STATI UNITI - AGOSTO 1991

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Primo colpo all'aeroporto di Linate dove fra i quattro peones si staglia il Caprottitti che con mossa fulminea ed audace dimentica il passaporto in valigia.

RISULTATO: chiamato dall'altoparlante e pesantemente insultato da una hostess della British Airways si reca sottobordo scortato come un pentito di mafia da quattro guardie del corpo e fortunatamente recupera il documento.

Giunti a Londra ci informano che "unfortunately the flight is full" così abbiamo dovuto viaggiare in Business Class: il trip inizia proprio male!!

Per vivacizzare la giornata, sino al momento già significativa di par suo, ci comunicano che i nostri bagagli sono rimasti a Londra, ciliegina sulla torta  ( e seconda badilata per Paolo) i nostri tickets - alberghi, tutti dicasi tutti i voli interni, vauchers per macchine varie - all'interno degli stessi.

Potremo mai continuare questo diario ?

Dopo aver dormito ovviamente uno zero al quoto, ci siamo tuffati nel 90% di umidità della Grande Mela, girando come dei gini per i negozi da turisti italiani (quelli cioè dove la roba costa meno ma quando la chiedi è esaurita).

Nel pomeriggio abbiamo telefonato a raffica alla British, scoprendo finalmente che i sacchi personali sarebbero arrivati prima del calare delle tenebre.

Intanto ci siamo comprati tutti e quattro una camicia, ovviamente stesso modello e stesso colore, non potendo più  utilizzare quella indossata finora e diventata nel frattempo cartone ondulato.

Serata trascorsa con amiche di un'amica di Mario, in un ristorantino molto carino di Soho, quindi tutti a nanna, anzi contrordine, tutti tranne lo stallone partenopeo e l'ormai idolatrato "porco" che snobbando le tenere attenzioni di indigene americane, ha preferito un gioco al rimbalzo con alcune ...brianzole, terminato con una fervida amicizia con tale Roberto, facchino delle quattro italiche pulzelle.

Sveglia ad orario da cercafunghi per  imbarcarsi sul volo per Miami, scoprendo all'arrivo che cosa è veramente l'afa, altro che l'Idroscalo ad Agosto, qui sembra di camminare in ginocchio, sulla carta vetrata con una lavatrice sulle spalle tanta è la fatica nel respirare causa umidità.

Miami sembra un po' Montecarlo un po' Rimini ed i bimbi si sono subiti calati nella parte noleggiando una Pontiac Cabrio col risultato che abbiamo una macchina con bagagliaio meno capiente di un lavandino e i sedili posteriori più piccoli della panchetta di legno che si usava all'asilo.

Alle 20, dopo aver saggiato  il cloro della piscina, abbiamo deciso di fare una breve pennichella, rendendoci conto alle tre di notte di essere piombati nel letargo  più profondo, come bimbi con il ciuccio in bocca.

Partenza nella mattinata per Key West, quattro ore di autoveicolo su una strada ad una o, quando si è fortunati due corsie, che passa una fila di isolette e paludi per raggiungere il punto più meridionale dell'East Coast:

Abbiamo bighellonato per l'isola con scooters, assistito al rientro dei pescherecci con pesci che avevano più l'aria di mostri creati da Carlo Rambaldi padre d’E.T. piuttosto che d’innocui abitanti degli abissi, quindi abbiamo atteso il tanto decantato tramonto seduto sul Mellory per renderci immediatamente conto di essere stati clamorosamente buggerati dal classico specchiettone per allodole, giacché qualsiasi ferrotramviere di Santa Maria di Leuca potrebbe fare un business organizzando charters per il Tacco e dimostrare quanto il tramonto sia bello anche lì.

Diamo un sei più sub-judice.

 Dopo lauta colazione, direzione Coconuts Groove, quindi Kay Biscaine quartiere-isola per arruffoni, maneggioni e papponi con tanti Don Johnson in cerca di fama.

Raggiungiamo poi Fort Lauderdale, ove al momento dell'imbarco apprendiamo che avremmo volato verso New Orleans con, attenzione attenzione, un biplano monoelica da trenta posti.

Matteo dopo un attimo di smarrimento del tutto comprensibile per un Top Gun della sua esperienza e l'applicazione del provvidenziale cerottone, ha preso via via confidenza con il mezzo addirittura affezionandovisi.

Il primo assaggio con la capitale della Louisiana è stato poco gradito, a cominciare dal solito barattolo di melassa calda spalmata su tutto il corpo, con grossa delusione per la tanto decantata Barbour Street, invasa da turisti stile Viale Ceccarini alla ricerca dell'introvabile messaggio jazzistico ormai perso nelle putride e limacciose acque del Mississipi.

Girettino turistico alla luce del sole, passabile il Quartiere Francese forse un po' meno squallido della serata precedente, emozionante il Louisiana Superdome dove i quattro pargoli alla ricerca di nuove emozioni hanno visionato uno stadio coperto per 85.000 persone ( sicuramente qui non hanno i problemi di rizollatura come a San Siro).

Trasferimento a Las Vegas e immediato bagno di luci, giochi, cotillons, follie e soldi, beninteso altrui, lungo la pazzesca Strip, arteria miliardaria di questa Paperopoli nel deserto del Nevada.

 

 

Giornata campale. E' arrivato il momento del fatidico giro nel Grand Canyon con l'aereo a manovella, all'aeroporto ci affibbiano la fortezza volante più scassata del campo: è un monoelica dell'anteguerra con il prode e valoroso Matteo in qualità di copilota, navigatore, meccanico.

La carcassetta decolla e ci rendiamo subito conto che sarà una sofferenza fino all'arrivo a terra ma... udite udite, colpo di scena,dopo dieci minuti il pilota ci informa di un imprevisto ma obbligatorio dietro-front causa non ben specificati "problems".

Tutti fingono tranquillità, ma l'atterraggio è quanto di più agognato sulla faccia della terra.

Cerchiamo vie di fuga verso la libertà, ma veniamo marcati come in un campo di concentramento con numeri di riconoscimento in caso di sciagura aerea e riprendiamo perciò il contatto con le correnti ascensionali durante il quale Matteo si esibisce in un triplo sbroffo sotto gli occhi pietosi e un po' disgustati della pilotessa che a fine tour gli domanda "You didn't enjoy very much the trip" Risposta dello Zio "No grazie, per 170 dollari preferivo vomitare in camera!!".

Nota sul Canyon: bello, unico, vale la pena di essere visto ma forse non a bordo di quella vasca da bagno con le ali, ma il pensiero del rientro tende tutti i nostri muscoli e nervi , l'arrivo a Las Vegas viene preso come una grazia ricevuta alfine di raccontare ai posteri l'esperienza vissuta.

Nottata allo sperpero economico-monetario in quel dell'Excalibur, castello pieno di trucchi, magie e trappole mangia soldi.

Per il soggiorno in California abbiamo preso a prestito una Buick Park Avenue cui manca solamente il forno a microonde e la pin-up incorporata per soddisfare ogni esigenza dei viaggiatori.

Cinque ore di trasferimento attraverso il deserto del Nevada ed eccoci arrivare a San Diego Maradona, ove "alziamo palette" per questa ridente cittadina lambita e baciata dal Pacifico.

Per la serata ci siamo riservati di andare da Diego's e Confetti's, ma scopriamo che dopo cinque anni dal precedente passaggio del Caprotti, gli usi, i costumi e soprattutto i locali sono cambiati per cui, dopo decine di miglia sulle highway californiane, ci infiliamo nel surriscaldato ambiente del "Cipolla Rossa", al top delle disco cittadine.

Mattinata dedicata allo shopping nel futurista e futuribile Horton Plaza, mega centro commerciale downtown, e via a Coronado, isolotto nella baia ove trovasi la più grande base navale degli Stati Uniti.

Ci soffermiamo nei paddocks per l'alaggio delle barche della America's Cup, con ovvio acquisto di souvenirs ma questa volta con il metodo Ciardiello, paga uno prendi cinque, e arrivo in spiaggia per compiere la solita italianata: abbiamo chiesto la sfera a due bimbi gialli giusto per gradire due tiri.

Ci siamo spiegati talmente bene che il padre è venuto a chiederci se eravamo pedofili intenti a circuire i pargoli.

Highway Five a tutto gas e Los Angeles è ai nostri piedi, saluto alla caotica capitale della West Coast e tutti a nanna sdraiati per terra su quattro sacchi a pelo uno di fianco all'altro.

Come on and visit L.A. !!

Prima tappa El Pueblo, teorico antico fulcro della città, se questa è storia, poi vari centri commerciali, business district, Westwood e pranzo al Farmer Market (tanto per cambiare erano le 16.00).

Rodeo Drive, mitica Gazzetta dello Sport, unico testo di manzoniano linguaggio trovato in due settimane di permanenza in terra statunitense, Beverly Hills, Sunset Boulevard e cena vegetale a casa di Lanette.

Ogni tanto attacchi di scemenza ci attanagliano quando esprimiamo in italiano giudizi sul cibo, senza che i nostri gentilissimi ospiti ne capiscano una fava di ciò che diciamo. We miss spaghetti pomodoro e basilico.

A nanna questa volta nel lussuosissimo Marriot di Woodlands teneramente offertoci dagli impietositi Raymond.

Dopo aver fatto colazione, questa volta all'europea perché non ne possiamo veramente più di scrambled eggs and becon, imbocchiamo la cinque per Disneyland, "viaggio" tragico nonostante le innumerevoli corsie.

Ci rendiamo immediatamente conto che per divertirsi qui bisogna avere 10 anni o essere americani, un'esperienza comunque da provare per capire il mondo.

Pomeriggio a Santa Monica per essere fagocitati nella nebbia in pieno agosto, breve salto a Venice, che di Venezia non ha assolutamente niente, ma una banchina transitabile che si distingue per l'elevato numero di elementi allo sbando alle prese con i più rudimentali accessori per il divertimento, leggi pattini, skate-board, frisbee, pesi....

Verso le 22,30 ci siamo lanciati in compagnia di ricchi industriali monzesi alla ricerca di un locale di grido, il Roxburry.

Prima di entrare abbiamo aspettato lungo tempo, ma veramente lungo tempo, rifacendoci però gli occhi con bellezze locali o pseudo-tali, abbigliate in maniera assurda nonché incredibile stile "non ho messo il cappello dell'abat-jour perché non si abbina con le scarpe di gatto selvatico".

Tra qualche stars del vinile e della celluloide tipo Rod Stewart e degnissima consorte, Paul Young e Brigitte Nielsen, anche moltissime Bonnie Bertorello, regina della zeppa trampolata, e troppi romani, inconfondibili e purtroppo ovunque presenti.

E' arrivato il momento degli addii, tra uno slice di pizza ed una golata di coke, ecco gli eroi dividersi per raggiungere le rispettive mete.

Teo e Giorgio, sperando nel traffico delle mostruose arterie viabilistiche californiane, intraprendono la strada per San Francisco, Vancouver e Toronto (Giorgio perché questo ritorno in terra canadese?).

Paolo e Mario si imbarcano invece per Mexico City, tutto semplice, almeno sulla carta: il viaggio è reso impossibile per la presenza sull'aviogetto di dieci bambini pestiferi in gita scolastica, come erano belli i tempi di Erode.

Dopo il trasferimento al Grand Hotel Ciudad del Messico, splendido albergo stile decò in avanzato stato di decadimento, ecco il primo approccio con il Distretto Federale, alias Città del Messico, con la visita allo Zocalo, immensa spianata tipo Piazza Rossa o Piazza Tiennammen, con la cattedrale in via di ricostruzione causa terremoto ed il Palazzo del Governo presidiato da un'infinità di soldatini tipo cartapesta.

Dopo la visita alla torre latino-americana, per il solito panorama from the sky  per le diapositive di Paolo, eccoci al Museo di Antropologia.

Se la città ci ha deluso per povertà, tristezza e inquinamento, eccoci ripagati degli sforzi per essere arrivati fin quassù: il viaggio valeva la pena  per visitare questo fantastico insieme di reperti Maya ed Atzechi, una vera meraviglia.

Serata nella tanto decantata Zona Rosa, tutto sommato intrigante, ove ci soffermiamo a mangiare e poi, con il supporto del magico passaporto italico, evitiamo una fila chilometrica stile Stadio Meazza per derby scudetto, infilandoci in una discoteca animatissima, con fauna variopinta, accattivante e decisamente superiore alla media messicana.

Il solito, storico maggiolone, guidato a velocità folle, ci mostra la triste capitale, ove il sole della domenica mattina appare un po' meno offuscato dallo strato generalmente impenetrabile di smog.

Tra case diroccate, macerie del terremoto, baracche con tetto di lamiera per Ciardiello è una vera pacchia, gli sembra di essere rientrato nella provincia napoletana.

Alla stazione del Norte prendiamo un autobus che ha l'aria del trasporto bestiame, la fauna è assurda, il viaggio breve ma sicuramente tiriamo un gran sospiro di sollievo al momento dell'arrivo.

Traguardo della gita fuori porta è Teotihuacan, città principale al tempo dei Maya, misteriosamente abbandonata attorno al 300 d.c.

Il luogo è sinceramente affascinante, non sarà Pompei, ma il salire sulla piramide del Sole e su quella del Vento, luogo di culto e di adorazione, è veramente emozionante.

Nota di plauso per un arzillo docente veneziano di settant'anni che si sta girando in pullman tutti gli States, ed il Messico, con precedenti esperienze tragico-folli in Siberia, Cina, Australia sempre a bordo di torpedoni tanto sgangherati quanto economici.

Cena serale nell'ormai abituale Zona Rosa con una coppia di sfigati maleassortiti in patetica gita turistica.

Dimenticavo, Paolo ha subito la vendetta di Montezuma.

Acapulco, Acapulco, prendendo l'aereo di prima mattina, o forse era ancora notte, eccoci arrivare nella perla della costa pacifica messicana. I pareri erano contrastanti, quasi tutti la dipingevano con tinte fosche, ma per la verità questa via di  mezzo tra Rio e Monte Carlo non è poi così male, anche se siamo fuori stagione.

Particolarità del nostro albergo, o forse di tutta la città per essere differenziata da Rimini, Pinarella di Cervia e Sottomarina di Chioggia, sono quattro balordi peones che raggranellare qualche pesos di mancia da ricchi vitelloni texani, non esitano a lanciarsi da 40 metri in una tinozza d'acqua larga pochi metri, rischiando l'osso del collo e non solo quello, causa scogli affioranti.

Lo spettacolo è comunque gradito, il tip non concesso !!.

Finalmente riusciamo a sfatare il mito, godendoci un tanto sospirato tramonto, è il preludio per una serata fantastica conclusa da Mario con la tanto agognata aragosta, gustata in un delizioso ristorantino, lume di candela, paesaggio sa presepe, spiaggia, palme, capanne di paglia.

Ci sarà pure un rovescio della medaglia, eccolo: al tavolo Paolo e Mario.

Comincia la giornata più insignificante del nostro viaggio, la cosiddetta tappa di trasferimento come la definirebbero alla Parigi-Dakar.

L'ultima visione di Acapulco, nonostante un caldo opprimente tipo foresta equatoriale e la mancanza quasi totale di bipedi di stirpe umana nell'età della ragione, ci riconferma il giudizio positivo dato in precedenza, con particolare plauso alla ristretta striscia di sabbia che lambisce i grattacieli di questo pascolo di vecchie star holliwoodiane.

Come volevasi dimostrare la giornata è stata noiosa, per animare il tutto siamo riusciti comunque a spendere le solite centinaia di dollari, a girare per tutti gli uffici dell'aeroporto per accontentare un capriccio internazionale del Caprotti, a sbatter via diverse ore per cercare un hotel in quel di Cancun.

La cosa più semplice di questa  terra, trovare una stanza in una delle enormi, lussuosissime dimore della penisola dello Jucatan si è rivelata un'impresa titanica al limite dell'inverosimile, terminata all'alba dell'una di notte con il soggiorno in un hotel dall'acqua razionata.

Non sappiamo bene il perché ma abbiamo aspettato l'alba in spiaggia, l'esperienza è emozionante sul Mar dei Caraibi, ma il fisico sembra risentirne oltre misura nelle prime ore della mattinata.

Prendiamo il solito, laido taxi per raggiungere  il Club Med, il viaggio sembra interminabile, l'autista è di una lentezza che metterebbe a dura prova la pazienza di Giobbe, la tanto desiderata meta ancora non raggiunta.

Sarà forse una tecnica per far apprezzare di più il tutto, il risultato in ogni caso è centrato perché ci ritroviamo in luogo splendido, la spiaggia è bianchissima, il mare è ... sono daltonico ma mi suggeriscono che si passa dal verde, all'azzurro, al grigio, al blu. Lodi sperticate al pasto regale, convinzione di aver  scelto il posto giusto per scurire i nostri visi pallidi.

Com’era scontato e forse anche giusto, ecco la prima brutta giornata del nostro viaggio, pur toppo capita proprio nel posto sbagliato. Acqua torrenziale e umido ogni oltre livello ci costringono a dare un prolungato riposo alle nostre intorpidite membra.

Appena ne vien data la possibilità, ecco i due eroi fare sfoggio di piena integrità fisico-motoria partecipando a tre partite oratoriali di pallavolo, ovviamente contraddistinte  dalla rivalità tra italiani,vincitori, e compagini variamente assortite tra il resto del mondo.

Il sole è tornato a far la parte del leone ed eccoci qua in pole position come delle iguane sulle pietre dell'Isola di Pasqua a non perdere neanche un raggio della preziosa stella.

La vita è quella solita del Club, tanto mangiare, molte frasi fatte, smaglianti sorrisi, ma il tutto è decisamente piacevole ed il Caprotti si trova sinceramente quanto mai a suo agio.

Sci nautico e pallavolo, anche in piscina e in spiaggia, occupano la maggior parte del nostro tempo, che trascorre inesorabilmente velocissimo.

La sera viene trascorsa al Daddy'O, discoteca molto bella, tipo enorme grotta preistorica con incredibili effetti speciali, ma popolata da un enorme contingente italiano in caccia di popolazione indigena.

E' giunto il triste randez-vous con la partenza, non abbiamo fatto niente di straordinario, abbiamo frequentato Club forse più belli e divertenti, in ogni modo un po' di malinconia ci assale quando, scroccando un passaggio a carico del tridente, lasciamo le proprietà di Trigano per raggiungere l'imbarco.

Saliamo sull'aereo per New York ove saremo attesi dalla tanto famosa Anne, intima amica di Mario che nel frattempo ha provveduto a dischiudere gli orizzonti europei a Napoli, allacciando stretti rapporti con una monzese prima del fatidico 1993.

L'arrivo nella Grande Mela, in verità ormai completamente marcia, è stato quanto mai tranquillo, Anne ed Elise si sono trasformate in elegantissimi e disponibilissimi autisti per prelevarci al J.F.K. e condurci alle rispettive accoglienti dimore in Manhattan (cosa volere di più?).

La giornata viene spesa, è proprio il termine più adatto per descrivere le nostre vacanze, per fare gli ultimi acquisti, ultimi non perché non abbiamo più tempo, ma perché le tre borse aggiuntive di Mario dimostrano che abbiamo comprato tutto quanto ci veniva proposto ( il mitico napoletano ha gettato gli ultimi dollari per una maglia da portiere e per un Monopoli magnetico portatile).

 

Dopo la riunificazione del mitico quartetto al cui confronto i Beatles erano scarafaggi, arrivo a Londra di prima mattina e tattica decisione di passare l'intera giornata a fare i contorsionisti snodati alla ricerca di una comoda posizione sulle poltrone dell'enorme Heatrow in attesa della coincidenza verso l'adorata madrepatria.

Giunge la tanto desiderata partenza verso Linate, ove veniamo accolti da due notizie bomba: l'avvenuto golpe in Russia, quanto mai sorprendente per noi a digiuno di news da tre settimane, l'altra relativa alla forzata presenza del Ciardiello per un'altra notte causa mancanza di voli intercontinentali Milano-Città del Capo-Napoli. BENTORNATI