LISBONA GIUGNO 2010

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Agli sgoccioli del passato millennio il filo-sociologo Pino Villa da Monza sosteneva che il lavoro è la forma più elevata di compimento del proprio sommo dovere per poter raggiungere l’estasi dell’appagamento morale, sia esso personale sia come indice di rispetto alla collettività.

Il mio sudare quotidiano, ultimamente assai copioso causa contrazione asfittica del mercato della reclame, mi ha permesso di beneficiare di un graditissimo cadeau infiocchettato con tanti complimenti da L’Uomo Vogue, che mi concede la possibilità di cancellare dalla lavagna dei desideri turistici la casellina targata Lisbona.

Causa mancato risveglio dei controllori di volo dello scalo della capitale portoghese polverizziamo qualche tonnellata aggiuntiva di kerosene e atterriamo sfiorando letteralmente balconi e terrazzi prospicienti la pista con mezz’ora di ritardo sulla tabella schedulata.

Trattandosi comunque delle otto e trenta local time ce la prendiamo quanto mai comoda, acquistiamo la Lisboa card per 35 euro e ci mettiamo in tasca il lasciapassare per ogni tipo di trasporto pubblico di superficie ed interrato, oltre a tutta una serie di agevolazioni e scontistiche varie.

L’Hotel Belver Principe nel quartiere di Barrio Alto è certamente più attraente nel suo interno minimal chic che al primo impatto esteriore, comunque approfittiamo di un gradito upgrade locale e ci spaparanziamo un po’ nell’accogliente mini suite.

Cambio di calzature volante ed immediato inizio della perlustrazione cittadina grazie alla sempre più stupefacente capacità di Annie di orientamento, posizionamento, movimento.

Il quartiere di Alfama, fin troppo banalmente ribattezzabile Malfamata, è tipico, caratteristico, accogliente, pittoresco, vivace e folkloristico, intrigante, a tutto ciò uniamo poi il fatto che lo giriamo con il fenomenale tram 28, scatolino meccanico assai scricchiolante che con strattoni e strappi folli viaggia a velocità inaudita, sfiorando case e accarezzando pedoni in vicoli talmente stretti che la napoletana Forcella potrebbe essere considerata una highway californiana..

Il castello di San Giorgio domina l’intera Lisbona praticamente a 360°, con vista spettacolare sui tetti di questa città paragonabile per i sette colli su cui sorge all’italica capitale perennemente seconda e schiava del dominio neroazzurro.

Prendiamo il tram 15, questa volta leggermente più attento alle nostre articolazioni indolenzite dai precedenti stress e raggiungiamo Belem ove si staglia maestosa la torre, autentico baluardo del XV secolo esattamente allo sfocio del grandioso Tago che si getta nelle accoglienti acque dell’Oceano Atlantico.

Anche qua non arretriamo di un passo, camminiamo come indefessi ( leggesi fessi), saliamo ogni tipo di pinnacolo di avvistamento, consumiamo i battistrada delle scarpe lungo vialoni ampiamente piantumati e visitiamo con immenso piacere il Monastero dei Geronimi, stupenda costruzione di sei secoli fa riccamente adornata e squisitamente rifinita in stile manuelino.

Non sazi di cultura, proviamo a cambiare stile e con un salto nel futuro prossimo decidiamo di mettere piede al CCB, museo di arte contemporanea assai decantato in loco: mai errore fu più grave, il sommo scrivente si rifiuta categoricamente di esternare alcun tipo di giudizio, stende un cubo di cemento stile quello necessario per otturare la falla della BP nel Golfo del Messico e si appella al quinto emendamento per non denunciare gli spacciatori di ogni tipo di crack utilizzato da questa accozzaglia di psico-patetici visionari che chiamare artisti sarebbe come definire una squadra di calcio il Milan.

Oltre ad istinto ed arguzia, nella sua innata capacità di orientamento Annie è aiutato da un sopraffino senso dell’olfatto che le permette come un cane da trifola di mettersi in punta e trovare senza alcuna difficoltà la celeberrima pasticceria di Belem ove dal 1837 si sfornano giornalmente migliaia di paste sfoglia ripiene di crema pasticciera tendente all’aroma catalano, il tutto in un ambiente raffinato e festoso caratterizzato da una fila alla cassa simile alla prima del recente Avatar.

Con ancora in mente il minaccioso monito all’ingresso del folle museo in cui si rimembrava alle generazioni future “ No Dio, No Padroni, No Mariti”, mi sveglio di soprassalto sperando di non trovarmi al cancello d’ingresso del campo di concentramento dell’arte futurista….

Sbattiamo giù dal letto i manovratori della funicolare di Oriente e fiancheggiamo ad una decina di metri sopra l’acqua parte dello spettacolare quartiere fieristico dell’Expo 1998, cinque chilometri precedentemente in totale abbandono ora meravigliosamente riconvertiti con parchi, fontane, passerelle in legno, eleganti ristoranti, decisamente un gran bel modo di respirare un’ottima boccata d’ossigeno .

Il buon Calatrava, di cui abbiamo ammirato e plaudito opere un po’ in tutta la Spagna, anche qua lascia il suo indelebile segno, il solito marchio un po’ ripetitivo con la stazione ferroviaria progettata con il consueto stile dello scheletro di tacchino parzialmente disossato, deve proprio aver avuto un’infanzia infausta senza l’uso del Lego….

Un tratto senza stop della rete ferroviaria ci riporta a Santa Apolonia risparmiando una dozzina di fermate del metrò, facciamo pausa cappuccio al Delidelux il locale più elegante della capitale tutto teck e prelibatezze, raggiungiamo Sao Vicente de Fora, splendido monastero completamente tappezzato da azulejos, meravigliosi mosaici in ceramica principalmente azzurra e blu che oltre ad abbellire le facciate delle case dei danarosi del tempo, arricchiscono bellamente di scene animate cortili e chiostri il tutto targato milleseicento.  

Per il gusto di ammortizzare il pass, prendiamo tutti i tram, le funicolari ed i metrò possibili: la giornata è stupenda ed il piacere di visitare Lisbona cresce di momento in momento con l’ultima emozione pomeridiana donataci dalla Basilica del Carmo, incredibile esempio di arte gotica agli albori del 1300 ed ora miracolosamente mantenutasi nella sola struttura perimetrale a causa del terrificante terremoto del 1755, la raggiungiamo con l’elevador de Santa Justa, un vero e proprio ascensore gioiellino a cielo aperto in forma liberty che nel bel mezzo del centro città si staglia per ben 38 metri a strettissimo contatto di  palazzi antichi e case fatiscenti,  scimmiottando il genere eifelliano. .

Fa una certa sensazione ammirare cappelle, absidi, portali, transetti e volte di questo luogo sacro completamente senza tetto, la Nikon ringrazia entusiasta per gli effetti speciali e noi mettiamo una doppia stellina tra i must consigliabili.

Da tipici turisti e non da scopritori delle realtà autoctone, senza quella febbre di scoperte per usi e costumi specie per ciò che riguarda alimentazione ed abbeveraggio, facciamo sosta per la cena serale ai Docas, vecchi magazzini riabilitati al rito dell’happy hour e dei lounge bar direttamente sotto il ponte XXV Aprile.

Il clima è meraviglioso, i colori stupendi, la struttura del Golden Gate del Mediterraneo infuocata dai raggi del tramonto e, seppur del tutto artificiale, la location viene veramente apprezzata nonostante il sottofondo del passaggio del traffico soprastante tra i due lati del Tago che somiglia tantissimo alle attuali, famigerate ed odiatissime vuvuzelas sudafricane.  

Ci rifocilliamo con una colazione basata sul tutto ed il di più, torniamo a Belem, qualche scatto alla torre e favoleggiamo sul fatturato medio della famosa pasticceria, con un reale capitale sociale di 400.000 euro ed un PIL da nazione di media grandezza, bighelloniamo in centro, risaliamo al castello, svuotiamo un paio di negozietti di souvenir, visitiamo il Chado, bel quartierino sopra la città vecchia bruciacchiata dall’incendio degli anni novanta e veniamo gentilmente invitati a lasciare il campo avendo timbrato il cartellino in tutti i possibili punti d’interesse culturale, artistico, sociale, religioso, paesaggistico, architettonico.

Brevissima summa del tutto: città affascinante, forse di primo acchito un mix tra tante realtà europee ma in verità con una spettacolare seppur assai malinconica personalità, un insieme di scorci e vedute assolutamente caratteristiche, angoli, tetti, finestre e balconi con un fascino discreto ma indelebile, persone modeste, forse misere ma assai garbate, disponibili, dignitose forse al ricordo di un immenso potere ora in possesso solamente degli anziani nelle piazze che discutono animatamente sulle note melodiose del tristissimo fado.