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Come dei sorci con un'enorme scheggia di parmigiano reggiano in bocca stopoliniamo via di casa prima che i pargoli adorati possano aprire gli occhietti ponendo fine al loro da sempre meritatissimo riposo post indefesso dovere scolastico .
E' sabato mattina, per non dire quasi ancora notte, quando lasciamo l'abitazione monzese dopo aver lautamente rimpinzato i pelosi felini e ci incamminiamo verso oriente, diretti per la prima volta in Friuli Venezia Giulia, tanto agognato e sospirato traguardo al punto da essere l'ultimo avamposto italiano a non essere ancora stato visitato dall' universalmente idolatrato narratore meneghino.
Dopo settimane e settimane di Anticiclone delle Azzorre, seppur anticipato alla stagione invernale, qualche nuvola di fantozziana memoria di troppo incombe sul nostro percorso, ce ne freghiamo alla stragrande imboccando la Serenissima, in cui il grigio del manto stradale si confonde magistralmente con i cumuli nembi carichi di umidità.
Il procedere è quanto mai tranquillo, rilassato, once in a life non abbiamo fretta, non siamo inseguiti da orari, scadenze, impegni e questo è già di per se una grandissima vittoria, il tutto in occasione di una ricorrenza, quella di San Valentino, fino ad ora tanto vituperata ma in questa occasione piacevolmente ricordata e fantasticamente festeggiata .
Il lanciare lo sguardo a destra e manca lungo i lati dell'autostrada ci permette di scoprire tante belle novità da aggiungere al nostro bagaglio conoscitivo ed allora freccia a destra della sempre comodissima Rexton e fermata eno-gastronomica a Soave, circondata e dominata da mure medioevali e da un castello scaligero ai cui piedi veniamo in contatto con un mondo irreale, abitato da persone gioviali, simpatiche, ilari, sorridenti, serene, probabilmente non ben consce di far parte della popolazione tricolore .
Anche lo stop a Palmanova, cittadella dimenticata da Dio e dal mondo, odiata da generazioni di giovani reclute che hanno sputato sangue e sudore nel nulla della campagna veneta per gettare al vento dodici mesi della più inutile delle ferme militari, ci permette di conoscere una umanità ed una apertura personale quasi dimenticata da noi metropolitani, nel contesto di un borgo di poche anime , da citare solamente per una piazza d'armi simile ad una spianata infinita, circondato da mura fortificate a pianta stellare con nove punte.
Non possiamo non fermarci in raccoglimento nel commemorare il sacrificio di centinaia di migliaia di soldati italiani caduti sul desolato Carso nel corso della Prima Guerra Mondiale e più di un brivido di sconforto e di malinconia assale i presenti al cospetto del sacrario di Redipuglia, eterno ricordo della stupidità umana: una collina intera è il campo santo ove riposano le spoglie di innumerevoli valorosi combattenti che tra Isonzo, Piave e Tagliamento hanno donato la loro esistenza, ancor più triste inoltre il pensare ai più di 65000 corpi di militi ignoti qua tumulati .
Giungiamo infine alla meta, quasi “finalmente” eccoci a Trieste, ultimo baluardo tricolore prima del'ex grande satana bolscevico, città che ci accoglie con un giusto dosaggio di malinconia da frontiera e classe innata profusa da tante culture contrastanti ivi unitesi .
Il ragionier Caprotti da Monza è a dir poco sorpreso, esterefatto, basito per non dire attonito ed intimorito nel varcare la soglia del Grand Hotel Duchi d'Aosta Spa&Resort in Piazza Unità d'Italia, il quadrilatero sul mare più vasto d'Europa, sentendosi a dir poco acciuga fuor d'acqua al cospetto di cotanta classe ed eleganza, magistralmente scovata dalla preparatissima tour leader, tipico esempio di quel gran gusto mitteleuropeo che permea tutto il capoluogo giuliano .
Passeggiamo in una città incredibilmente silenziosa, abbellita da palazzi storici ed edifici molto curati ed ancora in gran spolvero, dal sapore prettamente asburgico, ci inerpichiamo, non senza qualche difficoltà motoria e deambulatoria, fino alla cattedrale di San Giusto, scroscianti applausi a scena aperta per il sacro edificio veramente da menzione internazionale e ridiscendiamo verso il centro cittadino, attraverso strettissimi ma pittoreschi vicoli che ci fanno apprezzare ancor di più questo estremo angolo orientale dell'amato territorio, qua ora finalmente italico .
Sosta molto più che dovuta al Teatro Romano, quelli si che erano laziali giusti, ed apertura della parentesi dedicata agli esercizi pubblici cittadini: la nomea dei caffè triestini è cosa assai nota e rinomata, ce ne sono tanti, tantissimi, belli, bellissimi ma bisogna proprio ammettere che l'esperienza di una cioccolata con cascata di panna e meringa di dimensione pallone da calcio nell'affascinante Caffè degli Specchi è un qualcosa da tramandare ai posteri.
Scendiamo nelle fondamenta del nostro palazzo datato 1380 e scopriamo il mondo incantato di un centro benessere curato in ogni minimo dettaglio, tra vapori, sensazioni, luci, atmosfere, essenze, profumi decisamente ammalianti e corroboranti al punto da farci perdere il senso del tempo.
Ci riprendiamo appena in tempo da questo piacevolissimo viaggio nel nirvana dei sensi per chiudere nel migliore dei modi questa giornata già di per se indimenticabile con una delle migliori cene assaporate dallo scrivente nelle sue ormai prossime cinque decine di anni passate su questa faccia della Terra.
A voi, sterminata platea universale di queste descrizioni pilastro della cultura e del turismo planetario, lascio ogni parere, giudizio e commento sul menù, a me non rimane che alzarmi in piedi nella salle a manger per una standing ovation al maitre dietro ai fornelloni: Scampo lardellato, ricotta al limone, foie gras affumicato e pan brioche * Capesante scottate su fonduta di broccolo, riccio di mare e chips di topinambour * Tortello di zucca, fonduta di grana, amaretto ed aceto balsamico * Risotto mantecato al cavolfiore e sgombro affunicato * Trancio di branzino in crosta di pistacchio, emulsionne di spinaci, pinoli, uvetta e frutto della passione * Cocco e cioccolato nero opaco al whisky * Babà cremoso alla vaniglia, gelatina al lampone e soffiato al cioccolato bianco .
Con ancora un retrogusto strepitoso che ci sfrizzola sul palato riusciamo a mettere le gambe sotto il tavolo per una colazione da leccarsi le vibrisse, ammiriamo lo struscio festivo nella Piazza ove si affacciano i palazzi del potere mercantile, assicurativo ed economico di questa affascinante città, che ci colpisce anche nel corso della mattinata per lo spirito accogliente ed ospitale di chiunque incontriamo, con ammirato stupore nell'osservare il lunghissimo serpentone, ovviamente ordinatissimo, in placida attesa dell'ingresso al teatro domenicale.
Viaggio a ritroso nel tempo prendendo un tram – cremagliera che dal centro storico ci fa risalire un costone di roccia veramente molto scosceso per raggiungere il paesino di Opicina da cui, lungo la strada Napoleonica, osserviamo in tutto il suo fascino il golfo di Trieste, morbidamente adagiato sotto di noi, fino a vedere, proprio dietro l'angolo, i primi territori sloveni .
Abbiamo quasi finito, curiosiamo tra stucchi raffinati e legni massicci che abbelliscono il Caffè Tommaseo ed Il Torinese, crogiolo di cultura e di sapere di scrittori, poeti, narratori che si sono ispirati nel corso di questi ultimi due secoli in un ambiente raffinato, sofisticato ma certamente quanto mai accogliente .
La direzione è quella del come back home ma riteniamo fondamentale una visita al Castello Miramare, residenza del fratello dell'Imperatore Francesco Giuseppe che ci appare in tutta la sua bellezza in cima ad un capo che domina tutto il paesaggio, tra giardini raffinati e curatissimi ed addobbi interni estremamente ben conservati che ci fanno rivivere ad occhi aperti lo sfarzo di una vita decisamente da favola, tra i quali spicca il tavolo “porta sfiga” regalato dal Papa sul quale Massimiliano d'Austria ha firmato l'accettazione del mandato ad Imperatore del Messico, con conseguente sua fucilazione semplicemente tre anni dopo ...