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Riportando in auge un famoso adagio dei mitici anni ottanta capiamo che l’estate sta finendo e questo non ci va, per cui ruotiamo il mappamondo virtuale e ci affidiamo al diabolico mistero della rete per dare l’ultimo colpo di coda prima del letargo autunnale ( ma sarà proprio vero che ci fermeremo ? Al prossimo capitolo la sentenza al riguardo ).
In considerazione delle precedenti esperienze, sicuramente non negative ma alquanto sorprendenti ottenute dal cilindro INTERnettiano, volo fino a Valencia con la schiaccia il tasto airline ( effettivamente denominata Click Air ) praticamente in apnea, timoroso e tentennante all’idea del giaciglio che ci permetterà di stendere le membra in terra iberica.
Sarà l’ora profondissima in cui giungiamo a destinazione, sarà la visione offuscata dai fumi del sonno, ma realmente non riesco a credere alle mie pupille quando varchiamo la soglia dell’Aqua, albergo super-iper-extra-mega minimal, arredato con tutti quegli accorgimenti geometrici, visivi e accessoriatici che non riuscirei a ipotizzare neanche nei miei migliori sogni.
Sono costretto ad attendere la mattina successiva per la valutazione definitiva ed ecco allora servita una pantagruelica colazione continentale-mediterranea a base di pain au chocolat, torta di mele, timballi di crema pasticcera, cascate di ananas, anguria e kiwi, fiumi di spremute di arancia che mi danno la possibilità di incoronare l’alloggio tra i miei best around the world.
L’errore dello schiavo alla reception che ci indica troppo approssimativamente l’ubicazione del noleggio bici ci costringe ad una scarpinata più che chilometrica ma tutto sommato ben accetta in considerazione della necessità di falò delle calorie, del sole già potentemente caloroso che ci sovrasta, della temperatura semplicemente perfetta pur essendo quasi ai primi di ottobre, dell’aspetto a dir poco intrigante della realtà valenciana.
Il dedalo di viuzze del centro storico ha decisamente il suo perché, l’enorme mercato centrale ha dell’incredibile vista la pulizia, l’ordine ed il fantastico mix di aromi, fragranze, profumi provenienti da una serie illimitata di ortaggi, frutti, verdure, formaggi, salumi, pesci presentati come nel più asettico reparto di rianimazione.
La città ci accoglie meravigliosamente, il clima non solo meteorologico è dei migliori ed allora innestiamo la quarta, pompiamo sulle pedivelle come dei forsennati e risaliamo avenidas, costeggiamo parchi, attraversiamo quartieri sempre circondati da metodo, organizzazione, emozione.
Le piste ciclabili larghe quanto carreggiate nostrane ci fanno definitivamente capire quanto la realtà attuale spagnola sia in continua evoluzione, in crescita irrefrenabile, facendoci seriamente dubitare del tanto decantato e finora molto amato miracolo italiano: saranno stati in passato pure il fanalino di coda dell’Europa meridionale ma ora hanno messo la freccia e ci stanno davanti anni luce per innovazione, educazione, progresso urbano e civico.
Sicuramente il primo cittadino locale starà pensando alla realizzazione di un monumento equestre, dopo la laurea honoris causa ed il plauso perenne a Santiago Calatrava, architetto che vide i natali in loco e che ripaga la collettività con una serie di palazzi, strutture, edifici, ponti assolutamente straordinari.
Non saremo laureti in ingegneria applicata o in architettura visiva ma quanto realizzato nell’enorme greto del fiume appositamente deviato ad hoc ( !! ) e trasformato tra l’altro anche in enorme polmone verde, è qualcosa d sbalorditivo: non riusciamo esattamente a descrivere le forme di queste costruzioni che sembrano fluttuare nel nulla, con campate ardite, volte di cemento proiettate all’infinito, pareti curvilinee senza fine, distese immacolate di mosaici piastrellati.
Il palazzo delle arti, il museo della scienza e quello oceanografico, che provvederò a descrivere più tardi, vengono illuminati da sfumature dorate e da sensazioni magiche, apparendo prima come animali selvatici, poi come sculture metafisiche, talvolta come scheletri misteriosi ed affascinanti.
Proseguiamo sempre più esaltati, facciamo merenda giusto per tirare il fiato, spendiamo il pomeriggio ad ammirare la spiaggia, ad apprezzare la sabbia, a godere di un corroborante bagno in mare dedicato, senza cattiveria, a tutti quelli che abbiamo lasciato solo un paio di ore fa nella gelida e già invernale Milano.
Una incomprensibile strategia economico-finanziaria che impone tariffe stratosferiche a tutto ciò che è griffato con il logo della Coppa America impedisce a tutti coloro che non sono ricchi possidenti di Vidigulfo di acquistare anche il più semplice gadget della competizione velica che solo alcuni mesi fa aveva fatto di Valencia il centro dell’attenzione mediatica degli sportivi di tutto il mondo.
Giriamo tranquillamente tra i moli oggi desolatamente abbandonati, tra hangar variopinti tristemente vuoti, con due o tre imbarcazioni sollevate in banchina in memoria di un circo multi miliardario per i prossimi due anni lasciato nel dimenticatoio.
Il litorale nei pressi del campo di regata necessita sicuramente ben più di un’iniezione di capitali provenienti dal mondo nautico, incredibile infatti è il degrado fatiscente dei quartieri del lungomare, sicuramente non all’altezza della filosofia vincente attualmente in auge da queste parti.
Torniamo verso il centro, giusto il tempo per fare cambio di mezzo di locomozione, manteniamo le due ruote ma preferiamo farci sottostare da un motore per velocizzare ancora di più le nostre perlustrazioni che ormai spaziano per tutti i quartieri, in particolare quello del Carmen meta della nostra cena serale.
Ci lanciamo all’inseguimento della paella perduta e cascasse il mondo vogliamo mettere sotto ai denti il pastone non meglio identificabile composto, forse, da riso, verdure, pesce ed aromi naturali ( Coca Cola dixit ) riusciamo con qualche difficoltà a coronare con successo la voglia alimentare, anche perché ci fosse un presente uno capace di intendere inglese o italiano, ed ammiriamo la movida notturna, sicuramente non all’altezza di quella delle ramblas barcelloniane, ma pur sempre teatro del tutto esaurito nell’infinità di pub, taverne, churrascherie, cervezerie che puntinano la terza città iberica.
La domenica mattina, dopo più che saziante breakfast, ci vede dedicarci alle creazioni avveniristiche ed anche un po’ allucinogene del buon Castrava, con prolungato e molto apprezzato gironzolo nell’acquario oceanografico, un qualcosa di veramente sbalorditivo ove abbiamo la fortuna di ammirare ogni esemplare possibile ed immaginabile di pesce, crostaceo, mollusco ed invertebrato marino, il tutto con un parterre di fenicotteri rosa dalla grande produzione di liquame, di pinguini bizzarri, di cormorani starnazzanti e di pacifiche tartarughe tutti nel bel mezzo della metropoli e gran finale con otto delfini ammaestrati al punto da sembrare caricati a molla.
Incredibile il servizio di sorveglianza e di sicurezza prima dell’ingresso, forse insospettito dal fatto che pur senza fiocina, ci siamo presentati ai cancelli con pinne, maschere e boccagli.
La curiosità è donna, uomo, trans, sarà quel che sarà ma non ci lasciamo scappare nulla ed allora, dopo una mezz’ora passata a bocca spalancata per le meravigliose invenzioni tecnologiche propinate in forma didattico-divulgativa nella cattedralesca struttura del palazzo delle scienze, ai nostri occhi oggi simile ad un’enorme serie di puntine di maiale arrosto, lanciamo lo scooter verso sud per cottimizzare le tre ore pomeridiane ancora a disposizione prima del dietrofront verso la pur sempre amata penisola sempre più tinteggiata di nerazzurro.
L’adattarsi al clima, agli usi, ai costumi, alle abitudini indigene sembra essere la cosa più semplice del mondo per cui ci appare praticamente ovvio mettere le gambe sotto il tavolo, con le pieds dans la sable come direbbero gli affettati francesi, alle 15,45 per goderci l’ennesimo bagno di sole, di brezza marina e di buon umore gentilmente e lautamente concesso dalla regione.
Illuminati dall’amica stella solare attraversiamo il parco naturale dell’Albufeda, passiamo per i tipici e molto caratteristici paesini di El Soler, El Palmar, El Parillon, El Dindondero prima di prendere il metrò, tanto per cambiare pulitissimo, per giungere ai finger di decollo dopo un quarantotto ore che ha condensato immagini ed emozioni consone ad una settimana ben pianificata di vacanze estive.