Scrolla il testo per leggere
Per la serie delle telenovelas "Non fermiamoci mai" eccomi catapultato nel giro di nove ore in quel del Venezuela. Ebbene si, dopo aver lasciato Milano tra nenie e liturgie di carattere tibetano eseguite da infoiati ed esaltati volontari pseudo-missionari, mi ritrovo a contatto con il torrido clima delle cinque del mattino della capitale sudamericana.
Senza essere riuscito a capire qualcosa, mi sento già bloccato dalle cinture di forza del successivo aereo con destinazione Los Roques.
Questo incontaminato arcipelago è un gioiello, un parco naturale di incredibile bellezza, con mare e spiagge da visione mistica.
Unico inconveniente è una piacevole brezza marina che non permette di capire il grado di cottura dato dal sole a microonde sopra la mia testa riarsa.
Come volevasi dimostrare, ho passato una notte d'inferno, i calorosi abbracci del sole venezuelano si sono trasformati in dolorosissime scudisciate, rendendomi la permanenza sullo spartano giaciglio una tortura.
La casa della centenaria Donna Carmen, contornata da una leggenda di stregoneria, è molto caratteristica, bianca con tutte le imposte azzurre direttamente affacciate sulla spiaggia, le camere sembrano celle di frati cappuccini in meditazione, la presenza di diverse specie animali ravviva un po' questo incantevole sito da eremiti.
Sfidando ogni teoria fisica sulla resistenza di un oggetto in acqua, accompagnato dal solito arzillo vecchietto, raggiungo le piscine di San Francischi, un tratto di mare tra due isole coralline che sono a dir poco fantastiche.
Vado quindi alla scoperta di quello che si rivelerà ben presto un paradiso: una barriera di coralli e di piante acquatiche tra cui sguazzano tranquillamente centinaia di pesci coloratissimi, di ogni forma e dimensione.
Nelle vignette della Settimana Enigmistica il titolo a tutto ciò : Senza Parole.
Questa è una di quelle mattine che ti rendono di buon umore facendoti credere che ogni cosa della vita sia eccezionale.
La sveglia è stata data dalle stridule gracchiate di uno spennuto pappagallo alle cinque, per poi essere ripresa da tutta una serie di animali di dubbia natura e provenienza.
La visita presso l'ambulatorio, almeno così lo chiamano, da parte dello scrivente ormai ridotto ad uno stralunato e piagato robot, è stata la botta finale: alla domanda se potevo nei giorni a seguire riprendere con i bagni e con il sole, la prima persona che finalmente parlava in inglese mi ha risposto "Se sopravvivi".
Arrivo a Caracas e immediato tuffo nella realtà di questa metropoli sinceramente tutt'altro che affascinante.
Bidone clamoroso per la teleferica più affascinante del mondo chiusa per riparazioni da cinque anni ( e non siamo in Italia ), quindi tutta una serie di dietro-front per luoghi ovunque chiusi per il Carnevale e termine del pomeriggio tra bambini urlanti e genitori peggio in una avenida che sembrava Corso Vittorio Emanuele il 23 Dicembre.
Fantastico il taxi notturno: scotch, fil di ferro, mancanza di luci, buchi nei sedili, cofano spalancato e non plus ultra richiesta del driver di tenere una mano sulla porta non molto sicura.
La giornata di oggi ha dimostrato una volta di più come nella vita non sempre lo spendere di più voglia dire avere il meglio: mai decisione fu più azzeccata che quella di prendere l'autubus per raggiungere Chichiriviche.
Con l'esorbitante cifra di 6.400 lire, invece dei cento dollari richiesti dal solito taxista manigoldo, ho vissuto un'esperienza a dir poco unica in quel del Sudamerica.
Personaggio del giorno è sicuramente l'autista, considerato il Nuvolari locale che galvanizzato dalla musica merengue a palla ed incitato dagli "opa" dei viaggiatori tanto terrorizzati quanto incoscienti, ha deciso di immettersi a velocità assurda sulla corsia di sorpasso, non cedendo strada per due ore mozzafiato sulla cordigliera venezuelana.
Semplicemente sensazionale il duello ingaggiato con un altro autobus che aveva avuto il coraggio di sfidarlo a tenzone: ruote fumanti, frenate stridenti, inclinazioni paurose, maledizioni ripetute e classica cerveza nell'affascinante terminal di Valencia tra centinaia di pullman coloratissimi.
Arrivando al molo di Chichiriviche, triste agglomerato di case alquanto squallide, incontro due sarcofagi targati Bergamo che mi faranno compagnia tutta la giornata.
La menzione è d'obbligo in presenza di due fratelli sulla trentina che si chiedono a vicenda il permesso di fare una fotografia, di comprare una birra, il consiglio sul momento preferibile per fare un bagno, sono quanto mai candidati all'Oscar per il "Gino dell'anno", a me, oltre ad una grande tristezza, danno una mano a dividere il costo della barca.
Questa regione sarebbe tanto cara ai miei odiatissimi amici ambientalisti: ogni cosa è vietata ed impedita per salvaguardare la crescita di quattro scheletriche piante marine e di tre, dicasi tre, spennuti uccellacci bianchi.
Il giudizio finale a domani con gran giro nel Parco del Morocoe, per il momento No Comment
Si dice che ogni giorno sia diverso da quello precedente e per mantenere la regola ecco che la sveglia mi viene data alle 06,10 dal vicino che, dopo una mia serie infinita di maledizioni sul suo albero genealogico, decide di abbassare il volume della televisione sintonizzato su dei cartoni animati giapponesi.
Si dice che tutto il mondo è paese ed ecco dunque che un amico di un amico si improvvisa navigante e sognatore per farmi scoprire il Parco del Morocoe.
Viva la verità: pensavo peggio! Due ore di guscio di noce tra boscaglia molto fitta, canali misteriosi, radici a pelo d'acqua, rumori indecifrabili hanno colpito la mia fantasia.
In certi momenti addirittura pensavo al buon Duchamp Jerie, epico personaggio che due anni fa, prima di essere sbranato dai cannibali del Borneo, aveva passato tre giorni interi nel fango di queste paludi per fotografare uccelli C'est la vie!
Durante il rientro al campo base, sosta nelle varie isolette disseminate nella baia: Cajo Morto, Cayo Solo, Pelo, Cayo Forteza valgono comunque qualche ora di visita, anche se precedentemente deturpate dal passaggio di torme di delinquenti al servizio di Sua Maestà il Carnevale.
La legge della natura prevede che sia il più forte a sopravvivere ed anche nella storia dell'umanità ci sono stati numerosi tentativi di evidenziare la classe predominante.
In Venezuela questa suddivisione avviene prendendo i pullman di linea, coloro che si salvano saranno sicuramente temprati per ogni ostacolo terreno.
Raggiunta Caracas, continuo con la decisione di usufruire dei mezzi messi a disposizione delle collettività e così tra un autobus ed un metrò vengo a contatto con la realtà della capitale, che anche ad un secondo impatto mi delude.
Niente di caratteristico, di originale, di storico, tutto rifatto negli ultimi trent'anni e per giunta con ben poco gusto.
Capitolo a parte la popolazione, se ne diceva un gran bene, la realtà è purtroppo ben diversa: gente dignitosa, educata, generalmente pulita, ma al tempo stesso veramente triste, priva di ispirazione, gioia, di quella felicità che invece trovi in ogni angolo, anche quello più fatiscente e malfamato, del vicino Brasile.
Notevole il buon Oreste da Todi, sessantenne industriale umbro, o pseudo tale, che seguendo leggende tramandate da amici, è in cerca di fortuna femminile in quel dei paesi latino-americani: una vera macchietta, per ogni donna un commento ed un giudizio. Stasera vuol andare a concludere.
La partita Genoa-Liverpool, trasmessa con incredibile impeto e partecipazione dal primo canale nazionale, mi riporta alla realtà ricordandomi che nel pomeriggio riporterò le mie bruciate membra in territorio italico.
La ricerca di qualcosa di artistico nel quartiere di El Hatijo è stata parzialmente premiata: la Nikon, finalmente di nuovo in pista, è riuscita ad inquadrare alcuni angoli interessanti di questo borgo coloniale a mezz'ora da Caracas.
Rientrando nella capitale, come al solito mi travesto da bambino ingenuo e mi intrufolo nella torre del Ministero del Commercio per la solita veduta della città dal suo punto più alto, non cambierò mai (vero Matteo? ) .
Riportando i piedi per terra, assaporo i 30 gradi° di questo altipiano a 1000 metri d'altitudine, girovagando per diverse zone del vasto agglomerato urbano.
Mitico lunch presso l'albergo stile europeo dell'ottocento, fatto costruire dai Rockfeller, che anche la sera precedente avevano accolto gli ospiti con un'ottima riconciliazione con il cibo.
Si torna, alla prossima.