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Partire all’ultimo dell’anno verso mezzogiorno, attraversare il Mediterraneo e raggiungere molto più che tranquillamente un altro continente mentre ancora splendidi raggi solari riscaldano i nostri visi non ha alcun prezzo, neanche utilizzando una tanto decantata forma di pagamento posticipato. Orio al Serio sta diventando a tutti gli effetti il vero e proprio scalo milanese, superando purtroppo per traffico e per servizi il, per noi meneghini doc, sacro Linate, ultimamente tristemente poco considerato, in fondo a viale Corsica, poco prima dell’Idroscalo. Le procedure per l’imbarco, solitamente mera formalità, si rivelano un ostacolo impervio e periglioso, con ragazzina addetta alla semplice emissione di una ricevuta del check in online già precedentemente effettuato che s’incaponisce per qualche ettogrammo in più nel peso del bagaglio e, forse stizzita dal dover passare la serata del trentuno nelle cascine tra Rovato e Treviglio, ci obbliga a rivoluzionare la perfetta disposizione di ogni capo di abbigliamento, posizionato con arte e maestria e ora riposto in un sacchetto della spesa di fortuna.
Sarà la stanchezza accumulata in cinquantadue settimane, sarà il desiderio di andarsene fuori dalle anime, ma praticamente non ci accorgiamo nemmeno della scomodità della scatola di sardine in cui veniamo stipati e compressi, il giallo e blu fosforescente degli interni della Ryanair è decisamente abbagliante ma non ci facciamo caso e tiriamo dritti, anche perché sembra non ci siano tappe intermedie o possibilità di prendere una boccata d’aria.
L’aeroporto di Marrakech ci sorprende, è incredibilmente pulito, tendente al moderno, proiettato all’avveniristico, se poi aggiungiamo un gradito sguardo al termometro che indica un apprezzatissimo più diciotto sulla scala Celsius comprendiamo il motivo del nostro primo sorriso. La città è caotica, incredibilmente viva e vivace, il suono dei clacson incessante, il traffico incontrollato e incontrollabile, motorini risalenti alla guerra in Abissinia sfrecciano da ogni dove, con non capiamo quante persone sopra, regna l’anarchia più totale, penso che la viabilità sia gestita dalla legge del più forte.
Il riad Infinity Sea è strepitoso, curato, raffinato, elegante, sarà perché ci troviamo in Africa, ma lo consideriamo immediatamente come un’oasi, un miraggio nello squallore circostante e qui scatta immediata una precisazione: ovvio che ci si possa aspettare una condizione per taluni versi degradata ma certi angoli, certi scorci, certi personaggi ci fanno decisamente riflettere e trasalire circa il mero concetto di esistenza. Il primissimo impatto è addirittura fastidioso, non voglio esagerare ma il contatto praticamente fisico con uomini che cercano in tutti i modi di attirare l’attenzione non richiesta e soprattutto non gradita mi lascia sconcertato, non arrivo al punto di temere per sicurezza e incolumità ma ci non siamo molto distanti. Cominciamo il giro della vieux ville, colori, odori, rumori, sapori e umori si mischiano in un caleidoscopio di sensazioni dalle tinte molto forti, un paio d’indigeni ci s’incollano alle calcagna, pretendono di tramutarsi in nostre guide e l’obbligo di pagar loro un obolo diventa un momento di vera e propria tensione. Ce ne liberiamo non senza qualche grattacapo, tiriamo anche due sospiri di sollievo e riprendiamo il cammino, restando esterrefatti nel quartiere dei conciatori, vero e proprio girone dantesco ove, in condizioni folli e inaccettabili, esseri un tempo umani immersi in vasche ricolme di ammoniaca animale e sterco di piccione, sono abominevolmente costretti a lavorare pezze di pellame che verranno poi trasformate in borsette e oggetti vari di pessimo gusto, mai in vita mia avevo assistito a tanto degrado e l’esperienza è stata sinceramente molto toccante.
Piazza Jemaa El Fna è il centro pulsante di tutto, sembrerebbe il cuore dell’Africa intera, mercanti di ogni genere, bancarelle di ogni tipo, suoni di ogni fattispecie, personaggi di ogni provenienza, fumi di ogni natura riempiono l’orizzonte visivo, rendendo il primo impatto tanto affascinante quanto irreale. Ci ritiriamo nei nostri locali finemente addobbati ed elegantemente curati ben prima dello scoccare del fatidico rintocco, che viene vissuto in maniera decisamente ed eccessivamente sopra le righe da gruppone di transalpini mangia rane più che alticci e fuori controllo.
Stamattina pensavamo o meglio speravamo di essere capitati nelle mani giuste, un viandante indigeno con perfetta inflessione parigina ci ha attaccato bottone, asole e risvolto dei pantaloni, dimostrando una disponibilità assolutamente fuori dal comune, accompagnandoci praticamente ovunque, in versione cicerone cantastorie e storico tuttologo, presentandoci poi l’ormai consueto conto per il supporto, sembra che qui vivano solamente per darti indicazioni a pagamento. Abbiamo capito la solfa, prendiamo una decisione, sputiamo per terra per cementare l’accordo e decidiamo di perderci piuttosto che ascoltare ancora improvvisati tour operator e poco scaltri scout, stile pellirossa della frontiera del West. Giriamo come trottole, imperativo categorico è il non fermarsi mai, non sappiamo bene quale santo ci protegga o quale stella cometa ci illumini il cammino ma riusciamo perfettamente a orientarci, rimanendo attoniti e sbigottiti da questa realtà incredibilmente accattivante, intrigante, affascinante . La popolazione è sinceramente poco incline al dialogo, tutt’altro che ospitale e realmente poco invitante, cercano in tutte le maniere di attirarti all’interno delle loro bottegucce, ogni occasione sembra buona per infinocchiare l’ignaro turista, che risulta abbastanza infastidito da queste mal accettate e pressanti attenzioni.
Buttiamo l’occhio ovunque, anche per evitare di essere stirati dai pazzi al manubrio di velocipedi veramente pericolosi, pensavo di essere in grado di portare un motore, come dicono nel golfo di Mergellina, ma qui sono veri e propri assi nella guida e nell’evitare tragedie all’interno di vicoli, stradine e strettoie ove credevamo di poter passare solamente a piedi e in fila indiana. La tendenza che va alla maggiore attualmente a Marrakech è per locali sui tetti, nella Milano da bere si direbbero roof top, in ogni caso è un vero spettacolo dominare mercati, medine, kasbah da un privilegiato angolo visivo, che ingigantisce ancor di più l’emozione che proviamo durante questa nuova avventura. Serata in un locale super trendy che potrebbe benissimo essere ubicato a Formentera come a Ibiza piuttosto che a Mikonos, concept store all’avanguardia sotto un cielo di stelle e un freddino che ti entra in maniera diretta sotto pelle, dopo una giornata che piuttosto che essere ricordata come quella del primo di gennaio potrebbe essere menzionata come ultima settimana del maggio lombardo.
Penso, o almeno credo, di aver sempre rispettato le altrui opinioni, le diverse idee, le differenti credenze sia politiche che religiose, sto ammirando positivamente sorpreso e colpito le credenze locali e la loro incredibile dedizione alla preghiera giornaliera ma vi assicuro che le litanie insopportabili e le nenie fastidiosissime di stamattina, molto prima del canto del gallo, mi avrebbe portato volentieri a troncare di netto le corde vocali del muezzin del quartiere.
Quando comparirono sulle nostre spiagge i primi vu’ cumpra si diceva che cercassero di vendere delle maroquinerie, qui abbiamo toccato con mano e capito quale sia il vero significato di falso, d’imitazione, di copia, di fake avendo a che fare con ogni tipo di similitudine all’originale possa venire in mente a questi diabolici e dannati creatori di simil borse, scarpe, cinture, cappelli, accessori griffati, marcati e bollati Gucci, YSL, Vuitton, Balenciaga, Plein, Lanvin, Givenchy, Prada, Koors. Colazione in terrazza, vista tetti, sole a picco, splendida sensazione mattutina, prelibati manicaretti prodotti in casa, marmellata, yogurt, pane, brioche preparati con massima cura non sappiamo però da quali manine, prima di iniziare, con estrema quasi eccessiva calma il nostro girovagare, mercanteggiamo su tutto, anche sulla corsa con gli esosissimi taxisti, ci adeguiamo ai loro usi e costumi, non acquistiamo nulla senza fare trattative allo spasimo, è un divertimento, praticamente un obbligo e noi lo facciamo con sommo piacere.
Il driver odierno sbaglia a comprendere la nostra destinazione, inverte il senso di marcia e sbuffando come un bufalo incomincia a zig zagare paurosamente facendoci vedere i sorci verdi a pois, ci scarica quasi senza un cenno davanti alle tombe dei sultani, che si rivelano una mezza fregatura, quasi un’ora di coda per una sola stanza, neanche delle più riccamente adornate. Il palazzo Bahia è invece molto più che degno di approfondita visita, un insieme di splendide sale, saloni e salotti ricoperti di coloratissime ceramiche e piastrelle sgargianti, il tutto immerso in un lussureggiante giardino, tra fontanelle e gradevolissimi angolini ombreggiati. Torniamo per ennesima volta, ne abbiamo perso il computo dopo solo due giorni di permanenza, nella piazza emblema e simbolo della città per non dire della nazione intera, sicuramente ha un suo vero perché, una via di mezzo tra il magico e il misterioso, ma tra commercianti di tutto e di più, incantatori di serpenti ( ho perso tredici anni di vita quando me ne hanno adagiato uno sulle spalle), dispensatori d’acqua, musichieri, saltimbanchi, coloritrici di mani, ammaestratori di scimmie, propositori di denti e dentiere ( ne ho le prove fotografiche), venditori senza partita iva e fattura elettronica, ci siamo un po’ stufati della loro insistente pressione e della loro infinita richiesta di denaro .
Notiamo un divario pazzesco, una differenza quasi grottesca tra bambini cenciosi che inseguono nella terra una lattina simulacro di un mai acquistabile pallone e la città nuova appena al di fuori delle mura, con tutti i marchi di un lusso tipicamente occidentale, poche centinaia di metri sembrano un confine invalicabile tra due realtà, due mondi che non comprendiamo come possano coesistere, forse l’unica soluzione parrebbe essere che una esiste all’insaputa dell’altra . Talvolta, per non dire spesso, senza aggiungere anche sempre, le sorprese possono rivelarsi ancora più straordinarie di sicure certezze e allora eccoci a posteriori a lodare in maniera sperticata l’idea di lasciare Marrakech per effettuare un mordi e fuggi in giornata a Essaouira, quella che poteva rivelarsi una fesseria, lasciare il sicuro fascino della magica città per seguire commenti e pareri meramente virtuali scoperti nell’oscuro mondo digitale, si è in realtà concretizzata in una scelta vincente.
Ci adattiamo obtorto collo ai tempi organizzativi, veniamo issati praticamente a forza su un Van con oltre un’ora di ritardo sui tempi prefissati, non abbiamo alternative ricordandoci la latitudine locale, viaggiamo per oltre due ore e mezzo senza essere attratti da nulla, se si eccettua un inspiegabile banco di nebbia che ci avvolge per chilometri e un branco di capre appollaiate come avvoltoi su alberi di mandorlo, ove mangiano le prelibate bacche che poi vengono espulse, lavorate e tramutate nel prezioso olio di argan. La città ci piace di primo impatto, subito, immediatamente, il ristorante le Chalet de la plage è un qualcosa di fantastico, esattamente la realtà del famoso detto pieds dans l’eau con una veranda assolata da applausi a scena aperta, il sciur parun ha l’aria di uno di quelli che deve averne viste di tutte nella vita, così come l’innominabile amico che ce lo ha consigliato, comunque mangiare un’insalata di pesce ottima, due orate alla griglia strepitose ed un piatto di calamari fritti in quantità industriale per 32 euro penso non debba essere seguito da alcun commento .
Abbiamo meno di tre ore per visitare il tutto, mi sono trasformato in capo popolo alla testa della rivolta dei passeggeri costringendo l’autista a concederci trenta minuti in più e ne valeva quanto mai la pena: il borgo tutto case bianche e tetti colorati sugli scogli è straordinario, ogni angolo una sorpresa, ogni scorcio un’emozione, con una popolazione decisamente più affabile, sorridente, pulita e certamente meno aggressiva di quella incontrata a Marrakech e prezzi calmierati, non trattabili ma decisamente molto abbordabili . Il tempo è tiranno, varrebbe la pena passarci almeno una serata e il giorno successivo, non è possibile e ce ne facciamo una ragione, ma il ricordo sarà certamente indelebile e il consiglio di venirci tassativamente dato a chiunque si troverà nei non lontani paraggi.
Anche oggi rimbalziamo davanti alla coda chilometrica all’ingresso dei giardini Majorelle e del museo di YSL, non possiamo che desistere anche perché stamane è scoppiato il solleone, un caldo mefitico ci batte sul coppino proprio quando, onde evitare brividi e fremiti, ci eravamo coperti alla stragrande. Ci siamo rotti le anime di contrattare, di fare un cinema pazzesco con scene strappalacrime per ottenere una riduzione dell’importo dovuto, entriamo ovunque veniamo attirati dal nostro sesto senso, diamo un valore e nel caso rarissimo di non accettazione della nostra proposta da affamatori d’indigeni già di per loro poco nutriti, giriamo i tacchi e leviamo le tende.
Non potevamo esimerci dal rituale dell’hammam, sarebbe come andare a Milano e non venerare il San Siro neroazzurro, dedichiamo molta attenzione a recensioni, commenti, pareri, giudizi e propendiamo per l’Alphais, non facilissimo da trovare ma rivelatosi una perla di rara bellezza ed efficienza. L’esperienza, che si concretizzerà in una realtà extrasensoriale, comincia con il centonovantesimo the alla menta deglutito in questi giorni, per poi trasformarsi in un superbo sogno d’incomparabile piacere, partenza con nettoyage, per poi passare al savonage, quindi al gommage, mancava solo il bondage per fare tombola di sensazioni ed emozioni. Siamo stati lavati come bimbi appena nati, la prima reazione al guanto di crine per lo scrub è stata forse una centra in mezzo agli occhi dell’innocente addetta al mio benessere, poi mi lascio andare per farmi trasportare in un mondo fantastico e senza eguali, che trova il suo apice assoluto in un’ora di massaggio agli oli di patchuli che trovo sinceramente difficile descrivere, mi limito al voto tornando con i piedi sulla terra, un dieci e lode senza alcun dubbio e perplessità.
Quando ci mettiamo nella capoccia qualcosa nulla, niente e nessuno riesce a farci cambiare idea, volevamo a tutti i costi vistare le Jardin Majorelle e svegliandoci quando tutto fuori è immobile e silenzioso, a parte il solito infame canterino sulla torre, andiamo incontro a un bel due gradi freddi e gelidi per essere i primi in assoluto a varcare la soglia del più recensito punto di INTEResse locale, il buon ritiro del famoso sartino e del di lui amorevole compagno, trasformato in una rigogliosa foresta tropicale dai colori accesi e sgargianti. L’attiguo museo, molto bello dal punto di vista architettonico e scenico, rende molto bene l’idea della grandeur artistica del modellista d’oltralpe, anche se tutto sommato tre tentativi e un biglietto d’ingresso decisamente tres cher non so se valessero veramente la pena per tutti gli sforzi effettuati. Giusto per non farci mancare alcunché troviamo un taxista veramente disponibile, ci porta fino alla Palmerie, quartieri molto fuori città punteggiato da un’infinità di piante che ne donano il nome, tra alberghi super lusso e residenze da mille e una notte, pur nella loro versione moderna e non da misterioso oriente come ci si potrebbe aspettare.
L’ultima chicca è un ristorantino, la Famille, creato in un cortile della Medina, lo stile, il taglio e il mood è tipicamente europeo, ma il contesto non ci fa perdere un secondo il concetto di dove siamo e di cosa stiamo vivendo, mangiamo eco, bio, macrobiotico con Cri cui si ferma il plesso respiratorio trovandosi a tavola con un guerriero dai lineamenti “dannati” scalpito nel marmo, corretto, giusto e necessario tocco finale per coronare una vacanza veramente superlativa e strepitosa .