data la miriade di turisti accalcati per la felicità degli epidemiologi, sosto in Piazza Navona ove constato con piacere che per bere qualcosa in un bar è tassativa la consumazione al tavolo, mo' preparo una bella raccomandata all'associazione per la tutela dei diritti del consumatore, ammiro ammirato i capolavori del Caravaggio nella Chiesa di San Luigi dei Francesi, scatto qualche clic di rito all'Altare della Patria, prima di imboccare solennemente i Fori Imperiali e qui è necessaria una pausa riflessiva: Saranno Pazzi Questi Romani ma bisogna ammettere che nonostante tutto ci hanno lasciato in eredità qualcosa di sublime, che ci rende orgogliosi e fieri di essere tricolori.
Il Colosseo, girato e ammirato in tutti i suoi trecentosessanta gradi, è un qualcosa che sfido qualcuno molto più bravo di me con parole e sinonimi a tratteggiare e delineare, personalmente sono rimasto ancora una volta senza parole, senza fiato, senza alcuna capacità di espressione, non penso possa esserci altro da aggiungere se non che sia il monumento più maestoso e sbalorditivo presente a tutt'oggi sul pianeta Terra.
Non poteva mancare l'abbuffata stile Albertone Sordi nella tipica osteria trasteverina, ove mi sfondo di cavatelli cacio e pepe, prima di trascinarmi, quasi sui gomiti, nella piazza della vasca universalmente conosciuta come simbolo della Dolce Vita, non getto la monetina d'uopo in quanto non ci riesce nemmeno ad avvicinare, zoomo un paio d’inquadrature e tra vicoli scarsamente ma forse tipicamente poco illuminati rientro al campo base, stremato ma entusiasta di questa terza giornata di viaggio veramente stravissuta.
Stamattina decido di intraprendere il mio ruolo di giudicatore di strutture alberghiere top di gamma, modello limited edition, versione voglio voglio ma non posso, con un sorriso da orecchio a orecchio, grazie ad un solare buon ferragosto praticamente gridato a ogni responsabile della concierge entro al Waldorf Astoria Cavalieri, al Hassler Villa Medici, all'Eden Dorchester Collection curiosando tranquillamente tra hall e roof top con una disarmante capacità di adattamento alla situazione vigente.
Mi reco quindi a Trastevere, teorica culla della vera romanità ove trovo purtroppo un clima piuttosto decadente, con osti e camerieri molto scontrosi, prima nota dolente di una città in cui non riscontro le tanto decantate note dolenti d’immondizia imperante e le famigerate buche nell'asfalto mentre il vero pericolo è dato dalla quantità incalcolabile di monopattini elettrici che sfrecciano ovunque, ovviamente utilizzati da due persone contemporaneamente, borgatari tra l'altro generalmente tatuati come dei guerrieri maori.
Il tramonto viene trattato e gestito da diverse angolazioni, il pieno di benzina e le strade stranamente molto praticabili mi permettono un'agevole spostamento in lungo e in largo tra tutti i colli e belvederi, per cui mi soffermo prima nel piazzale del Gianicolo per poi fare rotta sulla balconata del Pincio, entrambe le visioni lasciano un grande strascico emotivo e visivo di una città che veramente è degna del massimo rispetto e dell'assoluta fama che la precede.
Chiudo una giornata dedicata principalmente all'aspetto artistico e religioso del mio peregrinare senza una vera e propria meta, senza volerlo aprioristicamente parlando mi ritrovo al mirabile battistero di San Giovanni in Laterano, nella grandiosa navata di Santa Maria Maggiore, nell'abside della basilica di San Clemente e in una serie infinita di chiese di cui non prendo nota del nome ma di cui ricorderò nei lustri a venire il fascino e l'aurea che ne fanno straordinari esempi di fede e di carità.
Cena serale a base di prelibatezze capitoline in zona Pantheon in un contesto di locali, ristorantini, osterie e trattorie incantevoli con due amici indigeni, seppur con gratificanti e importanti esperienze in terra longobarda, che mi permettono, con loro somma dimostrazione di sopportazione, di fare sfogo a parole e pensieri dopo quattro giorni di assoluto silenzio e mutismo, pensavo mi si fosse seccata la lingua ma grazie alla loro simpatia e alla loro ospitalità ho compreso di non aver ancora bisogno di un logopedista.
Stamattina ho avuto la dimostrazione di come talvolta sia meglio non parlare troppo presto, tirando delle conclusioni che potrebbero rivelarsi affrettate ecco perché ho augurato ogni tipo di maledizione a colui che ha impostato virtualmente e digitalmente il percorso per fuoriuscire dalla capitale, parto in perfetto orario alle cinque e un quarto come prestabilito ma invece di seguire l'apparente facilissimo percorso lungo il grande raccordo anulare con direzione autostrade mi ritrovo nelle stradine di campagna di Sacrofano, preoccupato poi sempre più terrorizzato di non riuscire a prendere il traghetto da Formia per Ponza, non so assolutamente come ci sono riuscito, il degno erede di Valentino è salito sul palcoscenico.
Una vergognosa carretta del mare fa la spola tra la terra laziale e la tanto decantata e mitizzata isola pontina, la traversata è lunga, lenta, fastidiosa, sbarco con oltre mezz'ora di ritardo ma dopo il pericolo scampato è tutto grasso che cola, il caldo è veramente fastidioso, afoso, appiccicoso, le stradine veramente impervie, dopo oltre quarant'anni d’intenso uso delle due ruote trovo incredibilmente grandi difficoltà di spostamento nei continui saliscendi su fondo quanto mai sconnesso per non dire inesistente, non credevo di dover affrontare questa serie infinita di trappole logistiche in un'isola che può essere tranquillamente considerata una via di mezzo tra l'eleganza di Capri, la variopinta alternanza cromatica di Procida, il sempre agognato paesino greco.
Senza scooter o imbarcazione varia qui ti trovi completamente spaesato, senza alternative, privo di ogni possibilità di spostamento per il raggiungimento di calette veramente strepitose, meravigliose ma totalmente inaccessibili al comune viandante vacanziero, per la stragrande, per non dire assoluta maggioranza, proveniente da transumanza dall'Urbe di cesariana memoria.
Il tramonto è sinceramente tanta roba, così come lo struscio sulle banchine del porto che si animano al calar delle tenebre tra ristorantini rumorosi, baretti caciarosi, negozietti poco tipici e molto turistici, il tutto comunque in un mixology che ha il suo perché, anche se sinceramente al di sotto della fama e della nomea che ammantava questa isoletta.
Opto per l'esperienza nazional popolare, m’imbarco su uno a caso degli innumerevoli battelli che circumnavigano Ponza e la dea bendata ancora una volta mi porta bene: Angelo e Roberta gestiscono il coloratissimo Moby Dick con estrema ospitalità e grandissima cordialità, cucinano decisamente bene, mostrano tutto quanto sia necessario ammirare e fotografare, prima di un'esibizione canora del comandante che, dopo un primo momento di sincero imbarazzo, ha visto anche il cantore di quest’odissea unirsi con piacere e trasporto a un karaoke in mezzo al mare quanto mai coinvolgente.
Scendo dal barchino e salgo sul traghetto, oggi giornata di full immersion tra le onde, rivedo mentalmente gli scorci meravigliosi e le baie incontaminate di Cala Chiaia di Luna, Cala Feola. Cala dell'acqua, Cala Lucia Rosa semplicemente una più bella dell'altra, prima di giungere dopo quasi tre ore di lento procedere in quel di Formia, il nulla assoluto, mera e dimenticabile sosta intermedia per indispensabile riposo notturno, tipica città portuale ove spiccare il volo, in questo caso salpare le ancore, verso ben altri lidi, vedi Piombino, Livorno, Civitavecchia.
Gaeta è certamente più affascinante, ci dedico un'oretta di prima mattina per ammirare il Castello Angioino, ora trasformato in sede di pubblica sicurezza, l'imponente fortezza del carcere militare, un paio di grandiose chiese purtroppo chiuse a doppia mandata e il monastero della Montagna Spaccata, sede millenaria di meditazione religiosa e spirituale, con annessa Grotta del Turco più che degna di una sosta per doppio giro delle lancette dei secondi.
Strada facendo, senza pagare i diritti d'autore al buon Baglioni, vedo bene di consumare energie e calorie scendendo i trecento reali scalini per giungere in spiaggia, il problema è stato il risalire con un calore afoso e appiccicoso come la melassa spalmata, stringo i denti e mi rifaccio con un panino casereccio prosciutto cotto al forno, mozzarella di bufala e carciofi grigliati che sfamerebbe anche Obelix.
Sperlonga è sublime, fantastica, speciale, credo che possa senza ombra di dubbio posizionarsi in zona podio medaglie tra quanto visto fino a ora, mi trovo al cospetto di un insieme di stradine e di vicoli a picco sul mare, molto Ostuni, tanto Santorini in salsa romana con retrogusto napoletano. Il museo di Tiberio non è consigliabile, è tassativamente e imperativamente obbligatorio, con vestigia dei nonni de er Pupone che dobbiamo proprio ammettere ci sapevano veramente fare lato arte, scultura e grandiosa grandezza: frammenti di statue, teste scolpite, capitelli finemente ornati rendono un milionesimo della potenza e della maestosità di quanto doveva essere l'Impero.
Proseguo come un salmone che risale la corrente il mio tragitto verso il Grande Nord, il countdown è scattato, siamo a circa quarantotto ore dal rientro al campo base, sono certo di inventarmi ancora qualcosa e infatti, prima di un tramonto non visto per il primo accumulo nuvoloso del viaggio, eccomi, grazie alle preziose dritte di un eccezionale bar tender conosciuto a Ponza, vergognosa la mia richiesta di una coca cola a un ragazzo che ha dimostrato una disponibilità e un’umanità fuori dal comune, permettendomi il secondo dialogo verbale dopo giorni e giorni di mutismo rassegnato, a girovagare per le mura e i bastioni della vecchia Terracina, altra perla sconosciuta alla grandissima parte dei "porci" vacanzieri difficilmente attratti da arte, storia, cultura, religione.
Sarà che ormai sono entrato in modalità fine vacanza, sarà che per la prima volta sento scendere delle fin troppo auspicate gocce durante la cena nella piazza principale del borgo, durante la notte trasformatesi in un vero e proprio diluvio torrenziale, in ogni modo San Felice Circeo viene collocato assolutamente nella parte destra della classifica, con credo proprio nulle possibilità di risalita nel corso della più approfondita visita di domani, mi sa tanto che il luogo è stato, rimane e sarà sempre ricordato solamente per il massacro da parte dei pariolini bene del 1975.
Sabaudia in se per sé non conta nulla, quattro edifici di tipico stampo fascista, una laguna interna e un susseguirsi plurichilometrico di spiagge, cominciando da quella di Torre Paola, sicuramente meno densamente popolate rispetto a tante altre vedute e osservate, Nettuno siamo ad una valutazione ancora inferiore, il Borghetto del centro storico mi vede protagonista di una camminata mattutina con cinque foto di numero, mentre il cimitero americano ove riposano 7862 soldati caduti per la nostra liberazione mette i brividi e trasmette angoscia per la drammatica precisione dell’infinità di croci bianche su prati perfettamente manutenuti.
Anzio siamo veramente ai minimi storici dell'insulso, l'aliscafo per le isole pontine ormeggiato in banchina è più vetusto di una triremi di epoca augustea e allora unica nota da segnalare sarà la caprese di pomodoro, basilico e mozzarella di bufala ingurgitata in un mezzogiorno certamente meno afoso dei recenti passati, anche grazie al passaggio notturno di un quasi uragano che ha fatto notevoli danni, per fortuna non ho preso una goccia che dicasi una neanche in questo caso.
Storia e mitologia mi attirano a Ostia Antica e la scelta è stata veramente azzeccata: una vera e propria città romana si apre davanti a me e a una serie di turisti tristemente praticamente all'unanimità stranieri, lo stato di conservazione è ottimo e non faccio fatica a immaginare, anche grazie ai vari libri dell'accoppiata padre e figlio Angela, come poteva essere la frenetica esistenza circa duemila anni fa nella capitale dell'impero di Cesare.
Santa Severa è da menzionare solo per una fortezza sul bagnasciuga, veramente troneggiante sulle acque tirreniche, Santa Marinella viene bypassata senza alcun rimorso, mi fermo unicamente per gratitudine e riconoscenza a lavare il fantastico compagno di movimento che si è dimostrato veramente infaticabile e quanto mai affidabile mentre Civitavecchia mi offre un tramonto da cartolina caraibica che insieme alla considerazione che la mia avventura sta volgendo al termine, mi porta a un pur minimo senso di sconforto e di rimpianto.
L’essersi alzato presto, fin troppo presto, può avere anche i suoi vantaggi, le tempistiche si dilatano e si ha più tempo per eventuali e varie inizialmente non preventivate e per questo a posteriori ancor più apprezzate, è il caso di Tarquinia, sulla strada che fuoriesce da Civitavecchia e che mi permette una full immersion totale nel mondo etrusco, nel contesto di un paesino da cartolina, tra bastioni fortificati, torri medioevali, chiese romaniche, inutile aggiungere altro.
Il museo archeologico nazionale è la quintessenza di un libro di storia, con statue, sarcofagi, vasi finemente ornati, oggetti, monili e suppellettili che tramandano una cultura di altissimo pregio, presente sette secoli prima della tanto decantata civiltà romana, le tombe delle necropoli, finemente affrescate e non del tutto depredate da secoli di scorribande e ruberie, rendono perfettamente l’idea del culto e del rispetto dei dipartiti.
Capalbio è circondata da un’aurea di cultura intellettuale radical chic molto impegnata che non mi attira per nulla, ci passo lo stesso e vengo ripagato da ennesimo incrocio di meravigliose stradine, di pittoreschi vicoli, di straordinari scorci abitativi e collinari in un ensemble veramente emozionante.
Ansedonia con le sue spiagge di sabbia nera viene sfiorata e salutata con una sgasata, la laguna di Orbetello degnata di un semplice sguardo, per giungere allo scoccare del mezzogiorno, sempre di fuoco, all’Argentario: non ci dovevo arrivare ma alla fine non ho potuto esimermi dal mettere una bandierina anche a Porto Santo Stefano e a Porto Ercole, che raggiungo tramite una stradina panoramica che sarà pure a strapiombo su un mare blu profondo, con un cielo azzurro cobalto, di fronte al Giglio e a Giannutri, tra un concerto di grilli ed uno di cicale ma che rischia, tra curve, tornanti, piste sterrate e molte accidentate di farmi salire il pandoro di Natale, oltre a farmi venire dei bicipiti da culturista per manovrare lo scooter in condizioni che le strade della Mongolia sembrano al confronto le sei corsie della Sheikh Zaied emiratina.
L’amato promontorio di Portofino contornato dall’aureola dorata del tramonto mi fa capire che sono arrivato al termine della mia vacanza, del mio viaggio, della mia avventura, mi faccio i complimenti, mi esprimo le congratulazioni, mi applaudo, bravo Caprotti, fiero e orgoglioso di quanto sei riuscito a progettare, creare e soprattutto realizzare in un giro di oltre milleottocento chilometri che mi ha visto errabondo per autostrade, strade, stradine, viottoli di campagna, strade bianche di collina dopo aver toccato il suolo a Montemarcello, Sarzana, Fosnovo, Rosignano Solvay, Castiglioncello, San Vincenzo, Populonia, Piombino, Grosseto, Talamone, Manciano, Pitigliano, Sorano, Sovana, Montemerano, Saturnia, Tuscania, Viterbo, Roma, Formia Ponza, Gaeta, Sperlonga, Terracina, San Felice Circeo, Sabaudia, Nettuno, Anzio, Ostia Antica, Santa severa, Santa Marinella, Civitavecchia, Tarquinia, Capalbio, Porto Santo Stefano, Porto Ercole, Orbetello e il resto mancia …