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Esacerbati, stressati, praticamente infradiciati da settimane di continue alluvioni, allarmistiche inondazioni, esasperanti precipitazioni, lasciamo Monza sotto un cielo plumbeo che ben poco lascia all’immaginazione di meteorologi che non hanno difficoltà a supporre cosa attende l’amata Padania, staccando la spina che verrà prontamente reinserita per la ricarica di energia, di benessere, di galvanizzante euforia in terra egiziana.
Uno dei più antichi detti popolari recita che non c‘è il due senza il tre e quindi per non sfatare la tradizione facciano timbrare con teutonica precisione il pass autunnale sulle rive del Mar Rosso.
Viaggio più che tranquillo, forse un po’ meno per i passeggeri non abituati a terremoti d’alta quota causati dalla vivacità dell’indomabile Cocò e rullaggio d’arrivo sulla pista di Hurgada che ci da un piacevole benvenuto climatico.
Rapido transfer su un pulmino oscurato totalmente quasi temendo rappresaglie militari di non ben specificata natura e blitz dell’ancora sveglissimo Nic che si impossessa del microfono e sovrasta con acuti di ottava elevatissima i raggelanti sottofondi musicali beduino-desertici.
Mezz’ora volata in un attimo ed ingresso nella tipica cattedrale nel deserto: in questo caso scalpellini e decoratori c’hanno dato dentro di bestia creando dal nulla, nel nulla più assoluto una reale reggia che dubitavamo a credere nella guida quando asseriva essere il migliore albergo d’Egitto.
Un arcinoto spot televisivo rimembrava a casalinghe vogheresi e massaie pavesi “provare per credere”, ma questa volta siamo già sicuri che non chiederemo il rimborso essendo pienamente soddisfatti dell’ambaradan.
Riapro gli occhietti decisamente molto presto, anche perché il piccolo Tommy, lemme lemme, quatto quatto ha pensato bene di conquistare la predominanza del lettone ed allora mi inoltro sul bagnasciuga di Soma Bay per ammirare l’alba: anticipo un po’ troppo i tempi e sbarbello dal freddo porco in attesa della comparsa dei primi raggi dell’amica stella solare che si fanno attendere per un lasso di tempo che pare interminabile.
Vado di scatto fotografico e rientro alla base dove, alla faccia di essere in territorio egiziano, mi intabarro con piumone e copriletto non avendo il coraggio di ingollarmi un punch bollente.
Andiamo alla scoperta dell’effettivamente apprezzabile dimora turistica che ci offre piscine over-size con annesse cascatelle, rivoli di affluenti limitrofi, statue, sfingi e piramidi a contorno di uno specchio d’acqua fotograficamente molto attraente.
Vagoni piombati, usati nella seconda guerra mondiale per il trasporto deportati devono essere stati riadattati per lo stivaggio di mandrie di mangiatori di crauti, nati già con sandalo e calzino bianco annesso e connesso, che pascolano indisturbati dopo aver cercato scampo dalle gelide periferie di Amburgo e Dresda, sentendosi padroni di spiaggia, piscina, golf e ovviamente sala da pranzo.
Mi spiace dover ricordare per l’ennesima volta le difficoltà cromatiche nella messa a fuoco da parte del Vostro adorato narratore, ma chiunque rimarrebbe esterrefatto dalle varianti incredibili date dal contrasto di lingue di sabbia che si sciolgono in un mare multicolore, sovrastato dalle catene montuose desertiche: natura allo stato brado.
Notevole la disarmante uscita oratoria del Cocò che nel pieno della notte, con la più disarmante delle semplicità, sveglia tutti, peraltro scusandosi, reclamando a pieni polmoni: sono affamato!!!.
Un’improvvisa velatura della volta celeste ci permette di compiere la prima estromissione da codesto paradiso: attendiamo quasi pazientemente l’arrivo di un taxi che ci porta a far visita degli altri albergoni di queste terre riarse lambite dal sacro Mar Rosso.
Per la prima volta, inizialmente assai riluttante e recalcitrante, Annie accetta quello che per il Caprotti è stato per anni vanto, orgoglio ed intrigante piacere: intrufolarsi nei vari hotel alla ricerca di spunti degni di nota, di scorci paesaggistici sopra le righe, di consigli per futuri viaggi.
Esaminiamo varie dimore assolate, tutte di pregevole ed accattivante immagine, ma certamente non all’altezza dello Sheraton che ci riattende per un fenomenale tramonto, che unito ai 38 passi che dividono la nostra stanza dal favoloso ristorante, dalle 75 falcate che ci separano dalle invitanti piscine, dai meno di 150 metri che ci permettono di affondare i piedini nella sabbia perfettamente curata, ci fa capire che è inutile cercare altrove quando tutto il meglio ci è offerto in loco.
Cocò deve essere la reincarnazione di un missionario conquistadore spagnolo visto il metodo molto sbrigativo con cui educa alla crescita il povero Tommy: mentre recita a memoria salmi, preghiere ed inni religiosi con le mani provvede bene a massacrare l’inerme secondogenito.
Il tempo passa fin troppo in fretta e l’inesorabile clessidra mentale ci fa capire che questa splendida parentesi volge al termine: elogi, encomi e lodi sperticate vanno a questo meraviglioso e fortunatamente incontaminato angolo di deserto che ci ha donato momenti veramente memorabili.
Niccolò scimmiottando e prendendo letteralmente per i fondelli stranieri di ogni angolo del globo monopolizza l’attenzione attirando su di se le morbose attenzioni di una bimba greco-ruissa-danese, erede di una rifattona stile Barbie modellata male e di una nobil erede figlia della tipica cagona milanese tutto fumo e zero contenuto che si è ingigantita sul falsopiano stagliandosi alla stragrande grazie anche ad un vocabolario da manovale bresciano.
Tommy si è impossessato stabilmente della piscinetta ormai di suo dominio che viene abbandonata solamente per la quotidiana abbuffata di mousse al cioccolato di cui il pargolo si ritrova cacao dipendente.
Una lacrima sul viso, ma forse anche qualcuna di più, spunta al momento del doloroso distacco dal resort che rimarrà a lungo impresso nelle nostre menti tanto quanto la frase finale del mitico Nic: Papà sei stato molto fantastico per avermi portato in questa vacanza.