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L’ultima vestigia della mia permanenza presso un noto gruppo editoriale viene sfruttata nella sua interezza grazie al gentile dono degli ex vicini di scrivania che mi hanno omaggiato di un graditissimo voucher per il pernottamento e il minimo dello sfamamento da utilizzarsi sul territorio italico, entro scadenza piuttosto ravvicinata ben impressa sul retro della confezione regalo.
Come da tradizione, rimango completamente all’oscuro delle decisioni organizzative, mappali e stradali elucubrate della mente always on work di Annie, che si guarda bene dal mettermi al corrente delle sue sempre apprezzatissime decisioni legate al filo conduttore Cia’ che nduma.
Non oppongo alcuna resistenza, accetto con piacere assoluto di essere preso prigioniero del progetto escursionistico e quasi di soppiatto fuoriesco dalla dimora monzese, prima che i pargoli ormai molto più che autosufficienti, scafati e sgamati mi mettano al corrente dei loro piani alternativi di ludica prospettiva.
Decidiamo di santificare il patrono del cuore trafitto dalle frecce di Cupido muovendoci verso Ovest, esattamente al polo opposto del Grande Nord dello stivale tricolore rispetto al confine orientale visionato e molto gradito nel venti quindici con la visita alla mitteleuropea e affascinanteTrieste.
Una pioggerellina fastidiosa ci entra nelle giunture delle articolazioni mentre sconfiniamo dalla Longobardia per andare per la prima volta in assoluto a conoscere e scoprire le province del medio e basso Piemonte, tanto vicino quanto inspiegabilmente fino a questo momento della mia esistenza trascurato e tralasciato, nell’ambito dei nostri itinerari escursionistici.
La sosta a Novara è riassumibile nell’arco di qualche decina di minuti, giusto il tempo dello struscio lungo il corso principale, di un caffè in un lounge bar decisamente di tendenza modaiola e nel rischio di torcicollo permanente dovuto al repentino scatto delle nostre teste verso l’alto, per ammirare il cupolone della cattedrale, terza struttura del suo genere in Italia per altezza vertiginosa, ideata, progettata e realizzata da quell’Antonelli che rimarrà in imperitura memoria di tutti i cittadini torinesi per la Mole, che prese anche il nome della sua casata come marchio di fabbrica.
Vercelli, raggiunta nel buio più completo tra strade di campagna, fiancheggianti immense distese di risaie di cinese promemoria, è un salotto molto elegante cui promettiamo un prossimo passaggio, essendo costretti a pigiare sulla tavoletta del gas per giungere a destinazione prima del sopraggiungere di torme di famelici lupi.
Potrà sembrare un’esagerazione ma chi di voi, mie adorati e fedelissimi lettori nonché ammiratori, ha mai avuto l’occasione, per non dire l’ardire, di raggiungere dopo il calar delle tenebre la ridente e soave località di Cossombrato, dopo aver sfidato le più basilari regole della matematica per poter conteggiare l’assoluta mancanza di piloni d’illuminazione, nel corso degli ultimi quindici chilometri di strada di campagna, divenuta poi di collina, per terminare in un periglioso sentiero di quasimontagna ?
Il rifugio per la notte è una casa colonica finemente ristrutturata e dedicata al più lapalissiano dei propositi commerciali, comunque un plauso ai proprietari vignaioli del Pozzo Fiorito che mettono a disposizione del viandante smarrito tra nebbie impenetrabili un giaciglio curato in ogni minimo dettaglio, compreso un biglietto di auguri per la ricorrenza di San Valentino.
Ovunque siamo accolti da un aroma, che le mie narici preferirebbero definire olezzo, di mosto pigiato e tubero prelibato, ma così è se vi pare e ci adattiamo a osservare l’infinità di cartelli indicanti cantine sociali, rivendite di vino sfuso, mescite di nettare divino che mi vedono costretto, titubante al pari e forse più di alcuni amici parchi, oculati e parsimoniosi a traccheggiare prima di estrarre la plastica fantastica per l’acquisto di due involucri vetrosi contenenti il rosso veleno del diavolo.
Perdonatemi Nico e Tommy, non ci sono riuscito, io assolutamente e totalmente astemio, sono caduto nella trappola dell’acquisto ossessivo compulsivo di vino, avete capito bene,del prodotto tanto alla moda nel concetto dello slow food, per di più bevanda quanto mai alcolica che qua è certamente inoculata ai pargoli fin dal loro primo vagito di vita.
La cena serale ci ha messo di fronte all’amletico dubbio se scegliere di preferire la meravigliosa ospitalità dei due fratelli proprietari della Locanda da Maria a Villadeati o dei lori prelibati piatti culinari: facciamo pari e patta e unici ospiti di una serata veramente piacevolissima, veniamo intrattenuti dagli aneddoti relativi alla preparazione, alla presentazione e alla degustazione delle loro leccornie mentre un fantastico retrogusto assale il nostro palato e le nostre papille gustative mentre assaporiamo con calma certosina carni crude, carpacci di bovino, tomini al tartufo, agnolotti alla vellutata di burro alpino, plateau di formaggi disposto intorno a mostarda di frutta cotta in trenta ore dipiastra bollente, da assaggiare rigorosamente in ordine cronologico antiorario a seconda della composizione casearia, con shock emotivo terminale al momento dell’iperbolico conto di venti euro a capoccia .
Al momento del contatto da parte dei polpastrelli dei piedini sul pavimento di cotto gelato, notiamo di essere avvolti da una coltre batuffolosa di vaporosa nebbia, non ci perdiamo d’animo e raggiungiamo Asti, dove facciamo la seconda colazione della mattinata con il rito della cioccolata, ostacolato però dalla difficoltà di schiodare il cucchiaino da una sostanza più solida che liquida, ma comunque assai prelibata.
Le vie del centro storico sono tipiche del paese medioevale, con bellissime torri ancora perfettamente mantenute,incorporate nelle attuali costruzioni, che vantano un garbo ed uno stile molto aggraziato, visitiamo la cattedrale, veramente imponente al punto da essere il più grande centro di culto piemontese e passeggiamo tra mercatini tipici ove fanno bella mostra verdure, frutta e formaggi a centimetri zero.
Compitino per le vacanze: andare in biblioteca e, senza l’aiuto del diabolico smartphone onnisciente, scoprire chi cazz’è Alfieri, cui vengono dedicate addirittura piazze, negozi, musei, aie di cascine .
Mentre un brillante raggio di sole comincia a bucare lo strato di coltre nebbiosa, raggiungiamo Alba, patria mondiale della spatolata di cioccolato nocciolato nutelloso spalmabile, gironzoliamo per le ovviamente decantate Via Cavour e regnanti di casa sabauda vari, sempre avvolti da un’atmosfera di piacevole ordine, riservatezza, preziosa signorilità, grandissimo silenzio.
Su consiglio di un venditore di trifole, che proponeva tartufi di ogni specie e sottospecie a prezzi da capogiro per questi “escrementi” naturali che ci lasciano del tutto indifferenti (evito ogni commento ad amico che ne fa una malattia cronica con obbligo di presenza annua in loco nonostante sua attuale residenza nipponica), ci diamo a un vero e proprio tour enologico toccando con mano, e ahimè con il portafoglio piangente, le peculiarità di luoghi come Barolo e Barbaresco, che ritengo non debbano necessitare di alcuna spiegazione etimologica.
Le colline delle Langhe e del successivo Monferrato, inondate dal sole e ricoperte in ogni millimetro quadro da tralci di viti a perdita d’occhio, hanno nella vista e nell’anima del viandante una sensazione di estrema quiete e bucolica serenità.
Acqui Terme viene raggiunta giusto per mettere una bandierina in più sul nostro itinerario o, come direbbe la social addicted forever on line Annie, per ennesima registrazione geolocalizzata su FB, troviamo un piacevolissimo corso pedonale centrale, stile doppio serpentone con chicane, con primordiali influenze liguri date dalle graditissime focaccerie genovesi, mentre un plauso speciale va alla locale pro loco che prende per i fondelli gli “acquarugiolesi” sbandierando ai sette venti reperti romani d’incalcolabile valore, in realtà quattro macerie tutt’altro che memorabili.
Sarà la stanchezza, sarà un minimo di prevenzione dovuta alla mancanza di recensioni digitali ormai essenziali per qualsiasi spostamento, ma Alessandria ci delude veramente tantissimo, è più grigia della maglia di calcio che ha reso gloriosa la sua squadra durante il Ventennio, non troviamo alcuno spunto degno di nota e ci facciamo un appunto per screditarla agli occhi di tutti i lettori sparsi per il mondo che leggeranno questi dettagliatissimi e fondamentali appunti di viaggio.
Il Wonderful box ricevuto in dono ci omaggia di una gradevolissima sorpresa con la cena all’agriturismo Il buon seme di non so dove, ove veniamo accolti da un clima famigliare e da un’atmosfera perfino sofisticata tra campi coltivati, allevamenti ben curati e cibi quanto mai apprezzati: antipasti di terra, riso che cercava con fatica di non affogare nel Barbera, carne più tenera di un bacio (vista la serata) e dolcetto non scherzetto per allietare il tutto.
Dato che l’importante è non fermarsi mai, quasi rapida colazione, saluti e ringraziamenti agli apprezzati ideatori di quest’ameno rifugio e salto a Casale Monferrato, anch’esso sorprendentemente attraente, con l’ormai abituale cliché di chiese finemente affrescate, un duomo romanico da menzione artistico-storica, una nostra prima volta in una sinagoga molto riccamente addobbata ma ove non sapevamo bene come comportarci e gesticolare in segno di rispetto religioso e salita alla torre civica ove, dopo 180 scalini d’impervia arrampicata, abbiamo il piacere sommo di essere accolti a sette centimetri dai nostri padiglioni auricolari dai 380 decibel dei rintocchi di mezzogiorno.
Tramortiti e un poco rincoglioniti da tale sonorità,concludiamo le esperienze extrasensoriali visitando all’attiguo castello, straordinariamente ristrutturato, una mostra di artisti affetti da turbe psichiche e disturbi mentali, che però ci sorprendono più che positivamente e ci ipnotizzano tantissimo, al punto da considerarli ben più comprensibili e apprezzabili di tante follie dell’arte contemporanea.
Nota di una tristezza immensa il dover attraversare interi quartieri abbandonati a causa della presenza della fabbrica Eternit, causa di centinaia di atroci morti da avvelenamento e ora fotografia vivente di un disastro ecologico, urbano e umano che ci ha rammentato le tragiche istantanee da Chernobil.
Un rifornimento di gasolio a un euro e undici ci permette di sciallare sulla strada del rientro, propendiamo per ennesima deviazione e ritorniamo come promesso in quel di Vercelli, che alle tredici di una domenica di febbraio sembra essere afflitta da un’epidemia di peste bubbonica unitaa una contaminazione da sarin, vista l’assenza totale e assoluta di qualsivoglia forma vivente, sia umana che animale, al punto da farci volentieri concludere nell’amata Monza i 574 chilometri di una gita tanto apparentemente scontata quanto effettivamente piacevole e appagante.