SANTO DOMINGO - MAGGIO 2000

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Esortati, pungolati o per meglio dire obbligati dal mitico Cocò che, peggio di una vecchia puntina di un 78 giri incantata, era solamente un mese che non faceva altro che ripetere all’infinito la meta delle sua sindacalmente meritatissima pausa lavorativa, ci troviamo a passare la classica gita fuori porta, dell’ancor più scontata Pasquetta, nelle vicinanze del nodo nevralgico di tutti i trasporti lombardi: una volta in più si parte dalla Malpensa, questa volta con il naso rivolto verso i Caraibi.

Lasciamo freddo, pioggia e un po’ di desolazione desertica visti i quattro gatti presenti nell’amata Milano e ci trasformiamo, per una volta nella vita, nei più classici dei papponi, nei più spregiudicati dei faccendieri, nei più banali arricchiti e saltiamo su in business per l’attraversata oceanica.

Non c’è che dire, il buon coniglietto austriaco Niki Lauda, seppur un po’ bruciacchiato, si è proprio dato da fare per mettere a proprio agio i suoi passeggeri: non riusciamo neanche a fiatare ed ogni ben di Dio solido e liquido è a nostra disposizione, il tutto servito mentre siamo più spaparanzati che mai in spazi generalmente previsti per quattro peones di classe miserrima.

Il volo è un bijoux, la libagione abbondante, prelibata, altamente raffinata e udite,udite per la prima volta il Caprotti mangia in aviogetto, leccandosi pure i baffi cresciuti per l’evenienza.

Arrivo ovviamente in orario e primo impatto con il clima isolano: sembrava quasi di vederle le fiamme dell’inferno che ci abbracciano all’uscita dal terminal, compagne di un trasferimento che, grazie ad una microcefala craniolesa del traffico Ventaglio, ci hanno tenuto la manina rovente, causa mancanza di aria condizionata, durante l’interminabile attraversamento di bidonville, tuguri, ruderi e catapecchie che ben poco fanno sperare per il futuro degli amici dominicani.

Lusso, sperpero, magnificenza ed esagerazione ci attendono al Gran Dominicus, simbolo del capitalismo e specchio del consumismo, in attesa della tanto cruenta rivolta popolare, che ci auguriamo posta posticipare il ribaltamento di questo sogno almeno di una settimana.

Troviamo difficoltà a capire quale sia la piscina e quale il mare vista la dimensione della pozza d’acqua dolce, attorno alla quale fanno bella mostra splendide palazzine stile coloniale dai più vari colori sgargianti, il tutto in un lussureggiante giardino tropicale.

Personaggio del giorno, o della vita per le affamate torme di popolane italiche che l’hanno immediatamente eletto simbolo dei loro sogni, dei loro desideri, delle loro voglie è un bronzo di Riace puciato nel cioccolato fondente, semplicemente perfetto.

A noi maschietti, comuni mortali, il compito di trovarne un difetto: inutile ricorrere a presunte deficienze qualitative, ovviamente sarebbe impossibile toccare il tasto quantitativo, l’arcano mistero viene sciolto con la consapevolezza del suo grado di intoccabile, ultimo degli ultimi, avendone appurata la fede rossonera.

I bimbi sono perfetti, mangiano, dormono, evacuano, sembra quasi, mi permetto di sottolineare il quasi, di non averli ed allora il vostro adorato scrivente decide di imbarcarsi su una piroga dalle dubbie capacità di galleggiamento per raggiungere l’isola di Saona, parco naturale fortunatamente ancora lontano dalle grinfie dei nostri adorati verdi e pseudo-ecologisti politicizzati, fantastica serie di immacolate spiagge, di tipici villaggi di pescatori, di incontaminate e sterminate distese naturali.

I personaggi del giorno in questo caso sono due: il cercatore di anguille d’acqua salata trasformatosi per l’occasione in Tullio Abbate del Caribe e capace di evoluzioni motonautiche a dir poco inebrianti ma tali che nello specchio del Mediterraneo gli garantirebbero la visione del cielo a scacchi per il resto della sua esistenza terrena e cotal Cirillo, noto maricon locale, ovviamente maestro di ballo, uomo che più uomo non si può, cui il buon Caprotti ha steso intorno un invalicabile muro di filo spinato per cercare di contenere le continue e decisamente appiccicose avances.

Come orologi svizzeri programmati al milionesimo di secondo Cocò e Tommy mantengono una tabella di marcia che prevede immancabilmente la sveglia alle 6, il primo avvicinamento al cibo nel corso della pantagruelica colazione, ore ed ore di bagni, tuffi e giochi nei quali la vera sorpresa si rivela l’ex adorabile secondogenito, ora scatenatissimo e quanto mai attratto da novità, alternative, sorprese, invenzioni.

Raggiungiamo il top dell’esagerazione arrivando a degustare cocco fresco e succo di noce direttamente dal produttore al consumatore, galleggiando piacevolmente nelle tiepide acque tropicali.

Nota del redattore sull’aspetto culinario dell’avventura: citando un famoso film del cinefilia mondiale, possiamo sicuramente annoverare la locanda Dominicus come il miglior posto dove prendere “Sette chili in sette giorni”, grazie ad inverosimili quantità, di qualità eccelsa, di leccornie, manicaretti, elaborazioni d’alta scuola fornellesca, alla faccia di diete, restrizioni alimentari e lassativi vari.

E’ il giorno delle novità, dei cambiamenti di look, delle variazioni di immagine ed ecco perciò due generazioni femminili di stirpe passoniana sottoporsi ad un elaboratissimo intreccio di cuoi capelluti con un ottimo risultato che permetterà loro di entrare di diritto nell’immaginario e sballatissimo mondo rastafari.

Nel giro di un pomeriggio anche lo scrivente universale a voi tanto caro riesce a metamorforizzarsi, tornando indietro negli anni, trasformandosi in improvvisato ma molto apprezzato accompagnatore-animatore di una strampalata e male assortita accozzaglia di diversa estrazione socio-economica-culturale, portando  per mano una decina di malcapitati alla scoperta delle spiagge dominicane.

Non trovando grattacieli su cui arrampicarsi come un gatto, il Paul decide allora di far lavorare il diaframma della quasi inutilizzata Nikon per immortalare arenili e piantagioni varie in zona Bavaro, immensa spiaggia popolata da centinaia di formichine intente alla bruciacchiatura dell’epidermide e da personaggi molto abbronzati, per non dire neri, dediti alla vendita delle più disparate paccottiglie attira-turista imbecille.

Torniamo al nostro angolo di paradiso, ben felici di non aver scelto la nostra destinazione seguendo chimere di improbabili fotomontaggi per cataloghi fasulli ed eleggiamo personaggio del giorno, con opzione per il titolo di trandy woman del Caribe, una giovane ed elegante donna dell’alta borghesia milanese che in preda alle più disparate esigenze turistico, mondane, goderecce, sportive, danzanti, culinarie sembra tarantolata al punto da voler provare ogni tipo di esperienza al limite della resistenza umana.

L’azienda del turismo locale è veramente organizzatissima, concedendoci la mattina della partenza anche quattro gocce di pioggerellina, giusto per poter dire di non essere stati tutto il tempo sotto il sole, il problema è che con indolenza tipicamente locale l’angelo idraulico addetto alle condotte si è dimenticato di chiudere le valvole, così in men che non si dica ci ritroviamo rovesciati dall’alto tonnellate d’acqua al punto da comprendere cosa può voler dire il termine inondazione.

La pioggia ci aiuta a lasciare meno drammaticamente il villaggio e riusciamo così a nascondere, con la scusa del liquido cadente dal piano superiore, la lacrima che facilmente spunta sui nostri visi abbronzati dopo questa praticamente perfetta esperienza centro-americana.