SUDAFRICA - NATALE 1992

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Un sole accecante, vanamente filtrato dai più evoluti Ray Ban, mi risveglia alle sei del mattino durante il volo Milano-Johannesburg, ultima folle invenzione di quello scapestrato del Caprotti.

Cercando di realizzare un sogno inseguito nei meandri dell'immaginazione per anni, eccomi finalmente diretto verso l'estremo lembo meridionale dell'Africa.

Accompagnato, o meglio forzatamente costretto alla compagnia di Cristina, aggregatasi di soppiatto senza autorizzazione scritta, passo a volo radente per le vie della moderna, pulita e non africana Joannesburg, che viene attraversata in poche decine di minuti per raggiungere Pretoria, ancora più ordinata ed asettica.

Sarà, ma la vegetazione, l'ambiente e l'inflessione dialettale di stampo europeo mi riconducono immediatamente alla famigerata Svizzera Tedesca.

Cinquecento chilometri di autostrada ci permettono di arrivare al Jatinga Lodge, splendida fattoria di stile boero trasformata in delizioso albergo: il tutto sembra essere uscito da una favola.

In un susseguirsi di splendidi canyon e di verdissime vallate coperte da foreste di pini e di abeti, attraversiamo il Transvaal soffermandoci in prossimità di cinque o sei cascate veramente formidabili: decine di metri di salto con classico laghetto ai piedi del dirupo.

Entriamo nel mitico Kruger Park, un piccolo boschetto grande metà dell'Italia, dove dovremmo incontrare ogni forma di essere vivente allo stato brado.

Risultato della prima parte del tour: circa duecento chilometri di sabbia, sterrato e pietre aguzze per vedere i reali posteriori di quattro zebre e tre gazzelle.

La sveglia domani è prevista per le sei con la speranza di potersi rimangiare questo primo approccio non esaltante.

Ispirandosi al motto "Chi la dura, la vince" o come dice meglio il buon Bossi "Chi l'ha duro vince", non abbandoniamo le nostre perlustrazioni all'interno dello sterminato Kruger alla ricerca di qualche esempio finora sognato solo grazie all'enciclopedia degli animali.

Tutto viene finalmente premiato con l'apparire di alcuni branchi di zebre, qualche decina di giraffe, diverse iene, molte gazzelle ed infine eccolo, il gattone della savana apparirci con fare sornione e pronto al flash delle passerelle dell'alta moda milanese.

Considerando la stagione negativa e la vastità della regione posso considerarmi fortunato, anche perchè il meeting ravvicinato con un elefante non certo conciliante mi ha convinto a porre fine alla mia carriera di "piccola vedetta lombarda" in terra africana.

L'incredibile varietà e le infinite attrattive delle serate mondane in un campo ai bordi di un parco nazionale, ci permettono di chiudere le pupille molto presto risultando attivi di prima mattina quando, impossibilitati a raggiungere il Mozambico causa presenza di borseggiatori filo-craxiani, prendiamo la pista verso Sud attraversando il confine con lo Swaziland, piccola nazione di stampo alpino caratterizzata dalla presenza, compresi noi due, di ben undici esseri umani di carnagione pallida.

Seguendo le precise indicazioni del mio abile navigatore, attraversiamo a velocità astronomica il territorio dello Swaziland, che ci appare un continuo susseguirsi di paesaggi contrastanti, per cui ci ritroviamo in fitte boscaglie, desolate radure, aridi altopiani, assolate pianure.

Il tutto viene lasciato alle spalle verso mezzogiorno quando espletate interminabili procedure doganali, rientriamo in Sud Africa.

Agli ordini di un’anziana boera dal fare teutonico e dalla grinta d'acciaio, visitiamo l'ennesimo parchetto e prima di maledire l'ennesima mancanza di industrie, smog ed inquinamento a noi tanto cari e rimpianti, riceviamo il premio per tanta pazienza: interi branchi di rinoceronti, bufali, zebre, giraffe, impala si presentano davanti alle nostre macchine fotografiche, fuori combattimento  ( non si può avere tutto dalla vita ! ).

Lasciamo la nostra  stanza creata su delle palafitte tra i rami di alberi secolari e dopo aver fatto colazione tutti sullo stesso tavolone come in colonia, seguiamo il vento del sud per dirigerci verso Durban.

Il lago Santa Lucia e la regione del Natal sono decisamente una chiavica per cui l'acceleratore  della Toyota è posto a tavoletta fisso e con qualche ora di anticipo completiamo il trasferimento verso il cenone di Capodanno in un ameno territorio dal nome impronunciabile ed intrascrivibile.

L'albergo è splendido, l'Oceano Indiano sicuramente maestoso, unica nota dolente e sicuramente imbarazzante l'incredibile divario economico ed umano tra la maggioranza di colore ed i pochi, antipatici ed arroganti bianchi.

Il più tranquillo, pacifico e sereno Capodanno della mia esistenza terrena si è concluso, dopo una cena sopra le righe, addirittura 15 minuti dopo lo scoccare della fatidica mezzanotte.

Oggi relax, riposo, bagni, sole: mi sembra proprio di aver preso 20 anni di colpo o meglio la mancanza della pancetta del commendatore stile Alberto Meroni è l'unico segno che mi contraddistingue da tutta questa serie di corpulenti e sfatti cinquantenni.

La spettacolare scenografia di Apocalipse Now sembra aver ispirato tre elicotteri di pattuglia davanti all'albergo causa squali, ad intervenire a volo radente sopra  le nostre teste per soccorrere un malcapitato nuotatore, o quello che era di esso, sfracellatosi sulle rocce, dopo aver pensato bene di festeggiare la ricorrenza nel posto più pericoloso della costa.

Rinsecchiti, riarsi, bruciati, squamati e piagati dall'unica giornata completamente passata sotto i raggi del sole, ci affidiamo al prezioso aiuto di unguenti miracolosi e creme magiche per poter rianimare qualche centimetro di epidermide.

Il rilasso è totale, apprendendo con facilità usi e costumi locali, approfittiamo dei vantaggi offertici dall'essere bianchi per passare una giornata veramente sopra le aspettative in una club house da veri ricchi riservata a noi sbiaditi.

Durban è la Rimini subtropicale con enormi palazzoni in riva ad un oceano verdastro pullulato da migliaia di formichine in cerca di refrigerio.

La sosta è breve, giusto per capire l'andazzo poco gradevole, lasciamo la fedele giapponesina, compagna di tante avventure e voliamo verso Città del Capo che ci riserva una calda accoglienza tra le sue mura veramente attraenti.

Come sempre il posto più bello è quello in cui ci si può fermare di meno per cui con due romani raccattati all'aerostazione, cottimizziamo la presenza in luogo cercando di ammortizzare al massimo il viaggio.

Eccoci perciò al Capo di Buona Speranza e a Cap Point, ultimi baluardi meridionali dell'Africa, prima di Reggio Calabria e degli inferi.

La regione del Capo è incantevole, rocce a picco tra due oceani, parchi splendidi, giardini curatissimi, quartieri da favola non fanno altro che accrescere la nomea di questo sito.

Come bambini attratti dal cartellone del circo, ci facciamo risucchiare dal vortice della curiosità e saliamo in cima alla Table Mountain.

Risultato: panorama suggestivo sull'oceano sottostante, ma fila di due ore per un rudere di funivia a manovella ed ingranaggi arrugginiti tra urla e schiamazzi di mostriciattoli di tutte le razze.