PECHINO - HONG KONG - MACAO DICEMBRE 2019

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I detti popolari sono la base della nostra esistenza, le radici delle nostre tradizioni, il fulcro dell’insegnamento per le future generazioni, lo comprendiamo e ne abbiamo giornalmente conferma, in questo caso accorgendoci come le stagioni non siano più le stesse, quando stavamo meglio pur stando peggio, durante un periodo natalizio in cui crediamo sinceramente di aver perso la bussola dell’orientamento temporale, trovandoci con più di sedici gradi al momento dello scartamento dei doni lasciatici dal signore vestito di rosso con la lunga barba bianca, impossibilitato a raggiungerci con le renne, appiedate dalla mancanza assoluta di manto nevoso, almeno in tutta la pianura che si estende dal regno sabaudo alla repubblica veneziana.

Riusciamo lo stesso a godere di un po’ d’intimità gioiosa nell’apertura di regali, pacchetti, sorprese varie grazie alle consegne franco destinatario facilitate dalle più moderne forme di recapito a domicilio, dedichiamo giusto una giornata intera all’espletamento del sempre più gravoso compito della preparazione delle valigie, mai esattamente complete, adatte, perfette e ci piazziamo con armi e bagagli al cancello di partenza della trasvolata Milano - Pechino, ultima trovata artistico - culturale - turistica del prode Caprotti per cercare di far spuntare un accenno di sorriso sul luminoso viso di ragazzi e compagna di vita.

Il clima umano, personale, psicologico, esistenziale è al momento dei più rilassati e sereni, la destinazione estremo orientale del tutto sconosciuta a tutti i partecipanti, non sappiamo assolutamente cosa ci attenderà e sinceramente non ci poniamo in nessuna maniera dubbi e/o perplessità, talvolta il fascino del mistero ha il suo perché, troppo banale affermare che lo scopriremo solo vivendo, ma questo sembra proprio lo spirito con cui ci imbarchiamo sull’Airbus A 350/900, che in nove ore e venti minuti ci farà toccare terra nella capitale dello sterminato dominio del Celeste Impero, ora tinteggiato di rosso proletario.

Facciamo lo spuntino di metà mattina come se niente fosse nel bel mezzo del terminal 1 di Malpensa, stile gita fuori porta del lunedì di Pasqua, tiriamo fuori panini e dolci portati dal nostro domicilio, sembriamo degli scappati di casa, manca solo una tovaglia con i quadrettoni rossi e un fiasco di Lambrusco per poter rivivere le immagini d’infiniti ritrovi famigliari dell’Italia nel primo dopoguerra.

Buttiamo distrattamente una rapida occhiata ai cartelloni elettronici che indicano partenze e destinazioni, non ce ne sono di particolarmente accattivanti e/o affascinanti e allora ci accomodiamo direttamente nei posti che ci siamo, non senza qualche difficoltà, pre assegnati ieri, giusto in tempo per notare la ripresa del ruminamento da parte della Cri, che timorosa come un criceto spaventato dal dover andare in letargo, non perde un minuto per mettere sotto i denti un qualsiasi cosa di commestibile.

Se il buongiorno alimentare si vedesse dal mattino penso proprio che non avrò alcun problema a ottemperare al diktat superiore di perdita tassativa e mandataria del peso corporeo, dopo aver solamente visto e neanche annusato ciò che mi è stato proposto e da me più che cortesemente declinato, mentre Cri, non sazia delle due razioni di carne, provvede bene a mangiare due sfilatini e mezzo dei cinque disponibili per l’allegra brigata, oltre ad un muffin al cioccolato giusto per assaporare il corretto retrogusto.

Il primo che osa parlar male dell’organizzazione italica riceverà un bonus per una permanenza in Cina, ove rimaniamo sorpresi, sbalorditi, sconfortati, stupiti e infastiditi dall’impossibilità assoluta di confronto e colloquio con i locali, a cominciare dall’addetta al transito che crea una fila chilometrica, facendoci perdere quasi due ore, che passiamo a maledire ogni sua progenia famigliare.

Cerchiamo, anche se con qualche problema soprattutto per lo scrivano brianzolo, di passarci sopra e di far finta di nulla, in fin dei conti siamo dall’altra parte del mondo a goderci una pausa vacanziera tanto sospirata quanto meritata.

I due giovani virgulti si orientano meglio di un tuareg che comanda una carovana di dromedari nel deserto, scelgono le tratte della metropolitana più corrette, nonostante geroglifici in britannico siano merce introvabile, giungiamo nella tanto osannata, decantata, fantomatica e per molti versi drammatica piazza Tienanmen, accompagnati da un freddino pungente che risveglia animi e spiriti, visitiamo la Città Proibita, spettacolare, meravigliosa e sontuosa residenza di plurime dinastie d’imperatori Ming e Qing, che ci lascia una sincera sensazione di maestosa grandiosità e potenza, immaginando a secoli di distanza cosa doveva essere lo sfarzo e l’opulenza di una vera e propria divinità, tanto adorata quanto temuta dal popolo più numeroso al mondo.

Dopo ennesimo controllo documenti, inserimento dati passaporti, sezionamento in compartimenti stagni di ogni nostra borsa, con un’attenzione maniacale e spasmodica alla supervisione e alla sicurezza, gironzoliamo per un’oretta abbondante tra gli oltre 970 edifici che fanno di questo sito patrimonio dell’Unesco il più grande palazzo al mondo, ove ammiriamo stupiti e affascinati costruzioni quali il palazzo dell’Armonia Centrale, della Preservazione dell’Armonia, della Suprema Armonia, della Purezza Celeste, della Tranquillità Terrestre, dell’Educazione Mentale, della Longevità Serena.

Il Tempio del Cielo, terzo traguardo che c’eravamo riproposti, è oggi purtroppo chiuso per cui, dopo aver bighellonato inutilmente lungo vialoni tristi e grigi, ove regna un silenzio persino oppressivo, interrotto solamente dal passo della marcia di numerosi battaglioni di militari, decidiamo all’unanimità di far rientro al terminal 3, non trovando un cialtrone dicasi uno che sappia indicarci un monumento, un reperto, un quartiere che valesse la pena vedere, visitare, fotografare, al momento poi in cui non capiscono la parola sugar per il caffè mi salta letteralmente il nervo e mi monta definitivamente la carogna nei confronti di un popolo assolutamente inutile che, con tutta l’educazione, il garbo e il tatto possibile, posso tranquillamente affermare che mi sta pesantemente sull’organo di riproduzione maschile.

Lasciamo sinceramente senza alcun rimpianto la capitale della repubblica popolare cinese tra le mille perplessità di Cri circa il dover salire a bordo di una scatola metallica volante della Dragon Cathay, ci ritroviamo invece su un ottimo velivolo che, forse a causa della stanchezza diffusa e generale, senza neanche che ce ne accorgessimo, ci scarica dopo tre ore e mezzo di torpore, in quel di Hong Kong, vera e propria meta di questa nostra scampagnata.

Esausti modello lotta per la sopravvivenza in un duello tra gladiatori, perdiamo il conto delle ore che passiamo in posizione orizzontale senza dare segnali di vita, quando ci svegliamo non crediamo sinceramente ai nostri occhietti, ci diamo pizzicotti, spinte e scossoni per poter comprendere la realtà dei fatti che ci viene proposta e offerta su un piatto di platino da un amico che ha preso in tutto e per tutto le sembianze di un benefattore, di un mecenate, di un filantropo mettendoci a disposizione la più bella casa in cui abbia mai avuto il piacere e l’onore di varcare la soglia.

Ogni cosa è perfetta: la posizione, il piano, l’arredo, l’atmosfera, gli oggetti, i complementi, i dettagli tutti denotano una classe, un gusto e una signorilità di rarissima capacità, trovare le parole per ringraziarlo sarà il compito principale dei miei anni a venire.

Effettuiamo la prima ricognizione in città, il mix che troviamo strada facendo ha dell’incredibile, palazzi avveniristici accanto a costruzioni fatiscenti, grattacieli futuristici e futuribili juste a’ cote’ di catapecchie che non sappiamo se vedranno il domani, il tutto in un clima sub tropicale decisamente apprezzabile, soprattutto dopo il gelido abbraccio ricevuto nella fredda, in tutti i sensi, Pechino.

Tommaso si documenta, scandaglia la rete, naviga l’onda virtuale e si trasforma in uno scout stile guida Apache per farci vivere il primo contatto con la realtà al momento quanto mai tranquilla e serena di questo ex protettorato inglese ove, come al solito, non esiste cane malato randagio che sappia spiccicare un vocabolo anglosassone.

La chicca della giornata, l’apoteosi del piacere, il vertice massimo del sublime appagamento ci viene offerto da bagno in piscina posta sul terrazzo del grattacielo ove abbiamo sottoscritto il nostro domicilio temporaneo, pareti trasparenti, gioco di luci a contrasto, musica classica di sottofondo e indescrivibile vista sul centro della City.

Il riposo dei guerrieri continua imperterrito, la necessità di ritemprarsi e ricaricarsi sembra di fondamentale importanza e pertanto i tempi tecnici di reazione mattutina si dilatano vistosamente, ma siamo in vacanza, non abbiamo nessuno che ci insegue, pungola, strattona per cui ce la scialliamo ai massimi livelli.

Uno dei cardini di questo viaggio è stato il non voler avere nulla di estremamente programmato e tassativamente confermato a priori, riusciamo pertanto a farci portare dal fiuto e dall’istinto nel nostro girare per una città che si sta rivelando decisamente interessante, intrigante, affascinante, grazie ad una miscellanea pazzesca di odori, profumi, sensazioni, colori assolutamente cangianti nel giro di qualche metro: camminando non sappiamo esattamente dove guardare, ci troviamo di fronte a modernissimi palazzi, attorniati addirittura da una foresta sub tropicale, tanto quanto buttiamo l’occhio verso miseri tuguri e improponibili giacigli che fanno da realtà per un grandissimo numero di senza tetto.

Le disparità sono evidenti, marcate, a prima vista restiamo molto sorpresi dal costatare come boutique di super lusso siano seguite, due vetrine dopo da negozi a dir poco squallidi e tutt’altro che attraenti ma ce ne facciamo velocemente l’abitudine e anche oggi giriamo veramente moltissimo, il tempo non è dei migliori ma non piove e la temperatura è veramente gradevole, crediamo intorno ai venti gradi.

Come in ogni viaggio che si rispetti un piccolo inconveniente deve per forza accadere e allora ecco che i due guys, assolutamente a loro agio con la toponomastica pur se alla primissima esperienza in loco, hanno una violenta divergenza orientativa che ci porta addirittura a un annuncio agli altoparlanti della stazione dell’alta velocità ma, come direbbero le favole e le fiabe, tutto è bene ciò che finisce bene.

Kowloon è veramente bellissima, raggiungiamo la terraferma dopo aver preso metropolitana che passa sotto il braccio di mare che divide in due la città, è un susseguirsi di negozi sfavillanti, d’insegne scintillanti, di alberghi splendenti, il giusto preludio allo spettacolo di luci e sottofondi musicali che lungo Avenue of the Stars fa accalcare ogni sera chiunque voglia ammirare una visione veramente indimenticabile di questa baia incantata.

Dopo esserci rifatti gli occhi e aver evitato a gambe levate le vetrine di tutti i marchi del lusso possibili e sognabili presenti nell’immaginario planetario, cerchiamo di mettere una pezza al nostro eventuale desiderio di riccanza inventandoci un percorso che prevede l’utilizzo della metropolitana fino al capolinea estremo di Luoho, nella più remota provincia di Shenzen, della più dimenticata regione della Cina e qui scatta il primo contrattempo di questa nostra avventura in estremo oriente: ignari di dover passare dogane, frontiere, controlli veniamo bloccati da poco zelanti e fin troppo autoritari controllori che arrivano al punto di requisirci i passaporti, facendoci cadere in una mezz’oretta di puro panico misto a sincero terrore.

Il nostro sogno di ritornare con valigie stracolme di ogni possibile griffe, seppure nella loro versione più falsa e imitata, s’infrange davanti al muro dell’inflessibile burocrazia, torniamo con la coda tra le gambe e ci rifacciamo più di un’ora di tragitto mesti, abbacchiati e un tantino depressi.

Non ci diamo comunque per vinti, non abbiamo alcuna intenzione di gettare la spugna e di tornare a mani vuote ma se vi dicessi dove siamo andati a finire, nessuno di voi miei adorati, innumerevoli e appassionati lettori potreste crederci, nessuna descrizione riuscirebbe a delineare i meandri, gli anfratti, i vicoli e le cantine che abbiamo battuto affiancati da losche figure per poter, al momento non ancora, possedere uno di questi oggetti del desiderio.

Quelli che potevano anche apparire molti giorni a nostra disposizione nella realtà dei fatti si stanno rivelando attimi che passano a una velocità impressionante, non ce ne siamo neppure accorti e siamo già alla sera del veglione, magistralmente pensato, organizzato e preparato dal Super Nico, una volta ancora dimostratosi capace di stupire gli astanti, anche in modalità last minute e pur trovandosi agli antipodi della sua cucina monzese.

Il godersi il rintocco per l’inizio del venti venti su una terrazza che domina lo skyline di questa ex colonia britannica ha dell’incredibile, del meraviglioso, dell’emozionante, per i locali potrà pure essere l’inizio dell’anno del dragone volante, del topo strisciante, del gatto miagolante o più probabilmente dell’ignorante che non sa parlare inglese, comunque in tutti noi resterà un ricordo indelebile e imperituro.

Il Caprotti ha qua la possibilità di dare sfogo a una delle sue più gradite passioni, l’intrufolarsi quasi furtivamente in alberghi e resort di altissimo rango e di eccelsa qualità, la sua curiosità è quasi esagerata ma nessun ostacolo viene frapposto tra lui, il suo nuovissimo smartphone miticamente brandizzato Motorola e l’ultimo piano di realtà paradisiache come i vari Four Seasons, Marriott, Peninsula,Shangri-la, Conrad, Ritz Carlton (qui al 118* piano le nuvole erano addirittura sottostanti alla balconata panoramica), con standing ovation per il Gray Cafe at The Upper House che strappa addirittura gridolini argentini di giubilo e di contentezza, in considerazione della quintessenza del design quanto mai elegante, accattivante e coinvolgente della sua struttura straordinariamente essenziale.

Pensavamo che le pessimistiche notizie riguardanti manifestazioni e disordini sociali fossero una pura invenzione di organi di stampa prezzolati e mal informati invece il vedere truppe militari in assetto anti sommossa al passaggio di cortei vocianti composti da decine di migliaia di persone, mentre tutto il centro nevralgico della città veniva delimitato in stile coprifuoco, ha sicuramente suscitato apprensione e un certo sgomento, fortunatamente digerite grazie ad un mirabolante aperello su di un roof top che domina una città che ci sta piacendo ogni minuto sempre di più.

Non ancora sazi e satolli di avventure, sempre alla ricerca di aggiunte e miglioramenti al nostro bagaglio culturale e turistico, salpiamo verso le undici con destinazione Macao, che raggiungiamo dopo un’oretta di veloce e molto tranquillo aliscafo, attraccando nei territori che furono di dominazione lusitana, rimanendo piacevolmente sorpresi nel sentir annunci e leggere cartelli in portoghese, primi segni di comprensibile civiltà europea dopo una settimana di permanenza in estremo oriente.

Finalmente capiamo che anche qui esiste l’amica stella solare, dopo averla tanto attesa ci troviamo quasi impreparati al calore perfino eccessivo che batte sulle nostre spalle, visitiamo la facciata della Chiesa di San Paolo, unica parte della struttura religiosa ancora esistente, facciamo una rapida ascensione alla fortezza che costituiva nel seicento il baluardo di difesa alle scorrerie di pirati di ogni stirpe e provenienza e buttiamo un occhio, assai distratto, ai vari casinò che hanno reso questo distretto cinese la più redditizia città del gioco d’azzardo al mondo.

Il giretto nelle vie del centro è comunque piacevole, ritroviamo in qualche modo delle tracce del passaggio di uno stile europeo, alcune abitazioni hanno ancora sembianze coloniali, ci fermiamo in un ristorantino che, se non proprio tipicissimo, ci permette comunque di assaggiare qualcosa di commestibile alla portata del nostro gusto e del nostro palato, prima di apprezzare un paio d’ore di più che meritato relax al Sofitel Pointe 16, una sistemazione assolutamente straordinaria, degna della migliore recensione possibile sui vari motori di ricerca per viaggi e affini.

Dire che siamo disinteressati a slot machines, black jack, chemin de fer, roulette sarebbe limitativo, nella realtà dei fatti aborriamo gettare al vento il frutto del sudato impegno lavorativo ma vuoi per curiosità, vuoi per esigenze dettate dai consigli di ogni diario di viaggio, non possiamo esimerci dal varcare la soglia di questi monumenti dedicati alla Dea dello sperpero, dell’esagerazione, del troppo in tutto, veri e propri gironi danteschi in cui ventiquattro ore al giorno continuate si gioca, si gioca ma soprattutto si perde, si perde, si perde...

Mettiamo una tacca al Gran Lisboa, un’inverosimile costruzione dalla forma imprecisata tutta rivestita da vetrate dorate, per poi ammirare orripilati e sconvolti il fac simile di Venezia, compreso gondoliere giallo limone che cantava O’sole mio lungo canali d’acqua all’interno del Mall, l’orrida riproduzione della Tour Eiffel, la spropositata maestosità del Galaxy con le sue oltre duemila duecento stanze, gli infiniti giochi di luce sulle facciate degli altri mastodontici palazzi del vizio ...

Dopo i diversi trip in Dubai pensavamo, credevamo, ritenevamo e ipotizzavamo di aver ben presente cosa potesse significare essere al cospetto dei principali marchi di moda e del lusso ma c’eravamo sonoramente sbagliati, qua tutto è un’esagerazione, una proiezione all’infinita potenza di tutto quello che si possa intendere per oggetto, accessorio e prodotto dal costo assolutamente improponibile e inavvicinabile, ogni possibile brand dalla A alla Z è presente e talvolta anche in plurime boutique monomarca, in un contesto di una pulizia e di una ricercatezza assolutamente fuori dal comune senso dell’immaginario.

La fame fa veramente brutti scherzi portando talvolta a commettere anche atti insulsi e assolutamente mai considerati in precedenza, quali ad esempio ingurgitare un non sappiamo assolutamente cosa pur di dar inizio al movimento dei succhi gastrici, come abbiamo fatto ieri sera incapaci di trovare qualcosa di razionalmente commestibile in questa selva infinita di bische legalizzate.

Questa mattina ci rifacciamo però con gli interessi, mentre un sole splendente inonda i vicoli di Macao che circondano il nostro hotel estremamente apprezzato e fotografato, abbiamo solamente l’imbarazzo della scelta per una colazione pantagruelica, proviamo a immaginare un qualsiasi alimento e lo troviamo gradevolmente adagiato sulle infinite tavolate che ci propongono dolce e salato, pesce e carne, frutta e verdura, succhi e bevande calde, leccornie e manicaretti di ogni genere che purtroppo resteranno troppo poco nel nostro apparato digerente.

Acchiappiamo letteralmente al volo l’aliscafo del mezzodì per far ritorno in una Hong Kong finalmente illuminata da una meravigliosa luce che accentua ancora di più la bellezza di questa città, prendiamo la storica funicolare e saliamo sul Peak Victoria, vero e proprio must to se and to visit che abbiamo atteso fin dal nostro arrivo, goduto in uno straordinario pomeriggio che ci ha permesso di dominare tutta la baia dall’alto di una collina tropicale che svetta oltre i cinquecento metri sopra il livello delle acque circostanti.

Il mio credo esistenziale è non mollare mai, in questo caso lo declino con non c’è il due senza il tre per non lasciare il tentativo incompiuto, ma lo sbattere la faccia la terza volta davanti alle porte serrate del Celavi mi ha leggermente stizzito, non sono certamente il principe della vita notturna mandarina, ma il vedere il tanto decantato roof top non mi sarebbe dispiaciuto, ripiego su altre due location altrettanto di tendenza, Sevva e Popinjays, affacciate su uno skyline da cartolina, ove mi paleso con la più semplice e disincantata faccia tosta.

Questa mattina, causa assenza cash dispenser alias nostri cari bancomat, sembriamo dei questuanti fuori dalla stazione centrale di Milano alla ricerca di qualche spicciolo, chiediamo con la mano tesa elemosina e carità per un paio di monetine per attraversare con lo storico battello il braccio di mare che divide l’isola di Hong Kong dalla terraferma di Kowloon, speriamo di non essere ripresi da una candid camera e non senza un minimo d’imbarazzo riusciamo ad annotare anche quest’episodio tra le note salienti di questo diario.

Buon sangue non mente e allora orgogliosamente vedo il Nico, ispirato dalla mia stessa febbre insanabile di ricerca dì novità, meglio se poste ad altissima altezza sopra il manto stradale, orientarsi con grandiosa abilità, portandoci ovunque in una città ove i tassisti stessi hanno ben più di una difficoltà a destreggiarsi e orientarsi.

Tralascio il numero infinito di location che abbiamo visitato salendo con non calanche su qualsiasi ascensore, solo in un paio di casi ci siamo dovuti arrendere di fronte a orari di apertura non corrispondenti al nostro passaggio in loco, ma possiamo essere molto più che soddisfatti della visione aerea di una città che stiamo per lasciare dopo averla girata, fotografata, filmata, ammirata, apprezzata in tutti i modi e da tutte le angolature per portarci dietro un ottimo ricordo di questo indescrivibile mix di architetture, spaccati sociali, realtà diversificate che rendono sicuramente unica questa sorta di New York in piccante salsa cinese.