PARIGI - GIUGNO 2006

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I casi della vita sono sempre imprevedibili, i corsi e ricorsi storici sicuramente inaspettati, i distacchi certe volte non del tutto definitivi ed allora, grazie al fascino della Signora Passoni e ad una gran buona dose di fortuna, ecco che la mia strada si incrocia con quella della Mondadori: a distanza di sei mesi da quello che doveva essere il film “E’ stato molto bello ma non ci rivedremo mai più”, eccomi a Parigi per un week end sponsorizzato, gentilmente offerto e prevedibilmente molto gradito grazie ai potenti mezzi e al portafoglio gonfio della casa editrice di Segrate.

Non svelo nulla, il tutto deve rimanere tendenzialmente coperto dal segreto istruttorio, per il momento constato la drastica discesa della colonnina di mercurio che con un doppio carpiato si è abbassata di almeno 15 gradi rispetto alla torrida calura milanese.

Giusto per farci acclimatare, l’organizzazione ha ben pensato di ibernarci durante il rapidissimo flight della Raynair, più simile ad un tragitto della corriera dei pendolari della bassa lodigiana che ad un vero e proprio volo internazionale, accettiamo pure la mancanza di giornali, di snacks, di bevande e di frills, ma fatichiamo non poco a sopravvivere ai meno tanto tanto presenti nella cabina.

Giungiamo a Bouvais, aeroporto probabilmente inventato per l’occasione in quanto, alla faccia della grandeur transalpina, trattasi di squallidissimo capannone pre-industriale nel bel mezzo di coltivazioni agricole alquanto differenziate.

Il raggiungimento della Villa Lumiere richiede più tempo che il superamento dei vari confini internazionali sovrastati nel nostro percorso, ma la parola gratis ci fa ovviamente ben accettare questi piccoli inconvenienti tecnico- viabilistici.

Grand albergo nei pressi dell’Arco di Trionfo, veloce lancio del bagaglio in stanza ed immediato contatto con il fascino, lo charme, il carisma, l’attrazione sprigionata da questa capitale che personalmente metto senza ombra di dubbio in cima a tutte le classifiche architettoniche, logistiche, storiche, ambientali.

La piccola dolce Annie è assolutamente a suo agio, le precedenti esperienze in loco sembrano risalire a poche settimane fa piuttosto che a diversi lustri orsono  ed allora con piglio sicuro e determinazione indomita si mette alla testa del gruppo non sbagliando una fermata del metrò, una coincidenza ferroviaria, un angolo suggestivo, uno scorcio pittoresco.

Vediamo di tutto e di più, giriamo come trottole praticamente senza controllo, ritrovandoci comunque sull’attenti per il serrate le file dell’appello serale, destinazione un alquanto caratteristico e pittoresco ristorantino ove, gaudiosamente intrattenuti dagli accompagnatori locali, sbafiamo prelibate delicatezze sempre cortesemente offerte.

Rientro nelle brandine ostacolato da scene di ordinaria follia causa festeggiamenti quanto meno esagerati per la vittoria dei galletti transalpini sulla mal assortita brigata togolese; tempo praticamente nullo di riposo delle palpebre e subito ripresa del ciclo alimentare grazie a colazione “da paura vera” in vista della promenade mattutina.

Ripasso delle varie possibilità di creatività architettonica, pratica che ai locali siamo costretti ad ammettere veniva e viene tutt’ora più che bene e necessario dazio da pagare per cotanto ben di Dio offertoci a “babbo morto”: Annie, vincitrice come quattro altre sventurate pulzelle italiche di un concorso su un periodico mondadoriano per me ora innominabile, è costretta, più o meno consenzientemente a cambiare il proprio look, la propria immagine, la propria identità.

Quattro ore di estenuanti manipolazioni di una troupe di visagisti, truccatori e parrucchieri di inappuntabile e conclamata non mascolinità, hanno prodotto per ciascuna concorrente risultati contrastanti, variabili tra lo sconforto più totale all’euforia più contagiosa.

La prode Annie si è trasformata in una vaporosa vamp dall’affascinante chioma leonina, dimenandosi senza pausa sotto riflettori e flash manovrati da prodi maschietti molto femminili che ne hanno immortalato le nuove, assai attraenti sembianze.

Serata con cena di gala pre partenza all’ultimo piano del futuristico, anche se ormai trentennale Centre Pompidou ove uno stuolo di fotomodelle di varia estrazione etnica ha provveduto a trasformarsi in cameriere con il compito di farci schizzare alle stelle il tasso di trigliceridi con colpo finale all’indice di colesterolo già minato da due giorni di grassi e di unti veramente esagerati.

Ritorno al passato nel giro di poche ore: un tramonto di fuoco sui tetti parigini, una stellata romantica lungo gli Champs Elisees ed al mattino secchiate d’acqua tipiche del più plumbeo marzo inglese, con tipica abitudine mediterranea di tenere le saracinesche ben abbassate durante la sacra domenica col risultato di un sempre interminabile girovagare, questa volta però senza il plus del sole apprezzato nei giorni precedenti.

Ripartiamo, dopo aver tagliato il traguardo dei centomila scalini superati e delle duecento stazioni metropolitane trattate, con tanti rimpianti e con stupendi ricordi ottenuti nel breve volgere di un week end in questo meraviglioso insieme di emozioni e di sorprese che solo Parigi può dare, anche a chi ci ha lasciato mezzo metro di cuoio capelluto, d’altronde Parigi val bene una meches…….