MADRID - OTTOBRE 2021

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Nel mio caso non è mai stata necessaria una scusa per riempire una valigia, preparare dei bagagli, sorpassare l’uscio di casa e partire per la qualsiasi destinazione che il mappamondo avrebbe potuto mettere a nostra disposizione, oggi men che meno, dopo due anni di prigionia forzata, di assenza obbligata da check in e fingers di imbarco aereo, la spontaneità turistica è semplicemente ai massimi livelli, con una voglia di scoperta ed una necessità di ampliare i miei orizzonti paragonabile solamente ai mitici esploratori che nei secoli progettavano di arrivare in India per poi ritrovarsi sulle coste del San Salvador.

 

Sono euforico, sono entusiasta, sono felice come un bimbo in un enorme negozio di dolciumi con tutte le leccornie a sua disposizione, senza limite di acquisto, ritrovandomi al fianco dei pargoli con cui passare l’intero fine settimana alla scoperta di Madrid, mai trattata in precedenza ed allora ecco un’avventura ancora più affascinante, intrigante, calamitante.

Partiamo come tre piccoli scolaretti in gita con i boy-scout, un misero zainetto sulle spalle per me ed il Tommy, un super mono spalla ultra trendy, griffatissimo, per il Nico, memoria intangibile delle sue esperienze lavorative nel circus della formula Uno.

 

L’atterraggio a Baraja si fa ampiamente sentire con un contraccolpo udito in ogni membra ed arto della nostra struttura corporale ma i quarantadue euro andata e ritorno possono permettere anche di chiudere un occhio sulla preparazione alle leve di comando del pilota Ryanair che probabilmente necessiterebbe di qualche lezione di ripasso.

Optiamo per raggiungere il centro in metropolitana, i ragazzi hanno un senso dell’orientamento a dir poco paragonabile ad un uomo blu tuareg nel bel mezzo dello sconfinato Sahara, non sbagliano una fermata tra le immense stazioni sottoterra della capitale iberica e ci permettono l’arrivo al Gran Paseo Central mentre su Madrid cominciano a calare le prime ombre della sera, ove cronometrati ci fermiamo cinquecento secondi prima di dare inizio alle danze, ovviamente metodo flamenco d.o.c..

Visitiamo il mercato San Miguel, tipicissimo insieme di botteghe street food ove sbocconcellare finger food, qui chiamate tapas, sorseggiare una birra, denominata cerveza, ammirare il passaggio variopinto di una fiumana incontrollabile di persone di ogni genere, tipo e abbigliamento, un’umanità necessitante quanto non mai di normalità, tranquillità, serenità.

 

Come se non bastasse, dopo aver battuto il record assoluto del contapassi che sfonda il muro dei ventunmila nonostante avessimo girato per meno di tre ore, ecco che i dannati nativi digitali sfruttano le loro alchimie tecnologiche, già dimostrate per oltrepassare stile truffa truffa ambiguità i controlli aeroportuali legati ai Green Pass ( e qui preferisco far calare una pesante cappa di omertà e silenzio tombale) per sbloccare tramite app l’antifurto e poter così scorrazzare indisturbati per le calli madriliste su scooter elettrici di una comodità e di una silenziosità impressionanti.

La loro energia è infinita, sembrano caricati a propulsione nucleare ed allora allo scoccare della mezza, mentre io mi ritiro in stanza, con loro che da bravi badanti mi rimboccano pure le lenzuolina, decidono di lasciare il segno del loro passaggio andando nella più gettonata e ricercata discoteca locale, a venti metri dall’albergo, capitanati e guidati da un Tommaso in grandissimo spolvero.

La pantagruelica colazione mattutina ha il suo vero perché, spaziando dall’onnipresente jamon iberico al salmone affumicato, da vari tipi di formaggio a diverse soluzioni di brioche e pancake, un dolce salato unito a fiumi di vera spremuta che conciliano in maniera più che apprezzata l’apertura delle palpebre stranamente non troppo assonnate.

 

Miglior regalo di compleanno non poteva essermi riservato con la sorpresa del Nico che mi fa varcare i cancelli del Mitologico Santiago Bernabeu, vero e proprio museo della pedata calcistica universale ove risuonano ancora a distanza di undici anni le lodi e le glorie per il trionfo dell’armata neroazzurra che qui ha scritto il capitolo più importante della Bibbia dello sport di tutti i tempi, brividi verissimi mi fanno tremare dall’emozione, accentuata ancora di più dal sentire la telecronaca di quegli attimi che per l’umanità INTERa possono essere, forse ma dico forse, paragonati solamente allo sbarco sulla Luna, anche se il piede del Principe Milito ha fatto un qualcosa di ancor più memorabile.

Proseguiamo il tour sempre facendoci influenzare da istinto e spontaneo desiderio di conoscere un qualcosa che fino a stamattina ci era del tutto sconosciuto, il fiuto non ci smentisce mai e la visita alle quattro torri, head quarter di realtà come Kpmg, Pwc, Cepsa, Ie, grattacieli avveniristici e quanto mai fotografabili, soprattutto grazie ad un cielo spaventosamente azzurro, ci permette di aggiungere una parentesi di ingegneria e design al nostro know how turistico.

 

Torniamo verso il centro, gironzoliamo senza una vera meta e pertanto ancora più colpiti, sorpresi e piacevolmente ammaliati da una serie di quartieri eleganti, raffinati, quanto mai vivibili ed apprezzabili, tra negozi tipici, ristoranti, gallerie d’arte, show room prima di seguire le dritte del telefonino rovente del Nico che ci porta a visionare tutta Madrid dall’alto del roof top Azotea del Circulo al Palazzo dell’arte, un’oasi di pace e tranquillità ove sorseggiare tranquillamente la bevanda nazionale che scorre a fiumi a qualsiasi ora, praticamente giorno e notte ininterrottamente in una sequela senza fine di locali, taverne, trattorie, osterie, cantine, ristoranti, bottiglierie, vinerie perennemente affollate di vociante umanità che sembra dedita solo al bere continuo ed al mangiare perenne.

 

Decidiamo di separarci momentaneamente, io prendo un treno ad alta velocità alla Stazione di Atocha, tragica testimonianza della malvagità umana che ha lasciato dopo un mostruoso attentato una striscia di sangue data da quasi duecento vittime ed ora trasformata in parte in un lussureggiante orto botanico ricoperto di palme equatoriali e non solo, mentre i cuccioli propendono per assistere ad una corrida, non condivido la scelta ma una volta nella vita ci può anche stare questo spettacolo tanto storico quanto culturalmente qui apprezzato e a tutt’oggi richiesto.

Io arrivo a Toledo, seguendo il consiglio del babbo universale globe-trotter che tutto vide e tutto visitò, non me ne pento certamente, salgo stile mulo di montagna l’irto colle su cui è posto il centro storico di questa realtà dominata dall’Alcazar, maniero militare visibile da decine di chilometri di distanza e famoso per la cattedrale che svetta tra vicoli ricoperti di ciottoli e muri risalenti a diversi secoli fa.

 

La casa del Signore è veramente imponente, maestosa, grandiosa, debbo accodarmi diligentemente per l’acquisto del biglietto d’ingresso ma la cultura viene prima di tutto e dieci euro, inizialmente scuciti in maniera recalcitrante, vengono ampiamente digeriti al momento di visitare la sagrestia ove albergano tranquillamente opere di potenzialmente validi ritrattisti del calibro di Goya, Van Dick, Rubens, Velasquez, Raffaello Sanzio, Tiziano Vecellio, direi proprio non male, al punto da essere considerata da taluni una delle dieci più chiese più importanti di Spagna, per non dire d’Europa ....

 

Ci ritroviamo per l’ora di pappa, saltiamo sugli scooter elettrici che sono diventati i nostri comodissimi e silenziosissimi compagni di scoperta cittadina e ci accomodiamo con le gambe sotto al tavolo del ristorante NuBel del Museo Regina Sofia per la celebrazione del mio genetliaco, ovviamente scoperto tramite dritta e gancio del Super Nico, locale quanto mai sofisticato, all’avanguardia, di tendenza assoluta, peccato che il Tommy debba aspettare oltre quarantadue minuti di orologio l’arrivo della sua pietanza, dopo che noi abbiamo già terminato il nostro processo di digestione, la praticamente assoluta incapacità del personale di spiaccicare la benché minima parola in inglese ci porta ad evitare improperi e maledizioni, la fantastica e meravigliosa compagnia supplisce comunque al tutto.

 

I movimenti oggi sono ovviamente più controllati, rallentati, sincopati, la stanchezza si fa sentire alzando notevolmente il tone of voice, come direbbero i Soloni del marketing, diamo inizio alla magnana di domingo con una quantità di calorie degne di un nuotatore olimpico, saltiamo in groppa a due Cabify ubicati esattamente nelle nostre vicinanze, restiamo estasiati dal cinguettio sonoro degli attraversamenti pedonali e ci plasiamo nei dintorni della cattedrale, decisamente indegna di tale appellativo essendo risalente al secolo scorso e senza particolari cenni storici o pittorici degni di essere riportati su questa Lonely Planet in salsa brianzola. Riprendiamo ad accumulare acido lattico, tocchiamo vari punti nevralgici della ciutad, Nico sale in nostra rappresentanza sulla cima del Riu in qualità di filmmaker e reporter con patentino, noi nel frattempo gironzoliamo per la parte bassa della Gran Via, sede di una grandissima presenza di cinema e teatri, prima di riabbracciare il factotum e l’onnisciente che ci porta a toccare il cielo sulla terrazza del Picalagartos che solo lui poteva conoscere, piccolo break per far scendere nell’esofago due Desperados ghiacciate e via, verso nuove mete, nuovi locali, nuove avenidas, sotto un sole che definire ottombrino creerebbe notevoli problemi di credibilità.

Siamo arrivati al traguardo, un’oretta detox in albergo ci permette di tirare il fiato e le fila riassuntive di un weekend veramente strepitoso, ottimo sotto ogni punto di vista, compagnia perfetta, amalgamata e complice, molto apprezzabile per quanto riguarda location, mete turistiche, scoperte locali, condizioni meteorologiche, feeling con una città che pur non stagliandosi sull’orizzonte e non ingigantendosi sul falsopiano della Meseta per qualcosa di straordinario o strepitoso, entra comunque nel nostro bagaglio di esperienze e nel nostro zaino di conoscenze sicuramente nel top ten tra le capitali planetarie visitate.