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Come già espresso in precedenti capitoli di questo testo che necessariamente dovrà diventare il punto di riferimento delle generazioni a venire, il fulcro di ogni riflessione legata al girovagare sulla crosta terrestre, la pietra miliare e angolare della filosofia del partiamo, andiamo e magari cerchiamo di non tornare, è indispensabile fare riferimento ai detti popolari, agli aneddoti, agli aforismi, alle frasi famose e allora mai come oggi possiamo aprire un capitolo dei sacri versi citando “Sterminato piacer termina in doglia”: dopo una vacanza inaspettatamente fantastica come quella testé terminata tra i flutti del Mar Adriatico, piacevolmente solcato dal vascello MSC, capiamo che è troppo presto, tragico e doloroso il doversi rimettere immediatamente a testa bassa, chini e silenziosi, a svolgere il proprio dovere quotidiano, troppo recenti i pensieri, le immagini e le fantasie impresse in cuori, menti e display di telefonini e macchine fotografiche per non aver ancora voglia di ripartire immediatamente.
Non ce lo facciamo ripetere due volte, alla prima volta e mezza siamo già pronti, con gli indumenti ancora parzialmente umidi decidiamo di riprendere in mano il percorso ipotizzato ma purtroppo trascurato in precedente ipotesi turistica e abbandoniamo una Milano ancora drammaticamente desolata per orientarci e dirigerci verso nord. L’autogrill di Arese è un sette stelle superior, abbiamo quasi quasi voglia di fermarci ad oltranza ma il richiamo della novità e del mistero ci attira come una calamita potentissima, facendoci superare il valico di Brogeda per entrare territorio rossocrociato. Sfioriamo Chiasso e Lugano decidendo di fare la prima sosta a Bellinzona, ove veniamo sormontati e un po’ anche intimiditi da tre castelli medioevali imponenti e incombenti, che attirano molto la nostra attenzione.
La salita a quello di Montebello costituisce un ostacolo impervio e assai difficoltoso, la scarpinata assume i contorni di una ferrata d’alta montagna, i ciottoli che lastricano il sentierino si rivelano infimi e la volontà di consumare le troppe calorie ingurgitate nel corso della recente crociera non sembra essere lo sprone sufficiente per arrivare in cima al cocuzzolo. Un’interista non molla mai, anche nel momento di più grave difficoltà stringe i denti, da fondo a tutte le sue risorse e raggiunge i suoi obiettivi, issando il vessillo del Triplete che garrisce ora sulle mura del maniero. Il secondo, Sasso Cordero, soprattutto alla luce della fatica compiuta in precedenza, viene raggiunto molto più comodamente in macchina, tanto quanto il terzo, Castel Grande, è conquistato grazie a rapida ascensione verticale tramite lift partente dalla piazza principale di una cittadina molto svizzera ma assolutamente considerabile per una deviazione di un’oretta e mezzo dalla rotta tracciata.
Giungiamo a Lucerna con circa mezz’ora di ritardo sull’ipotetica tabella di marcia, in quanto gli ineffabili elvetici, nella loro fobica mania di ordine e precisione, prevedono bene di installare due semafori in piena autostrada, onde far confluire in maniera più composta, ordinata, organizzata e educata i veicoli all’inizio della galleria del San Gottardo, che ci aspetta con i suoi sedici chilometri di buio tetro e avvolgente. La città è a dir poco splendida, affacciata sul lago, con palazzi maestosamente affrescati e arricchiti da preziosi orpelli, sembriamo catapultati nel mondo delle fiabe, dei folletti e delle fate, tutto è ovviamente più che ordinato, pulito, organizzato, il Kapellbrücke, ponte di legno che unisce le due sponde della città vecchia, simbolo del cantone, ha un fascino indescrivibile, cui si aggiunge il profumo inebriante dei fiori che ne avvolgono i parapetti, rimaniamo a dir poco stupefatti ma diamo voti altissimi a questo impatto inziale prima del calar dell’amico sole, anche a queste latitudini molto più che scaldante. Una notizia potenzialmente drammatica semina un attimo di panico, il sangue freddo, il self control e il savoir faire di Cri riporta la situazione negli alvei della normalità, ma mai Corona fu più apprezzata per calmare gli animi e rilassare i nervi, anche se gli effetti dirompenti non tardano a farsi notare sulla ridarola della Signorina, notoriamente non avvezza alle alte gradazioni etiliche. Cenetta a lume di candela lungo il fiume scrosciante e rombante che fuoriesce dal lago e qui scatta al momento la prima nota dolente di questo quadretto praticamente idilliaco: stentiamo sinceramente a credere come le uova usate per la cesaer salad siano di galline reali, come il petto di pollo provenga da pollai dei principi locali, come l’insalata selezionatissima sia scelta foglia per foglia da sapienti contadini plurilaureati in agronomia, come l’acqua minerale abbia ricevuto bollicina per bollicina l’inserimento del giusto dosaggio di anidride carbonica per poter arrivare a un simile conto finale per due semplici piatti di erba condita. I tempi cambiano, tutto subisce una metamorfosi, non si hanno più certezze, ma vedere il Caprotti fare colazione a bordo lago, senza la smania di correre, di muoversi, di fotografare, godendo appieno la serenità, la pace, la tranquillità, il silenzio di una realtà come quella di Lucerna, ha dell’irreale e dell’inverosimile, ma così è e prendiamolo per vero fino a prova contraria.
Ci trasformiamo in provetti Indiana Jones, per lanciarci all’inseguimento di uno spremiagrumi in miniatura, ne facciamo una questione di principio, tendente a una ragione di vita o di morte, chiediamo indicazioni a chiunque, per poi infrangere i nostri sogni davanti ad un laconico fuori produzione, avviliti e demoralizzati facciamo tappa a Basilea, seguendo istinto, intuito e una gran botta di culo, evitiamo una coda più che chilometrica in autostrada e tramite scorciatoie alternative trovate a fiuto, arriviamo in centro a questa che è la terza città della Svizzera, praticamente al confine con Francia e Germania. Onde non correre alcun rischio, da diligenti automobilisti, parcheggiamo con tutti i crismi, passeggiamo per un centro molto commerciale, turistico e consumistico prima di affacciarci sul sottostante Reno e visitare la parte artistico-universitaria che racchiude molti edifici di rilievo, tra cui una cattedrale a dir poco monumentale.
Nonostante una balzana idea, che è durata il tempo di pensarla e poi accantonarla (tirare dritto senza stop per fare un cenino con sentimento sotto alla Tour Eiffel) la vera meta di questo tour fuori programma viene raggiunta e conquistata nel primo pomeriggio di venerdì, quando annettiamo al nostro bagaglio di esperienze e conoscenze Colmar, celeberrimo luogo cult della rinomata Alsazia: ho usato spesso aggettivi roboanti e altisonanti per le descrizioni di questo diario itinerante per il mondo, ma giuro di dire la verità, tutta la verità, solo la verità affermando che mi trovo davanti ad un luogo incantato, fuori da ogni fantasia, aspettativa, previsione: casette colorate modellate con il marzapane, tetti con tegole in ardesia disegnate per il piacere della vista, canali che permettono una visione d’insieme a dir poco spettacolare di questo villaggio spuntato dal nulla nel mezzo della campagna transalpina.
La serata è la giusta ciliegina su una torta di panna, purtroppo non trovata e assaggiata in loco, che propone un villaggio illuminato ai confini della realtà, crediamo sinceramente di essere tornati indietro di diversi secoli e apprezziamo attoniti il susseguirsi di queste case stupefatte bianche più del latte, cui fanno seguito altre costruzioni coloratissime e rifinitissime, non crediamo ai nostri occhietti, ceniamo su un balcone lungo un canale di quella che abbastanza pomposamente ribattezzano Petite Venice, per noi quest’estate è la terza volta che viviamo una simile esperienza nominale dopo la Little Venice di Mikonos e la vera, unica, impareggiabile e straordinariamente meravigliosa Venezia lagunare.
Lasciamo l’alberghino Arc en Ciel, che più che un arcobaleno assomiglia molto a un triste tramonto di una giornata uggiosa, anche se la colazione più che degna di sottolineatura gli fa acquistare qualche decimo di punto nella nostra personalissima classifica, e ci lanciamo a la decouverte de l’Alsace, un territorio fantastico, magico, irreale, cui vorremmo dedicare giorni e giorni di attenzioni e cure.
Mattinata in ascesa, anche per lo smaltimento del petit dejeuner, per la visione delle rovine dei tre castelli che svettano sopra i nostri capoccioni, in tutta sincerità ampiamente evitabili tanto quanto il successivo maniero di Hohlandsbourg, mentre i villaggi ai piedi della catena dei Vosgi si aprono a noi con un susseguirsi infinito di suggestioni, emozioni e sensazioni senza pari: è un continuo volgere il capo, girare la testa, cambiare itinerario per cercare di non perdere un’angolatura, una prospettiva, una novità in questa ragione che senza ombra di dubbio posso inserire tra le più belle mai visitate e fotografate in questi più che cinque decenni di esistenza. Eguishem, Turckheim, Kaysersberg, Riquewihr e Ribeauville ci riservano infinite sorprese, non ci sono fortunatamente bugigattoli per soli souvenir, è tutto un insieme di ristorantini fantastici, di locande attraenti, di brasserie tipiche, di negozietti invitanti: se non fosse che il Caprotti è completamente e totalmente astemio, sarebbe indispensabile porre l’accento anche sull’infinità di cantine e di osterie con degustazioni gratuite dei vini alsaziani, che dicono essere tra l’altro una vera e propria prelibatezza.
Siamo stanchi, sfiniti, esausti e se lo ammette il globtrotter longobardo c’è di che preoccuparsi, ci trasciniamo alla macchina, fatichiamo ad aprire le portiere e a metterci in moto, forse anche per la mancanza assoluta di volontà nel lasciare questi luoghi magici, baciati da un sole abbagliante, lungo un percorso che si snoda interamente tra vigne infinite e filari di vitigni dai colori dorati. Più per obbligo morale nei confronti delle tabelle di marcia forzata aprioristicamente dettate che per reale volontà personale, usciamo a buttare un’occhiata a Strasburgo, sembriamo automi caricati meccanicamente che si muovono con grande fatica, non troviamo alcun locale di particolare fascino gastronomico, espletiamo le necessità alimentari in un fast junk food e rinviamo la visita vera e propria a domattina, quando porteremo a termine questa gita turistica tra Svizzera e Francia, avendo lambito anche la Germania, che più che un long weekend, sembra aver assunto i connotati di una vacanza vera e propria, in considerazione delle innumerevoli visite effettuate, tutte estremamente apprezzate, gradite e ammirate.
Mattinata utilizzata per una prima, sommaria ma comunque sufficientemente esaustiva presa visione della bella Starsburgo, la cattedrale è maestosamente dominante, fa quasi impressione vederla spuntare a ridosso di tutte le altre abitazioni, talmente vicine da essere oscurati dalla sua ombra, il quartiere di Petite France è una chicca, con ristorantini, baretti e caffè assai fascinosi e affascinanti, ovunque regna una serenità e una tranquillità che ci fanno ancor più rimpiangere il dover far rotta verso la Penisola, per obbligo civico buttiamo l’occhio e facciamo tre scatti di numero ai palazzi della presidenza del Parlamento Europeo e cominciamo la discesa verso meridione, ringraziando e complimentandoci con Monsieur Peugeot che, nonostante la più che maggiore età della nostra auto vetturina piena di acciacchi e di problematiche tecnico-motoristiche, ci ha messo ha disposizione un mezzo di locomozione che ci ha dato la possibilità di effettuare senza alcun imprevisto una lunghissima gita, tanto inaspettata quanto incredibilmente apprezzata e sicuramente in futuro ricordata.