SALENTO - APRILE 201404

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Arte, storia, cultura e tradizioni riteniamo saranno le assi portanti ed i fulcri pregnanti delle nostre vacanze pasquali: mezz’ora di permanenza online per prenotare voli e dimore notturne, un paio di modifiche dell’itinerario “auscultando” pareri e giudizi vari, soprattutto degli amici pugliesi finalmente naturalizzati sotto lo stemma lissonese, ed eccoci ad accendere il semaforo verde per la nostra prima volta in Salento.

Preferendo raggiungere il tacco dello stivale italico fuori stagione per evitare congestioni turistiche e assembramenti nazional popolari, balziamo tavolate addobbate con agnelli sacrificati, capretti sgozzati e abbacchi arrostiti e con estremo anticipo ci presentiamo a Orio al Serio evitando così problemi recentemente occorsi agli amici lacustri, ritardatari cronici, appiedati e tristemente sconsolati nel vedere più volte con il naso all’insu’ l’aviogetto decollare senza di loro.

Ha dell’incredibile come il popolo italiano sia abitudinario e poco incline ai mutamenti, anche i più banali e allora rimaniamo basiti per non dire sbalorditi notando la difficoltà di comprendonio da parte dei passeggeri del Milano Brindisi che non riescono ad assimilare il cambiato metodo di marchiatura sui voli Ryanair: ora i carri bestiame irlandesi delicatamente tinteggiati di giallo blu prevedono i posti assegnati ma il panico sembra serpeggiare sulle comitive abituate a correre a posare cappellini e borsette per delimitare il territorio durante il volo e numerosi si sono rivelati i tentativi delle attonite hostess intente a far comprendere come fosse necessario capire lettere e numeri corrispondenti a sedili e file ….

Arriviamo in Puglia dopo un’ora e venti di viaggio, ritiriamo le chiavi di una Ypsilon nuova di pacca e a tavoletta attraversiamo il tavoliere del meridione italico, un infinita distesa di ulivi secolari dalle dimensioni di sequoie al cui cospetto quelli liguri sembrano ortiche infestanti,  senza incontrare anima viva lungo i quaranta chilometri che ci fanno giungere a Lecce, perla del barocco, il cui centro storico è un vero e proprio scrigno di bassorilievi, statue, capitelli e fregi cesellati e scalpellinati nel friabile calcare ambrato .

La prima positiva sorpresa ci viene riservata dal b&b Isola dello stampatore, confortevole giaciglio per la notte, con delizioso soppalco e soffitto in pietra a volte, il tutto nel contesto del centro storico di Lecce, ove vige, non so poi quanto rispettato, un sistema di traffico limitato regolamentato da telecamere, sinceramente invisibili e introvabili.

Ci vengono messe a disposizione anche due biciclette così gironzoliamo per le vie lastricate di pietra, ammiriamo palazzi finemente e riccamente abbelliti dai più svariati orpelli e visitiamo in pomeridiana per poi successiva ripassata serale la piazza del Duomo, la basilica di Santa Croce, Santa Chiara, San Nicolò, la piazza di Sant’Oronzo, il teatro romano e la chiesa di Sant’Irene, tutti luoghi di culto ove l’opulenza e la maestosità delle finiture fanno da padroni.

Con grande difficoltà motoria frangiamo il flusso dello struscio serale, mentre durante il giorno la città sembra dominata da una marea di gatti raminghi e randagi, la sera sono i topi umani ad avere le meglio e così il passeggio nelle vie del centro sembra l’unica attività congegnale ai locali, all’apparenza tutti disponibili e molto educati.

Lasciamo di prima mattina il capoluogo, necessaria prostrazione lungo Via del Mare davanti al tempio della pedata dei giallorossi salentini, ora mestamente decaduti in promozione, apprezzata deviazione di pochi chilometri dalla via maestra per visitare il castello aragonese di Acaja con cinte murarie del 1500, per poi costeggiare l’Adriatico, in questi giorni ancora non invaso da orde di turisti affamati di estate, per giungere a Otranto ove un caldo sole più che primaverile ci porta con la mente alla attualmente piovosa e non rimpianta Padania.

Il paese è veramente grazioso, pittoresco, lo attraversiamo passeggiando tra vicoli colorati e negozi si turistici ma sicuramente molto piacevoli, ammiriamo tanto una cattedrale con mosaici risalenti al 1100 ancora perfettamente conservati, per poi dedicarci ad una colazione da triplo circolino rosso sui bastioni fortificati, facendoci rimembrare scorci che potrebbero essere assimilati a Saint Tropez, a Formentera, a Capri, a Mikonos in un frullato più che apprezzato.

Facciamo visita a un’amica che ha pensato bene di svernare sei mesi all’anno tra distese infinite di ulivi secolari, tra pitosfori in fiore delle dimensioni di baobab, rilevando, ristrutturando e abbellendo una masseria che appare veramente un’oasi di pace e di tranquillità.

Tralasciando il fatto che entrambi da decenni ci occupiamo di comunicazione pubblicitaria, di propaganda e di réclame, è impossibile non evidenziare come debba essere un must fermarsi Ai 12 Granai di Minervino di Lecce in caso di passaggio in zona, ospitalità e simpatia di valore assoluto in un contesto da non rientro a casa.

Un po’ troppo pomposamente Specchia viene inserito tra i borghi più belli d’Italia, un gioiello sinceramente che ci appare più come una patacca, dieci scatti giusto per far felice la Pro Loco, sezioniamo longitudinalmente anche Presicce, senza portarci dietro particolari emozioni, fino a giungere con i piedi in acqua a Santa Maria di Leuca, estremo baluardo orientale della repubblica italica, a me estremamente caro in quanto, grazie alle citazioni dello Zio Teo ventitré anni fa, questo loco divenne pietra miliare di tutti i miei racconti di viaggio, poi tradotti in decine di lingue .

Assistiamo allo scontro frontale delle acque dell’Adriatico con quelle dello Ionio di fronte al faro che sembra non riuscire a dirimere le controversie di precedenza tra le acque nonostante la posizione di dominio sull’unico contrafforte roccioso incontrato nella regione, il suono del mare mosso dalle finestre ci emoziona e ci culla nella velocissima discesa verso il riposo della mente e delle membra.

La cena, ovviamente su consiglio e suggerimento del Dottor Liuzzi proprietario del b&b Santa Maria di Leuca, ha dell’incredibile in quanto non crediamo ai nostri occhi strabuzzati quando ci viene mostrato un conto di 60 euro per un ristorante di bell’aspetto ma soprattutto dopo una cena a base di linguine agli scampi, al pesce spada, alle vongole, allo scoglio (ovviamente a ognuno il suo …), gamberoni e pesce spada alla piastra, frittura mista e sorbetto corretto vodka …. Flash back immediato ad addition liguri o milanesi e grandi riflessioni circa il differente mondo in cui ci troviamo.

Colazione memorabile in cui ci viene presentata ogni prelibatezza direttamente preparata in cucina dalla Signora Liuzzi, anziana e fin troppo ospitale titolare della baracca, che ci propina pane, focacce, torte, marmellate, friselle, biscotti in quantità industriale con l’unica raccomandazione di dare un buon commento all’accoglienza su Booking … Evoluzione della specie !!  

Avvolti da una batuffolosa coltre di umidità solidificatasi in nebbia londinese cominciamo come salmoni canadesi la nostra risalita verso nord, passiamo da tutta una serie di località balneari molto simili ad accumuli di macerie post esplosione nucleare, non vediamo neanche il fantasma del bagnino quando affondiamo nella polverosa sabbia della spiaggia Maldive nel Salento, ove troneggia una sedia sdraio di dimensione Polifemo.

Continuiamo a cercare cultura, visitiamo più chiese che tutti i santi presenti sul calendario, maciniamo chilometri su strade percorse da tre auto al giorno, entriamo a Galatina ove un sacrestano malmostoso, tignoso per non dire rabbioso (che peste lo colga) non ci permette di fotografare le volte affrescate della cattedrale di Santa Caterina molto simili alla basilica francescana di Assisi, raggiungiamo Galatone a pochi chilometri di distanza, con diversi edifici degni di nota in un contesto generale comunque piuttosto triste e dimenticabile, arriviamo quindi a Nardò ed anche qua non ci perdiamo alcun edificio religioso e incontriamo il personaggio del giorno in un venditore ambulante dalle indubbie capacità commerciali che propone un arco con le frecce e diversi accendicamino a gas.

Gallipoli, per quel poco che inizialmente riusciamo a intravedere, appare come un bel borgo antico di pescatori, caratterizzato da casette colorate, vicoli incantevoli, tetti spioventi, balconi finemente curati e qua incontriamo i Gatti con relative gattine, compagni di tante avventure di viaggio per un meeting con le gambe sotto al tavolo.

Salutiamo velocemente l’allegra compagnia e ci dirigiamo verso la meta finale della giornata, sicuramente la più lunga e potenzialmente faticosa del tour in Salento, per arrivare a Matera con quattro minuti di anticipo sulla tabella di marcia, dopo aver fatto dello sciacallaggio mediatico con irriverente selfie del buon Nico davanti alla casa dello zio Michele ad Avetrana, tetro teatro di uno degli omicidi più efferati di questi ultimi anni, ed essere rimasti ammutoliti davanti allo scempio industriale, sociale e umano dell’Ilva di Taranto, mostruoso girone dantesco senza alcuna vera ragione di esistenza .

In tante occasioni abbiamo decantato e talvolta enfatizzato panorami, scorci, prospettive nei vari viaggi da noi effettuati ma certamente si leva tra tutti noi un sospiro di ammirazione incondizionato al cospetto di quanto ci si para davanti oltre al parapetto della chiesa del Purgatorio: i sassi di Matera meriterebbero da soli tutta la vacanza, una cartolina vivente, un presepe illuminato scavato nella roccia ci lascia affascinati e assolutamente incantati, facendoci rivivere le struggenti immagini della Passione di Cristo mirabilmente ambientata e sceneggiata tra queste muri diroccati.

Anche la nostra stanza è scavata direttamente nella pietra, la lasciamo molto velocemente per girare emozionati tra scalinate, archi e viottoli che farebbero impazzire qualsiasi viaggiatore, raggiungiamo il Duomo che sovrasta tutto il costone della montagna completamente ricoperto di case fatiscenti, talvolta abbandonate ma quanto mai pittoresche e ci dedichiamo a una serie praticamente infinita di scatti fotografici e telefonici.

In una società patriarcale come questa il timore reverenziale è certamente d’obbligo e allora faccio valere la mia anzianità affacciandomi in piena notte per scacciare un gruppo di vocianti ragazzi che si erano assiepati proprio sotto il nostro balcone che sciamano via come passerotti impauriti.

Ancora sbigottiti dallo spettacolo dato dalle profonde suggestioni della visita a Matera, lasciamo il capoluogo lucano che ci ha riservato l’ultimo dono con la cena alla pizzeria One Stone che ritengo debba essere annoverata tra gli ambienti più emozionanti delle serate planetarie, con locali sottoterra scavati nel tufo calcareo e magicamente adattati alle più moderne richieste del nottambulo più esigente.

Altamura, paese del pane e delle mancate precedenze stradali viene visitata nell’arco della validità di mezzo euro nel parchimetro, carina la via centrale dedicata a Federico di Svevia con l’immancabile Cattedrale stile romanico pugliese risalente niente po’ po’ di meno che al 1232, quindi ci inventiamo un fuori programma e ci lanciamo verso Bari, o per meglio dire Bari Vecchia che nonostante gli stereotipi e le maldicenze merita un plauso a scena aperta.

San Nicola è veramente la più bella tra le innumerevoli chiese visitate, con un interno maestoso e una cripta ove sono conservate le reliquie del santo patrono molto toccante, la Cattedrale di San Sabino è altrettanto imponente e si staglia all’interno di un dedalo di viuzze certamente tra le non più raccomandabili ma comunque assai tipiche e pittoresche.

Tra guidatori di motorini senza casco davanti a vigili indifferenti e case di ringhiera ricoperte di panni al vento, attraversiamo Piazza Mercantile, buttiamo l’occhio al Castello Svevo dalle possenti fortificazioni, costeggiamo un lungomare abbastanza anonimo e puntiamo, non senza qualche difficoltà toponomastica verso sud est, destinazione Polignano, stupendo borgo incastonato su un promontorio roccioso a capofitto sul Mar Adriatico, per una volta tanto piuttosto stizzito.

Giretto d’obbligo nella ragnatela di stradine di pietra e piccoli edifici imbiancati a calce, il tutto a strapiombo sugli scogli in un contesto generale degno di una soap opera americana, ogni riferimento a Beautiful è puramente casuale.

L’eterna diatriba tra creazioni umane e bellezze non antropizzate sembra per una volta segnare un punto a favore di madre natura con la visita alle grotte di Castellana, indiscutibilmente tra le più famose al mondo, ove percorriamo cinque chilometri a settanta metri sotto terra tra stalattiti multicolori e stalagmiti dalla grazia indescrivibile, tutto è meraviglioso, straordinario, lasciandoci veramente stupefatti.

La colazione servita in camera è veramente una chicca d’alto livello, se poi pensiamo che rispecchia alla virgola quanto ordinato la sera precedente, con un giusto connubio tra dolce e salato nel contesto della terra dei trulli, ritengo non sia necessario aggiungere altro …

Non comprendiamo bene se non vogliamo o non possiamo fermarci, la realtà è comunque che azioniamo il turbo, probabilmente alimentato dalle dosi massicce dello strepitoso olio locale che assorbiamo in dosi mostruose, non lasciamo nulla intentato e soprattutto non visitato. Alberobello è fantastica, il giro tra le costruzioni con il tetto conico rovesciato entusiasma i pargoli fin troppo cresciuti, sarà oggigiorno turismo allo stato puro e bieco, ma l’impressione assimilata è certamente delle migliori, al punto da sottoscrivere in pieno la fama mondiale della località.

Iniziamo dei rapidi saliscendi che ci portano, con tragitti di massimo un quarto d’ora, prima a Locorotondo, poi a Martina Franca, indi a Cisternino, radicando in noi l’ottima valutazione suscitata fin dall’inizio dalla Puglia, sia essa lato salentino che jonico che, border line, lucano.

Ovunque respiriamo arte, storia e tradizione e molto rispetto per l’ospite, veniamo sempre accolti con garbo e gentilezza e più di una volta riceviamo sconti non richiesti sui conti già molto contenuti.

Le stradine dei vari borghi sono molto simili tra di loro, le immagini trattenute dalle nostre memorie digitali forse ripetitive ma la sensazione è in ogni caso estremamente positiva.

Altra carrambata con famiglia di amici nel centro storico di Cisternino, rimpianto per non aver condiviso il percorso con una terza famiglia longobarda anch’essa in tour limitrofo e ultimo pomeriggio quasi interamente passato a Ostuni, la città bianca, molto facilmente assimilabile e confondibile con le praticamente fotocopiate polis cicladiche, il tutto in un immacolato e quasi abbagliante candore.

Non ne abbiamo abbastanza, rischiamo di esagerare, dopo 630 chilometri, 947 fotografie e 20 città visitate (Lecce, Otranto, Specchia, Santa Maria di Leuca, Galatina, Galatone, Nardò, Gallipoli, Avetrana, Taranto, Matera, Altamura, Bari, Polignano, Alberobello, Locorotondo, Martina Franca, Cisternino, Ostuni e Brindisi) in quattro giorni, aggiungiamo anche la tappa e la tacca di Brindisi, forse la più deludente di un giro turistico che ci ha emozionato ed entusiasmato sotto tutti i punti di vista e da ogni prospettiva, per una vacanza pasquale veramente con i fiocchi.